rifiuti-marini-plastica

Stretta europea sull’uso della plastica monouso dal 2021

L’Unione europea ha approvato, il 19 dicembre 2018, la proposta che vieta dal 2021 la produzione di oggetti di plastica monouso. Ad essere banditi saranno posate e piatti, cannucce, bastoncini dei palloncini, contenitori per alimenti e tazze in polistirolo espanso, come le scatole di fast food, prodotti in plastica oxo-degradabile, e i cotton fioc. In Italia comunque sono già banditi dal primo gennaio di quest’anno i cotton fioc non biodegradabili e compostabili 


La decisione, presa dalle Istituzioni europee dopo più di 12 ore di trattative sotto la guida di Elisabeth Köstinger, ministro federale austriaco per la sostenibilità e il turismo, è di rilevante importanza se si pensa all’inquinamento da plastica dei mari. Infatti oggi oltre l'80% dei rifiuti marini è di plastica e poco meno di un terzo dei rifiuti di plastica generati viene davvero riciclato. È stata fissata al 2025 invece la scadenza per oggetti quali le scatole monouso per hamburger e panini, i contenitori alimentari per frutta e verdura, dessert o gelati che dovranno essere ridotti del 25% entro il tale data. Per le bottiglie, invece, si punta alla raccolta separata e al riciclo al 90%, ad esempio tramite il sistema dei vuoti a rendere, sempre entro il 2025. È stato previsto anche che i produttori di alcuni oggetti quali involucri, filtri per sigarette, salviette umidificate, debbano farsi carico dei costi relativi alla raccolta dei rifiuti derivanti dall’uso dei loro prodotti.

"Un segnale importante dall'Europa" – dice una nota di Greenpeace – "anche se le misure concordate, come la riduzione a monte della produzione di alcuni imballaggi e contenitori in plastica monouso, non rispondono pienamente alla gravità dell'inquinamento dei nostri mari”. Anche secondo Giuseppe Ungherese, responsabile della Campagna Inquinamento di Greenpeace Italia, si tratta di un "segnale importante che risponde alle richieste e alle preoccupazioni di migliaia di cittadini, ma non introducendo misure vincolanti per gli Stati membri per ridurre il consumo di contenitori per alimenti, e ritardando di quattro anni l'obbligo di raccogliere separatamente il 90% delle bottiglie in plastica, l'Europa regala alle grandi multinazionali la possibilità di fare ancora enormi profitti con la plastica usa e getta a scapito del Pianeta".

La nuova direttiva sulla plastica monouso dovrà essere rispettata dagli Stati membri entro due anni dalla sua pubblicazione. I paesi interessati dovranno provvedere ad un taglio significativo dei consumi di contenitori monouso destinati ad alimenti e bevande e di conseguenza dovranno elaborare anche piani nazionali per incoraggiare l’uso di prodotti a uso multiplo, il riutilizzo e il riciclo.

"Ice Watch London" di Olafur Eliasson

La COP24 è terminata. Poche le decisioni adottate e molti i nodi rimasti irrisolti

Al termine della COP24, che è durata un giorno in più del previsto per consentire ai vari paesi che hanno preso parte ai negoziati di portare a casa qualche risultato, è stato approvato un pacchetto di regole condivise per rendere operativo, a partire dal 2020, l’Accordo di Parigi. Rimasti irrisolti i temi chiave degli INDCs e degli investimenti nei paesi più vulnerabili ai cambiamenti climatici. La prossima COP25 si terrà a Santiago, in Cile, a novembre 2019. Nel frattempo, l’Italia ha annunciato di voler ospitare la COP26 che si terrà nel 2020.


La ventiquattresima Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (COP24) si è chiusa con 24 ore di ritardo. È stato necessario un giorno in più, rispetto ai 14 previsti, per consentire ai paesi che hanno preso parte alla Conferenza di portare a casa dei risultati, sebbene minimi. Nel corso dei negoziati, che sono proseguiti ad oltranza, è stato approvato il Rulebook, ovvero il pacchetto di regole condivise per rendere operativo, a partire dal 2020, l’Accordo di Parigi, che mira a limitare l’aumento della temperatura globale ai 2 °C, con volontà di contenerlo entro gli 1,5 °C (rispetto ai livelli preindustriali) entro la fine del secolo. Si tratta di un pacchetto di misure “positivo per il pianeta” secondo il presidente della Conferenza, il viceministro dell’ambiente polacco Michal Kurtyka, un po’ meno secondo alcune organizzazioni non governative impegnate nella lotta ai cambiamenti climatici, tra le quali Greenpeace, che hanno criticato aspramente l’intesa raggiunta a Katowice. Le ong contestano il fatto che nella bozza finale, frutto dei negoziati della COP24, non compaiano i temi dei diritti umani, della sicurezza alimentare, dell’uguaglianza di genere e che siano ancora poco stringenti le regole in materia di investimenti nei paesi più vulnerabili ai cambiamenti climatici. Sul fronte delle emissioni di CO2 i negoziati sono stati particolarmente difficili. Sin da sabato 8 dicembre, quando era stata pubblicata la prima bozza di conclusioni finali della Conferenza, ancora colma di questioni da definire, Stati Uniti, Russia, Arabia Saudita e Kuwait avevano insistito prepotentemente per non inserire frasi che potessero lasciare intendere un sostegno, da parte dei quattro Paesi, alle allarmanti conclusioni dello Special Report 15 dell’Ipcc (Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico), secondo il quale, senza misure tempestive, la temperatura globale raggiungerà la soglia dei +1,5 °C già entro il 2030, superando i 3 °C di aumento entro la fine del secolo.

