Uliveto in Puglia dopo le forti precipitazioni

L’area mediterranea colpita dai cambiamenti climatici

Uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Nature Climate Change sottolinea che l’area mediterranea si sta riscaldando ad una velocità maggiore rispetto al resto del mondo. Secondo l’UNISDR, l’organismo delle Nazioni Unite per la riduzione dei disastri naturali, l’Italia è tra i paesi più esposti ai cambiamenti climatici. Nel 2018, fa sapere la Coldiretti, siccità, alluvioni, tempeste, ondate di calore e altri fenomeni climatici estremi hanno causato danni economici per oltre 750 milioni di euro solamente al settore agricolo. 


L’area mediterranea si riscalda velocemente

La temperatura media annuale nell’area mediterranea è aumentata di 1,4 °C (rispetto ai livelli preindustriali), cioè 0,4 °C in più rispetto alla media globale. Questo significa che nell’area mediterranea i cambiamenti climatici stanno producendo i loro effetti ad una velocità maggiore rispetto al resto del mondo. A lanciare l’allarme è uno studio  pubblicato nei giorni scorsi sulla rivista scientifica Nature Climate Chance. Secondo lo studio, condotto da un team di ricercatori dell’Institut  méditerranéen de biodiversité et d’écologie marine et continentale (Imbe), del CNRS, dell’Université d’Avignon, dell’IRD e dell’Université Aix-Marseille, esistono cinque grandi problematiche che i Paesi del bacino del Mediterraneo dovranno affrontare nei prossimi anni, ovvero l’accesso sicuro all’acqua potabile, l’approvvigionamento alimentare, la conservazione degli ecosistemi, la salute delle persone e la sicurezza delle infrastrutture. Anche se l’aumento della temperatura globale si dovesse limitare ai 2 °C entro la fine del secolo – le principali agenzie internazionali, in particolare l’Ipcc (Gruppo intergovernativo delle Nazioni Unite per la ricerca sui cambiamenti climatici), indicano la soglia massima dei 2 °C se vogliamo evitare una vera e propria catastrofe climatica – le precipitazioni estive nell’area mediterranea diminuirebbero drasticamente. Il calo sarebbe compreso tra il 10% e il 30%, a seconda della regione presa in considerazione. Il calo delle precipitazioni aggraverebbe la mancanza d’acqua (Figura 1) e provocherebbe, di conseguenza, un forte calo della produzione agricola, che investirebbe soprattutto le regioni più a Sud. Inoltre, si avrebbero periodi di siccità più frequenti e con una durata maggiore, mentre i periodi piovosi, al contrario, diventerebbero più rari ma più violenti.

 

Figura 1. Risorse naturali annue di acqua rinnovabile nei principali bacini idrografici del Mediterraneo. Le risorse sono espresse come livello pro capite di carenza d’acqua per uso umano (fonte: Nature Climate Chance)

 

Per quanto riguarda l’aumento del livello del mare, negli ultimi anni, la superficie del Mediterraneo ha registrato una crescita di 60 millimetri. Questa tendenza, sottolinea lo studio, è in forte crescita a causa dell’aumento delle temperature medie registrate nell’area, dello scioglimento dei ghiacciai al Polo Nord e di una significativa acidificazione delle acque del bacino. Dal momento che buona parte della CO2 prodotta dall’attività antropica viene assorbita proprio dal mare, l’acidificazione delle acque rappresenta un enorme problema per l’equilibro dell’area mediterranea. Infatti, maggiore sarà il livello di acidificazione, minore sarà la capacità del mare, sempre più saturo, di recuperare biossido di carbonio. Per quanto riguarda poi la salute umana, uno dei cinque temi presi in esame dallo studio, potremmo assistere ad un aumento vertiginoso del raggio d’azione di alcune malattie, in particolare del virus del Nilo occidentale, che si potrebbero diffondere in tutta l’area mediterranea nei prossimi anni. Inoltre, fanno sapere i ricercatori, potrebbe aumentare il numero di persone affette da malattie cardiovascolari e respiratorie, causate dell’aumento dell’inquinamento atmosferico che si registrerebbe se dovesse persistere il trend attuale.

 

L’Italia tra i 10 Paesi più a rischio a livello globale

In Italia, nel 2018, siccità, alluvioni, tempeste, ondate di calore e altri fenomeni climatici estremi hanno causato danni economici per oltre 750 milioni di euro solo al settore agricolo. La stima è stata resa nota dalla Coldiretti, l’associazione di categoria del mondo dell’agricoltura italiano, che ha fatto un bilancio dei danni economici prodotti dall’ondata di maltempo che ha investito in questi giorni il nostro Paese. Il 2018 è stato l’anno più caldo dal 1800 (anno in cui sono iniziate le rilevazioni) con una temperatura media superiore di 1,53 °C rispetto alla media nei primi nove mesi dell’anno, durante i quali si sono alternati periodi di intense precipitazioni a momenti di siccità. E la Coldiretti non è l’unica a lanciare l’allarme per l’Italia. Negli ultimi vent’anni, fa sapere l’UNISDR, l’organismo delle Nazioni Unite per la riduzione dei disastri naturali, gli eventi climatici estremi hanno provocato perdite per quasi 49 miliardi di euro. Questo fa sì che l’Italia si collochi tra i 10 Paesi più colpiti al mondo per alluvioni, tempeste, siccità, ondate di calore e terremoti che nel periodo considerato, a livello globale, hanno provocato perdite economiche per oltre 2.500 miliardi di euro, il 77% dei quali a causa dei cambiamenti climatici.


