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Il cambiamento climatico ci porterà via anche la birra

Uno studio della University of East Anglia, pubblicato sulla rivista scientifica Nature Plants, evidenzia gli effetti del cambiamento climatico sulla coltivazione di orzo, il principale ingrediente per la produzione della birra. Nel peggiore dei casi, sottolinea lo studio, una riduzione nella produzione di orzo potrebbe comportare un calo del 16% del consumo globale di birra.


A causa del cambiamento climatico la birra potrebbe diventare un lusso per pochi. Secondo un recente studio pubblicato sulla rivista scientifica Nature Plants, l’aumento della temperatura globale, dovuto ai cambiamenti climatici, potrebbe influenzare considerevolmente la coltivazione dell’orzo, il principale ingrediente per la produzione della birra. Lo studio, condotto da un team di ricercatori della University of East Anglia, in Inghilterra, viene diffuso proprio nei giorni in cui l’Ipcc, l’organismo scientifico delle Nazioni Unite per la ricerca sul cambiamento climatico, nel suo ultimo Special Report, ha sottolineato la necessità di agire entro i prossimi 12 anni per salvare il Pianeta dalla catastrofe climatica. All’allarmante monito lanciato dalle Nazioni Unite, si aggiunge ora quello dello studio dell’Università inglese secondo cui, l’aumento della temperatura globale avrà, tra le sue conseguenze, anche quella di limitare il consumo di birra. Lo studio ha preso in esame i possibili effetti che fenomeni climatici estremi, come siccità e ondate di calore, potrebbero avere sulla coltivazione della pianta di orzo in tutti e sei i continenti abitati in un periodo di tempo relativamente lungo, tra il 2010 e il 2099. In particolare, il team di ricercatori ha considerato due possibili scenari futuri con due diversi livelli di emissioni di gas ad effetto serra (Figura 1) e ha simulato le conseguenze di un clima più caldo ed estremo sulla produzione del cereale, utilizzando un software per modellare la crescita e la resa delle colture rispetto alle condizioni meteorologiche. Sulla base dei modelli elaborati, i ricercatori hanno scoperto che un clima estremo, dovuto all’aumento della temperatura globale, potrebbe ridurre la produzione di orzo tra il 3% e il 17%. Alcune aree del globo, come il Centro e il Sud America, potrebbero subire i danni maggiori; altre, come la Cina settentrionale e gli Stati Uniti, potrebbero vedere aumentare i loro raccolti anche del 90%. Per quanto riguarda l’Europa, tra i Paesi più colpiti, ci sarebbero quelli che hanno una secolare tradizione nella produzione di birra come il Belgio, la Repubblica Ceca e l’Irlanda. Nel Paese produttore della famosa "birra scura", nel 2099, il prezzo di una pinta potrebbe aumentare del 43% – 338% (rispetto al prezzo attuale), a seconda della gravità della realtà in cui ci troveremo a vivere. Tra i paesi più a rischio, lo studio annovera anche la Polonia, che rischierà di vendere la birra ad un prezzo quasi quintuplicato, e Germania, Regno Unito e Giappone, dove, a causa del crollo della produzione di orzo, dovuto all’aumento della temperatura, le vendite di birra potrebbe diminuire di quasi un terzo. In Italia, invece, sottolinea lo studio, l’aumento delle temperature potrebbe ridurre la produzione di orzo a tal punto da dover pagare una birra quasi quattro euro in più rispetto al prezzo attuale.

 

Figura 1. Aumento del prezzo medio di una birra a seconda del livello di emissioni di gas ad effetto serra (fonte: Nature)

 

Prendere in considerazione gli effetti che il cambiamento climatico avrà sulla produzione di birra potrebbe sembrare banale. Ma Dabo Guan, economista ed esperto di cambiamenti climatici della University of East Anglia, ritiene che lo studio appena pubblicato possa far capire all’opinione pubblica le vaste implicazioni del cambiamento climatico, in particolare, quelle che avranno considerevoli ricadute sulla nostra vita quotidiana. L’obiettivo dello studio è infatti quello di far riflettere le persone sull’impatto che il cambiamento climatico potrebbe avere sulle produzioni alimentari in generale, prendendo in esame un prodotto di largo consumo come la birra. “Se le persone vorranno ancora bere una birra davanti ad una partita di calcio – ha dichiarato Guan – allora dovranno fare qualcosa” (riporta Nature).

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Eliminare la fame nel mondo entro il 2030 obiettivo chiave della FAO

Oggi ricorre la Giornata Mondiale dell’Alimentazione, istituita nel 1979 con l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica sui temi della sicurezza alimentare, della povertà, della fame e della malnutrizione nel mondo. Nonostante cresca il numero di persone che vivono in condizioni di sofferenza alimentare, la FAO ritiene che sia ancora possibile eliminare la piaga della fame nel mondo entro il 2030.