Anche in questa Conferenza, il tema chiave degli INDCs (Intended Nationally Determined Contributions), ovvero le promesse di riduzione delle emissioni di CO2 avanzate dai vari Paesi che hanno aderito all’Accordo di Parigi, è rimasto un nodo irrisolto. A rendere difficile i negoziati su questo punto è stato il Brasile, che ha annunciato di voler bloccare le trattative in corso per il “mercato mondiale delle emissioni di CO2”, un sistema che introduce una tassa per ogni tonnellata di emissioni prodotta, ma sul quale i vari paesi non hanno trovato ancora un’intesa, in particolare per quanto riguarda la contabilizzazione della CO2 dispersa nell’atmosfera. Sul tema degli investimenti nei paesi in via di sviluppo si è fatta sentire la Turchia, che rifiuta di essere classificata nella lista dei paesi economicamente sviluppati dell’Unfccc (Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici)  perché ciò impedirebbe al Paese di accedere ad una serie di aiuti finanziari destinati, invece, ai paesi in via di sviluppo. Debole a questa Conferenza è stata poi la presenza politica della Francia che, a partire dal 2017, si era impegnata in progetti diplomatici volti a trovare un’intesa globale nella lotta ai cambiamenti climatici, primo fra tutti il One Planet Summit, ma che a Katowice si è ridotta al minimo.

Nel corso delle lunghe e complesse trattative della COP24, una studentessa svedese di quindici anni, Greta Thunberg, ha preso la parola, accusando i delegati governativi di avere paura di essere impopolari e di aver ignorato, anche in quest’ennesima Conferenza sul clima, l’importanza dei cambiamenti climatici (Figura 1). “Questa è una crisi e non possiamo risolverla senza trattarla come tale”, ha dichiarato la Thunberg.

 

Figura 1. La studentessa quindicenne Greta Thunberg prende la parola alla COP24 (Video)

 

Insomma, la COP24 si è chiusa tra molte promesse e pochi risultati concreti. Dopo la COP21 di Parigi, che ha portato all’approvazione dell’Accordo di Parigi, la volontà politica dei governi dei vari paesi che hanno aderito all’intesa globale sul clima è andata via via scemando. Il tema degli INDCs e quello degli investimenti nei paesi più vulnerabili ai cambiamenti climatici, rimasti ancora irrisolti, saranno riproposti alla prossima COP25, che si terrà a Santiago, in Cile, a novembre del 2019. Nel frattempo, l’Italia si è candidata ad ospitare la COP26, che si terrà nel 2020 e che dovrà ufficializzare l’entrata in vigore dell’Accordo di Parigi.


Nota:

L’immagine d’intestazione dell’articolo mostra l’istallazione Ice Watch London realizzata dall’artista danese Olafur Eliasson davanti al Tate Modern Museum a Londra. I 30 blocchi di ghiaccio dell’istallazione rappresentano il rapido scioglimento dei ghiacciai dell’Artico (foto: Studio Olafur Eliasson)

Katovice 2018_COP24_principale

COP24, la prima settimana di negoziati si è chiusa in un nulla di fatto

La prima settimana di negoziati della COP24 in corso a Katowice, in Polonia, si è chiusa in un nulla di fatto. Nonostante le principali agenzie internazionali abbiano più volte sottolineato la necessità di agire concretamente per contrastare gli effetti dei cambiamenti climatici, la volontà politica dei governi dei paesi che partecipano alla Conferenza rimane minima. Nel frattempo, la Banca mondiale annuncia un investimento di 200 miliardi di dollari nel quinquennio 2021 – 2025 per aiutare i paesi più vulnerabili alla minaccia climatica.


