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Lo spreco alimentare in Italia a un anno dalla legge Gadda

Dopo un anno di battaglia contro lo spreco alimentare, i risultati si vedono ma non sono sufficienti. Secondo gli ultimi dati oltre il 90% degli italiani insegna ai propri figli a non sprecare.


È passato un anno dalla Legge

Il 14 settembre 2016 è entrata in vigore la Legge Gadda (prima firmataria della Legge, la deputata PD Maria Chiara Gadda), la prima legge nazionale contro gli sprechi alimentari e farmaceutici  in Italia. La legge prevede una serie di norme volte ad incentivare il riuso e la donazione di cibo e farmaci in eccedenza, tramite semplificazioni burocratiche, sgravi fiscali e bonus per i donatori (enti pubblici, aziende e privati cittadini), con il fine ultimo di diffondere una maggiore sensibilità ambientale tra i cittadini. I primi dati sugli sprechi sembrano essere positivi. Secondo le stime della Fondazione Banco Alimentare, Onlus impegnata nel recupero di cibo per le strutture caritative e per i più bisognosi, il recupero delle eccedenze alimentari nella Grande Distribuzione Organizzata (GDO) ha registrato un aumento del 20% da settembre 2016 (approvazione della legge) sino ad oggi.  In particolare, secondo i dati forniti dal Banco Alimentare, sono stati recuperati oltre 4 milioni di chili di cibo (700 mila in più rispetto al 2015). La Fondazione ha inoltre avviato una serie di accordi con Costa Crociere per il ritiro di cibo in eccesso dalle cucine delle navi e con l’Istituto zooprofilattico di Torino per il recupero delle porzioni di cibo integre e sane che solitamente rimangono nei laboratori dopo le esecuzioni delle analisi (9 quintali di cibo ogni anno, secondo dati del Banco Alimentare). Per dare seguito al sistema premiale (incentivi e bonus) previsto dalla Legge Gadda, il Mipaaf (Ministero per le politiche agricole, alimentari e forestali) ha recentemente pubblicato un bando nazionale che prevede lo stanziamento di un fondo anti-spreco di 500 mila euro destinato a finanziare le migliori idee per la gestione e il recupero del cibo in eccesso e per lo sviluppo di packaging innovativi (con un tetto massimo di 50 mila euro per ogni proposta). Nonostante i successi registrati nell’ultimo anno, la situazione degli sprechi in Italia resta drammatica. Una recente indagine condotta dall’associazione Last Minute Market mostra gli ultimi dati sullo spreco alimentare.

 

L'indagine di Last Minute Market

È stata svolta in collaborazione con l’Università di Bologna nell’ambito della campagna europea di sensibilizzazione promossa da Last Minute Market “Spreco Zero 2017”. Secondo quanto emerso dall’indagine, lo spreco alimentare italiano vale in termini economici 15,5 miliardi di euro, un valore pari all’1% del PIL nazionale. Di questi, 12 miliardi sono riconducibili allo spreco domestico mentre i rimanenti 3,5 miliardi derivano dallo spreco che si fa all’interno dell’intera filiera alimentare, ovvero dai campi (946.229.325 euro) alla produzione industriale (1.111.916.133 euro) alla distribuzione (1.444.189.543 euro). Per quanto riguarda lo spreco domestico, i dati sono stati elaborati sulla base dei test “Diari di Famiglia” eseguiti dal Ministero dell’Ambiente insieme con il Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agroalimentari dell’Università di Bologna e con l’azienda di sondaggi SWG, nell’ambito del progetto “Reduce 2017”. I test sono stati condotti nelle scorse settimane su un campione statistico di 400 famiglie in tutta Italia e saranno resi noti nell’ambito di un convegno internazionale che si terrà a febbraio 2018, in occasione della Quinta Giornata Nazionale di Prevenzione dello Spreco alimentare. 