Per la FAO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura) l’obiettivo “Fame zero” entro il 2030 è possibile, a condizione che i Paesi uniscano le proprie forze per far sì che tutti, in ogni parte del mondo, abbiano accesso ad una quantità adeguata di cibo sano e nutriente. Questo è il messaggio lanciato dalle Nazioni Unite in occasione della Giornata mondiale dell’alimentazione 2018 . Istituita nel 1979 durante i lavori della ventesima conferenza generale della FAO, la Giornata mondiale dell’alimentazione si celebra il 16 ottobre di ogni anno in ricordo del giorno di fondazione dell’Organizzazione stessa, creata proprio il 16 ottobre del 1945. L’obiettivo della Giornata è quello di sensibilizzare l’opinione pubblica sui temi della sicurezza alimentare, della povertà, della fame e della malnutrizione nel mondo, con particolare attenzione alle misure necessarie per eliminare le disuguaglianze legate all’accesso al cibo. Un’esigenza sempre più impellente considerando che la fame e la malnutrizione, insieme con le crisi economiche, le guerre e gli eventi climatici estremi, rappresentano due fenomeni in forte crescita a livello globale.

Nel 2017, secondo l’ultimo rapporto della FAO sullo stato della sicurezza alimentare e della denutrizione nel mondo, 821 milioni di persone hanno sofferto la fame (17 milioni in più rispetto al 2016), vale a dire una persona su nove a livello globale. Di questi, 500 milioni vivono in Asia, 256 milioni in Africa e 40 milioni in America Latina e ai Caraibi. Il dato più allarmante, sottolinea il rapporto, è rappresentato dal fatto che ben 151 milioni (nel 2012 erano 169 milioni) sono bambini al di sotto dei cinque anni, i quali rischiano ritardi nella crescita, nell’apprendimento e nello sviluppo delle capacità richieste dagli impegni futuri. A livello globale, l’Africa e l’Asia rappresentano le aree dove si concentra il maggior numero di bambini che soffrono la fame, rispettivamente il 39% e il 55% del totale. Al contempo, 1,9 miliardi di persone, cioè oltre un quarto della popolazione mondiale, è in sovrappeso e ogni anno, sottolinea la FAO, muoiono 3,4 milioni di persone per problemi legati all’obesità. Il fenomeno è diffuso soprattutto nel Nord America, ma anche in Asia e in Africa si registra un trend al rialzo. Malnutrizione e obesità sono due fenomeni, spiega il rapporto, che coesistono in molti Paesi del mondo e possono riscontrarsi nelle stesse famiglie, dove si registra uno scarso accesso al cibo nutriente, dovuto ad un costo più alto dei prodotti, maggiore stress di vivere in uno stato di insicurezza alimentare e altri adattamenti fisiologici dovuti alle privazioni sulla tavola, i quali possono favorire un più elevato rischio di cadere in una situazione di sovrappeso od obesità. Contribuiscono poi ad aggravare la situazione il fatto che un terzo del cibo prodotto a livello globale viene sprecato ogni anno e che il 6% di tutte le emissioni di gas serra è causato proprio dall’enorme quantità di cibo che finisce nelle discariche. Fame e sviluppo rurale, oltretutto, sono strettamente connessi al fenomeno migratorio, sia a livello locale che internazionale. La migrazione interna, sottolinea la FAO nel suo rapporto Stato dell’alimentazione e dell’agricoltura 2018 – migrazioni, agricoltura e sviluppo rurale, pubblicato in questi giorni, è un fenomeno significativamente più ampio rispetto a quella internazionale: stando agli ultimi dati, oltre un miliardo di persone che vivono nei Paesi in via di sviluppo hanno migrato all’interno del loro Paese, l’80% dei quali si è trasferito in aree rurali. A questo proposito, la FAO suggerisce misure a livello governativo che non mirino solamente ad arginare il fenomeno migratorio. Per i Paesi in via di sviluppo, sottolinea l’Organizzazione, è fondamentale promuovere opportunità di lavoro nel settore agricolo, al fine di fornire alle comunità rurali posti il più possibile vicini al luogo nel quale vivono. I Paesi che si trovano ad un livello di sviluppo intermedio, invece, dovrebbero dare priorità ai collegamenti tra le aree rurali e quelle urbane per espandere le opportunità economiche oltre i confini delle città. Infine, i Paesi soggetti ad una forte migrazione (tra i quali l’Italia) dovrebbero migliorare i loro modelli di integrazione sociale. In questa realtà, sostenibilità e innovazione tecnologica giocheranno un ruolo sempre più importante: da un lato, contribuiranno a garantire la sopravvivenza delle comunità rurali con un approccio rispettoso dell’ambiente; dall’altro, i piccoli coltivatori dovranno adottare metodi di agricoltura sostenibile che aumentino la produttività e il reddito nelle aree rurali.