Nota:

L’immagine d’intestazione dell’articolo mostra un uliveto in Puglia dopo le forti precipitazioni che hanno interessato la regione negli ultimi giorni. 

Un canale di Amsterdam

Nei Paesi Bassi si “pesca” la plastica e si realizzano piste ciclabili con materiali riciclati

A Zwolle, cittadina dei Paesi Bassi, è stata realizzata la prima pista ciclabile interamente realizzata con plastica riciclata. Ad Amsterdam, un’iniziativa locale. Plastic Whale, organizza tour a bordo di undici imbarcazioni elettriche realizzate con plastica riciclata per pulire i canali della città. 


A Zwolle realizzata la prima Plastic Road al mondo

Nei Paesi Bassi si pedala sulla plastica riciclata. A Zwolle, cittadina ad un’ora di treno da Amsterdam, è stata aperta la prima pista ciclabile interamente realizzata con bottiglie, tappi e altri scarti di plastica riciclati. La nuova Plastic Road  (Figura 1), com’è stata denominata, è stata realizzata attraverso pannelli modulari realizzati con materiali plastici riciclati, vuoti all’interno in modo da poter immagazzinare l’acqua piovana. In questo modo, l’acqua defluisce direttamente nelle condutture fognarie senza bisogno che ci siano tombini sul manto stradale. Il progetto pilota è stato ideato da una società olandese di ingegneria civile, la Kws, in collaborazione con Wavin e Total e, non a caso, è stata scelta la cittadina di Zwolle per realizzarlo. Zwolle è una piccola città medievale molto ben conservata che nel 2014 ha vinto il premio come “miglior città a misura di ciclisti” dei Paesi Bassi. La produzione prefabbricata, la leggerezza e il design modulare della Plastic Road, fanno sapere gli ideatori del progetto, rendono la realizzazione e la manutenzione più veloce, semplice ed efficiente rispetto alle strutture stradali tradizionali. Inoltre, poiché la pista è fatta interamente di plastica riciclata, ha un minor impatto in termini ambientali e minori emissioni di CO2 durante il suo utilizzo, rispetto alle normali piste ciclabili asfaltate.

 

Figura 1. Pista ciclabile realizzata con plastica riciclata a Zwolle, nei Paesi Bassi

 

Per ora, si tratta di appena 30 metri di pista ciclabile, per i quali è servita una quantità di plastica pari a 218 mila bicchieri. Tuttavia, la Plastic Road realizzata a Zwolle non rimarrà un caso isolato: nel mese di novembre, fa sapere la società che ha realizzato l’opera, sarà istallata una seconda pista ciclabile interamente realizzata con plastica riciclata anche nella vicina città di Overijssel. La società fa sapere inoltre che sta cercando altre città dove realizzare parcheggi, banchine dei treni e marciapiedi, usando la stessa tecnica impiegata per la pista ciclabile.

 

Nei canali di Amsterdam si "pesca" la plastica

La plastica gettata via non è solo un rifiuto, ma un’eccellente materia prima. Ad Amsterdam, è nato un progetto, Plastic Whale  con un’ambiziosa missione: rendere le acque del mondo senza plastica e creare valore dai rifiuti di plastica (si legge sul sito). Per ora, si occupa di organizzare tour per i canali della città a bordo di undici imbarcazioni realizzate con plastiche riciclate e alimentate ad energia elettrica. Su queste barche i turisti, muniti di retino, vengono accompagnati lungo i canali a raccogliere tutti i rifiuti che avvistano in acqua, soprattutto plastica. Chi recupera l’oggetto più strano vince anche un premio, fanno sapere gli organizzatori. Il tour costa 25 euro e ha una durata di due ore, inclusi snack e bevande, i cui imballi vengono poi naturalmente riciclati.  

 

Figura 2. Alcuni partecipanti all’iniziativa in azione in un canale di Amsterdam (foto: Plastic Whale)

 

All’iniziativa hanno già aderito circa 21 mila persone e quest’anno, fanno sapere gli organizzatori, sono stati raccolti 3 mila sacchi di rifiuti e oltre 30 mila bottiglie di plastica nei canali di Amsterdam. Ora che la plastica raccolta è sufficiente per costruire le imbarcazioni necessarie per la “pesca”, Plastic Whale ha iniziato a collaborare con un’azienda per la trasformazione delle bottiglie di plastica raccolte in feltro, una stoffa che viene utilizzata a sua volta per il rivestimento dei mobili da interno. Insomma, nei Paesi Bassi, il desiderio di un mondo più pulito, finalmente libero dai rifiuti plastici, è molto sentito. A volte, le soluzioni più semplici, quelle che sembrano più a portata di mano, sono anche le più efficaci.