 

I dati sono promettenti

Gli ultimi dati, forniti dall’Osservatorio Waste Watcher (osservatorio nazionale sugli sprechi nato per iniziativa di Last Minute Market), sono rassicuranti: 7 italiani su 10 sono a conoscenza della Legge Gadda e il 91% di loro considera lo spreco alimentare una questione di primaria importanza per il nostro Paese. A tal proposito, Last Minute Market responsabile della campagna “Spreco Zero”, riporta un dato incoraggiante: “il 96% degli italiani insegna ai propri figli a non sprecare”. Altri dati positivi provengono dall’ultimo Food Sustainability Index, che colloca l’Italia al primo posto su 25 paesi europei considerati, per le politiche attuate nel 2017 in materia di lotta allo spreco alimentare. La Legge Gadda ha dunque permesso al nostro Paese di allinearsi e addirittura superare gli altri paesi europei. Nei paesi dell’Unione Europea il valore economico del cibo sprecato resta comunque alto: 143 miliardi di euro (inclusi anche i costi legati all'acqua e all'impatto ambientale), di cui 98 miliardi imputabili esclusivamente al cibo gettato tra le mura domestiche. In particolare, l’Unione Europea si è imposta di ridurre ulteriormete lo spreco alimentare entro il 2025, che non a caso è stato proclamato “Anno Europeo contro lo spreco alimentare”.

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Insetti a tavola? Che male c’è

Dal prossimo anno gli insetti in vendita anche in Europa. Secondo recenti studi un italiano su due pronto a mangiarli.


Verso la liberalizzazione

Mangeresti un piatto a base di insetti? “No, che schifo!”, risponderebbero in tanti. Eppure, oltre due miliardi di persone li consumano oggi in Asia, Africa e America Latina. Gli insetti sono inoltre da anni al centro di un acceso dibattito internazionale sul futuro del cibo. La Fao (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura) prevede che nel 2050 saremo oltre 9 miliardi di persone nel mondo e indica gli insetti come valida alternativa alla carne animale. Nelle ultime settimane, sembra che anche l’Unione Europea abbia abbracciato una posizione più decisa per liberalizzare la vendita di prodotti a base di insetti. Dal primo gennaio 2018, infatti, sarà possibile acquistare alcuni di questi prodotti in tutti i Paesi dell’Unione Europea, grazie ad un pacchetto di norme in materia di alimentazione, il Regolamento Europeo 2283/2015, approvato dal Parlamento Europeo a novembre 2015, che entrerà in vigore proprio a partire dal prossimo anno.
 

La situazione in Europa

Le nuove normative europee circa il consumo di insetti per uso alimentare sostituiscono il vecchio Regolamento (CE) 258/97 in virtù del quale gli insetti rientravano nella definizione di “Novel Food”, cioè tutti quegli alimenti per i quali non è dimostrabile un consumo significativo all’interno dell’Unione Europea. Tuttavia, in questi anni, alcuni Paesi membri dell’UE hanno interpretato arbitrariamente il Regolamento escludendo dalla definizione di “    Novel Food” alcune specie di insetti e ammettendone, dopo alcune valutazioni del rischio, la distribuzione in territorio nazionale. Esempi in questa direzione sono presenti in Olanda, Belgio e Francia, dove già da alcuni anni è possibile acquistare in negozi specializzati e in store online, autorizzati per questo tipo di vendite, prodotti a base di insetti. Alcune settimane fa, anche la Svizzera ha dato il via alla vendita di tali prodotti. Sono comparsi sugli scaffali dei supermercati Coop burger polpette a base di grilli e farina di tarme. A tal proposito, la Cooperativa svizzera ha stipulato una partnership con un’azienda produttrice di alimenti a base di insetti, l’Essento. I prodotti sono realizzati con materie prime d’importazione e provengono prevalentemente da Belgio e Francia, in quanto non è ancora possibile allevare insetti in territorio svizzero. 

 

Figura 1. Insect balls

 

I vantaggi

Gli insetti potrebbero rappresentare un’alternativa valida alla carne di origine animale sia dal punto di vista nutrizionale sia dell’impatto ambientale. Sono una fonte di cibo altamente nutriente, in quanto possono fornire una quantità di proteine paragonabile a quella fornita da carne e pesce, e sono facili da convertire in alimenti. In media, per produrre 1 kg di carne di vitello vengono impiegati 8 kg di mangime e 15.000 litri d’acqua mentre per ottenere 1 kg di insetti bastano 2 kg di mangime e 7,5 litri d’acqua (dati Fao). Inoltre, gli allevamenti di insetti avrebbero un impatto ambientale di gran lunga inferiore a quello causato dagli allevamenti intensivi di carne, responsabili oggi del 25-30% delle emissioni ci CO2 globali.