Alla luce dei dati sull’aumento del numero di persone che soffrono la fame nel mondo, le Nazioni Unite chiedono l’attuazione di interventi volti a garantire l’accesso universale al cibo e invitano i singoli Paesi a prestare maggiore attenzione alle fasce della popolazione più esposte alle conseguenze dello scarso accesso al cibo. Le Nazioni Unite chiedono inoltre maggiori sforzi nella cooperazione internazionale e la promozione di politiche volte all’adattamento, alla mitigazione e alla riduzione del rischio di catastrofi naturali di origine climatica, senza le quali, sarà difficile raggiungere l’ambizioso obiettivo di eliminare la fame entro il 2030.

 

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La fame nel mondo aumenta e torna ai livelli di dieci anni fa

Secondo l’ultimo rapporto delle Nazioni Unite sullo stato della sicurezza alimentare e della denutrizione nel mondo, nel 2017 821 milioni di persone hanno sofferto la fame. Di questi 151 milioni sono bambini al di sotto dei cinque anni. La Coldiretti censisce circa 2,7 milioni di persone in Italia che vivono in condizioni di disagio alimentare, di cui 500 mila sono bambini con meno di 15 anni. I dati attuali rendono difficile immaginare di raggiungere l’obiettivo “Fame zero” dell’Agenda 2030 (Goal 2). 


Una persona su nove nel mondo soffre la fame

La fame nel mondo aumenta e torna a livelli di dieci anni fa. Ad evidenziarlo sono i dati contenuti nell’ultimo rapporto delle Nazioni Unite sullo stato della sicurezza alimentare e della denutrizione nel mondo, presentato martedì 11 settembre presso la sede romana della FAO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura). Alla pubblicazione del rapporto, oltre che la FAO, hanno partecipato il Fondo Internazionale per lo Sviluppo Agricolo (IFAD), il Fondo per l’Infanzia delle Nazioni Unite (UNICEF), il Programma Alimentare Mondiale (WFP) e l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Si stima che 821 milioni di persone nel 2017  hanno sofferto la fame (17 milioni in più rispetto al 2016), vale a dire una persone su nove a livello globale (Figura 1). Oltre 500 milioni vivono in Asia, circa 256 milioni si trovano in Africa e 40 milioni in America Latina e ai Caraibi. Di questi, 151 milioni (nel 2012 erano 169 milioni) sono bambini al di sotto dei cinque anni con ritardi nella crescita, nell’apprendimento e nelle capacità richieste dagli impegni futuri. A livello globale, l’Africa e l’Asia rappresentano le aree dove si concentra il maggior numero di bambini che soffrono la fame, rispettivamente il 39% e il 55% del totale. La piaga della denutrizione in età infantile rimane estremamente elevata anche in Asia, dove quasi un bambino su dieci sotto i cinque anni ha un peso basso per la sua altezza (in America Latina e nei Caraibi la proporzione è di uno su cento). Inoltre, una donna su tre in età potenzialmente fertile risulta affetta da anemia; ciò ha conseguenze significative per quanto riguarda la salute e lo sviluppo sia della donna che del bambino. A questo proposito, sottolinea il rapporto, nessuna regione tra quelle colpite da questo fenomeno ha mostrato un calo e il numero di donne affette in Africa e in Asia risulta essere quasi tre volte superiore a quello registrato in Nord America.

 

Figura 1. Variazioni nel numero delle persone che soffrono la fame nel mondo nel periodo 2005 – 2017 (elaborazione dal Rapporto 2018 sullo stato della sicurezza alimentare e della nutrizione nel mondo)

 

Il rapporto annuale della FAO annovera tra le principali cause dell’aumento del numero di affamati nel mondo, oltre ai conflitti e alle crisi economiche, anche i cambiamenti climatici. La variabilità del clima ha infatti ripercussioni sull’andamento delle piogge e può causare eventi climatici estremi come siccità e alluvioni prolungate nel tempo, producendo conseguenze disastrose sull’agricoltura dei Paesi più vulnerabili a tali fenomeni. Dal rapporto emerge che i cambiamenti climatici stanno minando la produzione di importanti colture come grano, riso e mais nelle regioni tropicali e temperate e, con il progressivo aumento delle temperature a livello globale, la situazione è destinata a peggiorare. I dati mostrano che la prevalenza del numero di persone denutrite è più alto nei Paesi altamente esposti ad eventi climatici estremi. E il numero sale quando l’esposizione ad eventi climatici estremi si accompagna ad un’elevata percentuale della popolazione che dipende da sistemi agricoli altamente sensibili alle precipitazioni e alla variabilità delle temperature. Secondo il rapporto le anomalie delle temperature nelle aree agricole hanno continuato ad essere superiori alle media nel periodo 2011 – 2016 (Figura 2), portando a ondate di siccità e alluvioni sempre più frequenti negli ultimi anni. Anche la natura delle stagioni delle piogge sta cambiando, con l'inizio tardivo o precoce delle stagioni piovose e un’ineguale distribuzione delle precipitazioni nel corso di un anno. I danni alla produzione agricola contribuiscono a ridurre la disponibilità di cibo, con effetti a catena che causano aumenti dei prezzi dei prodotti alimentari e perdite di reddito che riducono ancora di più l'accesso delle persone al cibo.