La prima settimana di negoziati della Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (COP24) che si tiene a Katowice, in Polonia, si è chiusa in un nulla di fatto. Nel frattempo, le emissioni di anidride carbonica in Occidente sono in crescita. A dirlo è l’Agenzia internazionale dell’energia in un suo recente rapporto, dove sottolinea che le emissioni di CO2 dovute al consumo di energia nel Nord America, in Europa e nelle economie avanzate dell’Asia e del Pacifico hanno registrato un aumento nel corso del 2018. Per la prima volta, da cinque anni a questa parte, le emissioni di CO2 sono aumentate dello 0,5 per cento rispetto all’anno precedente. Secondo l’Agenzia, la crescita delle emissioni di CO2 è dovuta all’aumento dell’uso di combustibili fossili, petrolio, carbone e gas, che le fonti rinnovabili, in grado negli ultimi cinque anni di far diminuire le emissioni del 3 per cento, non sono riuscite a compensare. Il rapporto dell’Agenzia sottolinea che un cambiamento di rotta verso economie a basse emissioni di CO2 è fondamentale se si vuole salvare il pianeta. A questo proposito, lo Special Report 15 dell’Ipcc, l’organismo scientifico delle Nazioni Unite per la ricerca sui cambiamenti climatici, pubblicato lo scorso ottobre, ha evidenziato la necessità di agire entro i prossimi 12 anni per salvare il pianeta – e l’umanità – da una vera e propria catastrofe climatica. Dopo gli allarmi lanciati da numerose agenzie internazionali, lo scorso 28 novembre, la Commissione europea ha proposto un nuovo programma per arrivare ad un'Europa a zero emissioni di CO2 entro il 2050. Tuttavia, gli attuali obiettivi parlano di una riduzione del 40 per cento delle emissioni di CO2 entro il 2030 e del 60 per cento entro il 2040. Si tratta quindi di target di gran lunga inferiori all’ambizioso programma annunciato nei giorni scorsi che, se non modificati, faranno sì che l’Accordo di Parigi non venga rispettato. Eppure, senza una significativa riduzione delle emissioni di CO2 a livello globale, avvertono le principali agenzie internazionali, il mondo supererà la soglia degli 1,5 °C, cioè la soglia preferibile fissata dall’Accordo di Parigi, probabilmente entro il 2040, toccando quella dei 3 °C entro la fine del secolo.

Agire per limitare la crescita della temperatura globale richiede misure urgenti che i governi, al momento, non intendono attuare in modo concreto. Per esempio, il dialogo di Talanoa, un documento volto a far accelerare il percorso di attuazione degli impegni presi in vista dell’Accordo di Parigi, frutto dei negoziati della COP23 che si è tenuta lo scorso anno a Bonn, in Germania, è stato interpretato differentemente da ciascun paese. Il risultato è che, sinora, gli unici ad essersi impegnati concretamente per modificare le proprie promesse sono stati soprattutto i piccoli paesi che, in termini di emissioni globali di CO2, pesano molto poco.

Comunque, pochi giorni fa, la Banca mondiale ha annunciato di voler stanziare 200 miliardi di dollari nel quinquennio 2021 – 2025 per aiutare i paesi in via di sviluppo nella lotta ai cambiamenti climatici. Secondo il comunicato stampa pubblicato dalla Banca mondiale, questo investimento, da un lato, consentirà ai paesi più vulnerabili di adattarsi agli eventi climatici estremi, che saranno più frequenti man mano che la temperatura globale aumenterà e, dall’altro, realizzerà parzialmente l’obiettivo che i governi dei paesi più ricchi si erano dati a partire dalla COP15 di Copenaghen, ovvero stanziare 100 miliardi di dollari all’anno nel Green Climate Fund, un fondo di sussistenza dedicato ai paesi più poveri e con meno risorse economiche. Al contempo, spiega la Banca mondiale, questo investimento, che per un terzo è costituito da fondi dell’Istituto finanziario e per due terzi da fondi dei privati, contribuirà a contenere il fenomeno delle migrazioni climatiche, in forte espansione a livello globale. Se non si farà tutto il necessario per contrastare il cambiamento climatico entro il 2050, sottolinea la Banca mondiale, ci potrebbero essere oltre 140 milioni di migranti climatici. Insomma, questa prima settimana di negoziati si chiude tra stalli, rallentamenti e poche notizie positive.

Mentre l’attenzione mediatica si concentra quasi unanimemente sulle violente manifestazioni dei “gilet jaune” in corso a Parigi, i cambiamenti climatici procedono più velocemente che mai. Nonostante ciò, la volontà politica di contrastarli, da parte dei governi dei paesi che partecipano alla COP24, rimane minima. Vedremo cosa accadrà nei prossimi giorni.