La Fao sottolinea che le specie di insetti commestibili e in commercio nel mondo sono circa 1900: coleotteri (31%); lepidotteri (bruchi, 18%); api, vespe e formiche (imenotteri, 14%); cavallette, locuste e grilli (Ortotteri, 13%); cicale, cicaline, cocciniglie e cimici (Emitteri, 10%); termiti (Isotteri, 3%); libellule (Odonati, 3%); mosche (Ditteri 2%). 
 

Una ricerca in Italia

È possibile portare nelle tavole degli italiani dei piatti a base di insetti? Secondo un recente studio condotto dal Centro Studi della Società Umanitaria di Milano, anche nel nostro Paese si può abbattere il muro del rifiuto degli insetti a tavola. Dallo studio è emerso che il 47% degli intervistati è favorevole alla vendita di alimenti a base di insetti mentre il 28% si dice curioso di volerli mangiare, con un maggiore favore rilevato tra gli uomini (38%) rispetto alle donne (21%). Il campione favorevole cresce tra chi ama il cibo etnico (57%), chi ha a cuore l’ambiente (50%) e chi acquista cibo a km 0 o fa spesso viaggi all’estero (49%).

Per quanto riguarda i giovani consumatori (Millennials) il 38% degli intervistati si dice pronto a mangiare alimenti a base di insetti. Di questi il consenso è più alto tra gli uomini (58%) che tra le donne (42%). Dal sondaggio emerge poi che grilli, cavallette camole e formiche sarebbero gli insetti che gli italiani accetterebbero con meno preoccupazione nel proprio piatto. Inoltre, il 24% degli intervistati si dice disposto a mangiare barrette proteiche con farina di grilli, il 25% snack a base di formiche o tacos con grilli e il 19,7% pasta a base di farina di camole. La Società Umanitaria, che ha condotto lo studio, sta attualmente collaborando sul tema degli insetti a tavola con la Coop, e con un team di ricercatori provenienti dall’Università e da alcuni centri di ricerca. L’obiettivo è quello di avviare anche in Italia un allevamento sperimentale di insetti, mediante l’individuazione delle reti di distribuzione alternativa al supermercato (come, ad esempio, botteghe ad hoc autorizzate alla vendita dei prodotti) e fornendo tutte le necessarie informazioni sulla sicurezza alimentare degli insetti commestibili nei confronti dei consumatori. 

 

Figura 2. Farina di insetti

 

I pregiudizi

Sebbene ad oggi siano documentati i benefici sociali, economici, ambientali e nutrizionali dell’utilizzo degli insetti nella dieta alimentare, soprattutto in sostituzione di altri prodotti proteici, la società occidentale considera generalmente gli insetti come cibo di emergenza, di basso prestigio e specifico dei Paesi poveri. Numerose ricerche hanno identificato numerosi fattori responsabili dell’avversione dei consumatori ad accettare gli insetti come prodotto alimentare: dalle caratteristiche sensoriali (gusto e consistenza spiacevoli), alla paura di rischi per la salute. Tuttavia, le preferenze alimentari non sono permanenti e possono cambiare nel tempo, come è avvenuto in passato con l’accettazione in Occidente di piatti e alimenti appartenenti a culture gastronomiche di altri continenti (sushi, curry, zenzero, curcuma, lime, guacamole).

Appare difficile prevedere se gli insetti commestibili saranno il “cibo del futuro” in Occidente. Sicuramente, l’acquisto e il loro consumo dipenderà in primis dall’esistenza di una specifica legislazione che ne permetta la commercializzazione, dalla disponibilità del mercato, dalla tipologia di prodotti (se interi o trasformati) e da una attenta comunicazione verso i consumatori.

Millenials

Mangio, dunque sono. I Millennials innovano le regole del Food System

È in atto una vera e propria rivoluzione del sistema agroalimentare in virtù della quale rete e tecnologie stanno trasformando radicalmente le nostre abitudini alimentari. Protagonisti di questo nuovo scenario socio-economico e culturale sono i Millennials. Comprano bio, prediligono i prodotti di origine vegetale alla carne e sono più attenti dei loro genitori e nonni alla qualità del cibo e alle sue modalità di produzione, trattamento e distribuzione.