 

Figura 2. Crescita del numero di eventi climatici estremi (alluvioni, tempeste, siccità e aumento delle temperature) nel periodo 1990 – 2016 (elaborazione dal Rapporto 2018 sullo stato della sicurezza alimentare e della nutrizione nel mondo)

 

Nonostante i numeri allarmanti sullo stato della denutrizione nel mondo, la FAO segnala un aumento del numero di persone in età adulta obese che nel 2017 è salito a quota 672 milioni, ovvero una persona su otto a livello globale, ai quali si aggiungono circa 38 milioni di bambini sotto i cinque anni che sono in sovrappeso. Il fenomeno è diffuso soprattutto nel Nord America, ma anche in Asia e in Africa si registra un trend al rialzo. Malnutrizione ed obesità sono due fenomeni, spiega il rapporto, che coesistono in molti Paesi del mondo e possono riscontrarsi nelle stesse famiglie, dove si registra uno scarso accesso al cibo nutriente, dovuto ad un costo più alto dei prodotti, maggiore stress di vivere in uno stato di insicurezza alimentare e altri adattamenti fisiologici dovuti alle privazioni sulla tavola i quali possono favorire un più elevato rischio di cadere in una situazione di sovrappeso od obesità. 
 

I dati della Coldiretti

In riferimento al rapporto delle Nazioni Unite sullo stato della sicurezza alimentare e della denutrizione nel mondo, la Coldiretti ha pubblicato i dati relativi all’Italia. Nel nostro Paese il problema della fame e delle carenze alimentari riguarda oggi quasi mezzo milione di bambini di età inferiore ai 15 anni, su un totale di circa 2,7 milioni di persone che vivono in una condizione di disagio (dati elaborati sulla base degli aiuti alimentari distribuiti con i fondi Fead attraverso l’Agenzia per le erogazioni in agricoltura). Si tratta di famiglie che hanno beneficiato di sostegni per mangiare attraverso l’accesso alle mense dei poveri e la consegna di pacchi alimentari.

Questi ultimi vengono scelti soprattutto dai pensionati, disoccupati e famiglie con bambini che per vergogna prediligono questa forma di aiuto piuttosto che il consumo di pasti gratuiti in strutture caritative. In particolare, 114 mila persone nel 2017  hanno usufruito dei servizi offerti da mense e altre strutture caritative, mentre oltre 2,5 milioni di persone hanno preferito ricevere pacchi alimentari. Ad oggi, sottolinea la Coldiretti, si contano in Italia 10.607 strutture tra mense e centri di distribuzione ufficialmente riconosciute dall’Agea per la distribuzione degli aiuti.

Tutto ciò avviene, fa sapere la Coldiretti, a fronte di un allarmante spreco alimentare: ogni anno in Italia, secondo i dati dell’Osservatorio Waste Watcher (Last Minute Market) vengono gettate via 3,6 milioni di tonnellate di cibo per un valore economico di circa 16 miliardi di euro. Gli sprechi domestici rappresentano la quota percentuale maggiore, il 54% del totale, e a seguire compaiono quelli della ristorazione (21%), della distribuzione commerciale (15%), dell’agricoltura (8%) e della trasformazione (2%). 

 

Rimane distante l’obiettivo “Fame zero” dell’Agenda 2030

Alla luce dei dati sull’aumento del numero di persone che soffrono di denutrizione nel mondo, le Nazioni Unite chiedono l’attuazione di interventi mirati a garantire l’accesso universale al cibo e invitano i singoli Paesi a prestare maggiore attenzione a quella parte della popolazione più vulnerabile alle conseguenze dannose dello scarso accesso al cibo, in particolare donne e bambini. Il rapporto chiede inoltre maggiori sforzi nella promozione di politiche volte all’adattamento, alla mitigazione e alla riduzione del rischio di catastrofi naturali di origine climatica, senza le quali, sottolinea l’ONU, sarà difficile raggiungere l’ambizioso obiettivo dell’Agenda 2030, il Goal 2, denominato “Fame zero” che prevede di sconfiggere la piaga della fame nel mondo entro il 2030.