È in atto una vera e propria rivoluzione del sistema agroalimentare in virtù della quale rete e tecnologie stanno trasformando radicalmente le nostre abitudini alimentari. Protagonisti di questo nuovo scenario socio-economico e culturale sono i Millennials. Il termine Millennials fu coniato dagli scrittori statunitensi William Strauss e Neil Howe nel 2000 nel loro libro “Millenials Rising: The Next Great Generation”, e identifica quella generazione di giovani nati tra i primi anni ’80 e gli anni 2000, chiamati anche “nativi digitali” perché cresciuti in una realtà caratterizzata dall’uso massiccio di strumenti digitali (Figura 1). Entro il 2020  i Millennials saranno il 25% della popolazione di Europa e Stati Uniti (Fondazione Deloitte).

 

Dati aggregati sulle generazioni in USA ed Europa (Germania, Francia, Italia, Spagna, UK), 2014

Figura 1. Generation Z ,i giovani nati dal 2001; Millennials: i giovani nati nel periodo 1980-2000; Generation X: la fascia di persone nate dal 1960 al 1979; i Baby Boomers: gli ex-giovani nati nel periodo 1946-1959. Source: Eurostat/USA, Census Bureau/Fung Global Retail &Technology. 3

 

Il focus su questa generazione ci mostra giovani con caratteristiche completamente differenti dai loro genitori, infatti i  Millennials rappresentano una fascia sociale che ama il benessere individuale e che mette ai primi posti salute, tempo libero e felicità e soltanto in ultima posizione il desiderio di arricchirsi attraverso la carriera lavorativa. Una recente indagine (REF Ricerche su dati Istat) ci mostra che in Italia i giovani tra i 16 e i 34 anni sono presenti soprattutto al Nord e al Sud rispetto al Centro, con una leggera prevalenza delle donne rispetto agli uomini (Figura 2). 

 

Figura 2. Dove vivono i Millennials in Italia? (Fonte: REF Ricerche su dati Istat)

 

Millennials sono poco dediti alla politica ma non sono contrari alla globalizzazione, anzi considerano naturale muoversi liberamente tra i vari Stati europei, grazie anche alle opportunità di studio offerte dal programma europeo Erasmus. Secondo la Commissione Europea, a partire dal 1987, anno di nascita del programma europeo di mobilità per gli studenti, più di 4 milioni di ragazzi/e europei hanno studiato in un altro paese e tra questi uno su dieci è italiano. In generale, il 6% dei giovani di età compresa tra 18 e 34 anni sono stati sinora coinvolti dal programma Erasmus. I  Millennials sono aperti alle contaminazioni e al confronto tra culture diverse, sono una generazione abituata a relazionarsi con strumenti digitali, primo fra tutti lo smartphone, che rappresentano anche il principale mezzo attraverso cui accedono a una varietà infinita di servizi, contenuti e informazioni. Numerose indagini ci dicono che i  Millennials sono avidi fruitori della rete e dei social network: il 76% di loro è abitualmente connesso tramite smartphone sui social network per inviare messaggi, vedere video virali e per ascoltare musica. Tuttavia le tendenze digitali di questi giovani non devono far pensare che siano dediti soltanto al divertimento, privi di interessi culturali e costantemente connessi alla rete. Al contrario, i  Millennials rappresentano una fascia sociale che più di ogni altra fascia del passato mostra attenzione e rispetto per i problemi ambientali e per i consumi di energia tradizionale. Infatti, tra questi giovani è molto diffusa la pratica della differenziazione dei rifiuti in casa oltre ad una maggior attenzione al consumo e allo spreco di acqua ed energia elettrica per le faccende domestiche (dati Nielsen, 2015). Nei confronti del cibo, i Millennials rappresentano una categoria di consumatori molto attenta alla qualità dei prodotti e alla sostenibilità dei processi produttivi che caratterizzano gli alimenti. Rispetto alle generazioni precedenti, spendono di più in cibo – la spesa annua negli USA è di circa 1000 miliardi di dollari – ma sono anche più informati su ciò che mangiano – l’80% di loro vuole conoscere la provenienza e la tracciabilità del cibo che mangia (Seeds & Chips, 2017). Secondo LegaCoop un quinto dei  Millennials italiani comprano esclusivamente prodotti biologici con preferenza per i prodotti a km zero e privi di OGM (Organismi Geneticamente Modificati) e spesso anche privi di glutine (gluten-free). 

 

    

Figura 3. Prodotti biologici in vendita (foto: Andrea Campiotti)

 

È  significativo che nel 2015 il mercato bio ha toccato quota 30 miliardi di euro (UE a 27,1 mld) con un incremento del 13%. La Germania è il mercato bio più importante in Europa (8,6 mld di euro), seguito da Francia (5,5 mld), Regno Unito (2,6 mld) e Italia (2,3 mld). Sempre in Italia, dove il cibo rappresenta un valore identitario, il 53,5% dei Millennials sul tema cibo si dichiara appassionato, il 28,3% intenditore e l’11,1% vero esperto (CENSIS, 2014). Un’altra tendenza tipica dei  Millennials è quella di preferire prodotti vegetali alla carne (in Italia le persone che hanno scelto un’alimentazione priva di carne e derivati sono oltre il 7% della popolazione). Per rendere l’idea dell’importanza che i Millennials ricoprono in Italia per le imprese che operano nell’industria del cibo, è opportuno citare i seguenti dati: 8,7 milioni di giovani mangiano piatti tipici di altri paesi europei (paella, crepes, ecc.), di cui 1,9 milioni regolarmente; 7,7 milioni mangiano piatti etnici (guacamole, cous cous), di cui 1,8 milioni abitualmente; 10 milioni consumano (di cui 3,3 milioni regolarmente) piatti preparati secondo ricette nuove di cui hanno sentito parlare in tv e/o letto su riviste e/o su ricettari (dati Censis, 2014).

I  Millennials sono inoltre appassionati del vino di cui rappresentano oggi il 34% dei consumatori a livello mondiale. In particolare, i Millennials statunitensi rappresentano la generazione che in quantità beve più vino di qualsiasi altra, con il 42% di tutti i consumi a differenza del nostro Paese dove il vino risulta essere preferito dalla Generazione X (i nati tra il 1965 e il 1980). Una recente ricerca del Nomisma, presentata in occasione del Vinitaly di Verona 2017, mostra che i giovani statunitensi nella scelta del vino guardano soprattutto alla notorietà del brand (32%) a scapito del tipo di vino (21%). Al contrario, il primo criterio di scelta dei giovani italiani è la tipologia del vino (51%), mentre la notorietà del brand risulta essere marginale (10%). Un altro food trend dei Millennials è il cosiddetto pranzo on the go, in pratica “mangio in strada”. Una ricerca Nielsen rivela che l’11% dei giovani passa la propria pausa pranzo per strada e il 28% di loro dichiara di amare il mondo dello street food.

Secondo una recente ricerca condotta dalla Cargill, una delle più grandi multinazionali al mondo del settore alimentare, i  Millennials hanno ormai dato avvio ad una nuova cultura del cibo fondata su tre aspetti principali: convenienza, varietà di scelta e trasparenza. Convenienza perché l’abitudine ad acquistare cibi pronti e take away, dovuto al poco tempo disponibile per fare la spesa, porta questi giovani ad acquistare alimenti soprattutto presso la Grande Distribuzione Organizzata (GDO) che mette a loro disposizione un ampio ventaglio di piatti pronti a prezzi sempre più competitivi. I  Millennials amano scegliere tra i numerosi prodotti della GDO e inoltre amano la trasparenza; infatti leggono le etichette dei prodotti perché vogliono essere informati sui cibi che acquistano, sono più sensibili e più attenti dei loro genitori e dei loro nonni alla qualità del cibo e alle sue modalità di produzione, trattamento e distribuzione. Per i  Millennials il cibo deve essere buono sia nel gusto che nella sua storia perché il cibo oltre che identitario è anche sinonimo di salute e quindi alla formula cartesiana “Penso, dunque sono” i Millennials preferiscono “Mangio, dunque sono”.