Nota:

L’immagine d’intestazione dell’articolo mostra un canale di Amsterdam. La foto è stata scattata da Andrea Campiotti (autore dell'articolo).

 

48167817_930258887171840_8241772869265129472_o

Rendere le città più verdi e sostenibili sarà la sfida dei prossimi anni

Nonostante rappresentino soltanto il 3% della superficie terrestre, le città sono responsabili, a livello globale, dell’80% del consumo di risorse naturali e producono oltre il 70% di tutte le emissioni di gas serra. “Rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, duraturi e sostenibili”, come recita l’Obiettivo 11 dell’Agenda 2030, rappresenta una delle principali sfide da affrontare nei prossimi anni. 


Consumiamo le risorse di 1,7 pianeti

All’inizio del ‘900, le città con una popolazione superiore ad 1 milione di abitanti erano solo 12 in tutto il mondo. Nel 2017 erano 500. Nel 2030 le “mega-città” con una popolazione superiore ai 10 milioni di abitanti saranno almeno 40. Secondo il rapporto McKinsey “Global cities of the future, il 65% del PIL prodotto nei prossimi 13 anni si concentrerà nei 600 grandi centri urbani del mondo. Da un lato, le città produrranno maggiore ricchezza e benessere per i cittadini, dall’altro, causeranno enormi problemi di ordine energetico ed ambientale. Nonostante rappresentino soltanto il 3% della superficie terrestre, le aree urbane sono responsabili, a livello globale, dell’80% del consumo complessivo di risorse naturali e producono oltre il 70% di tutte le emissioni di gas serra. A questo proposito, dati significativi emergono dal calcolo dell’impronta ecologica delle città sul nostro Pianeta, uno strumento di contabilità ambientale che assegna ad ogni bene di consumo (ad esempio, un chilo di pane o un chilowattora di energia) una porzione di terra sufficiente a rigenerare le risorse consumate e le emissioni causate per la sua produzione. In altri termini, l’impronta ecologica rappresenta la misura della velocità con cui la popolazione mondiale utilizza le risorse naturali offerte dalla Terra. L’unità di misura dell’impronta ecologica viene espressa in ettari globali di terreno utilizzati per produrre e, al contempo, riprodurre le risorse consumate per sostenere gli stili di vita della popolazione mondiale. I dati indicano che attualmente stiamo consumando le risorse naturali ad una velocità tale che non hanno il tempo di rigenerarsi. Il Global Footprint Network, think tank internazionale che misura l’impronta ecologia dell’uomo sulla Terra, ogni due anni comunica l’Overshoot Day (letteralmente, il “Giorno del sorpasso”) cioè il giorno in cui la popolazione mondiale ha consumato tutte le risorse naturali che il Pianeta è stato in grado di produrre per quell’anno e ha emesso una quantità di CO2 superiore a quella che l’ecosistema terrestre è stato in grado di assorbire. Ogni anno, dagli anni ’70 ad oggi, l’Overshoot Day  ha avuto una cadenza annuale sempre più ridotta e, quest’anno, si è registrato il 1° agosto, con un giorno di anticipo rispetto al 2017. Allo stato attuale, fa sapere il Global Foodprint Network, abbiamo bisogno di circa 1,7 pianeti Terra per mantenere i nostri consumi a livello globale (Figura 1).

 

Figura 1. Impronta ecologica nel mondo (fonte: Global Foodprint Network 2017)

 

Quanto consumano le città

Una città con una popolazione di un milione di abitanti consuma ogni giorno 9.500 tonnellate di combustibile, 625.000 tonnellate di acqua potabile e 1.800 tonnellate di cibo (Rifkin J. 1992). Nell’area mediterranea, secondo uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Enrivonmental Science & Policy, nel 2017 le città che hanno fatto registrare i valori più elevati in termini di consumi sono state Venezia, Genova, Roma, Napoli e Palermo. L’impronta ecologica pro capite più alta si è registrata ad Atene, Barcellona, Roma, Marsiglia, Genova e La Valletta. Al contrario, Il Cairo, Tunisi, Alessandria e Tirana sono state le città con i valori più bassi in termini di impronta ecologica. Gli elevati consumi di risorse naturali, le emissioni di gas climalteranti e l’impronta ecologica delle città hanno posto l’accento, negli ultimi anni, sulla necessità di mettere in campo delle iniziative per la salvaguardia dell’ambiente e lo sviluppo sostenibile delle città. Tra queste, la più rilevante è il Patto Globale dei Sindaci per il Clima e l’Energia, un movimento di autorità locali e regionali di tutto il mondo impegnato a raggiungere e superare gli obiettivi globali in tema di energia e lotta ai cambiamenti climatici. Il movimento era nato con il nome Patto dei Sindaci in Europa, nel 2008, con l’ambizione di aumentare l’efficienza energetica e l’uso di fonti di energia rinnovabili nei vari Paesi europei. Nel 2017 il movimento è diventato globale e, ad oggi, riunisce oltre 7 mila enti locali e regionali in 57 Paesi del mondo. Un’altra iniziativa di livello internazionale è il C40 Cities Climate Leadership Group, una rete formata da oltre 80 grandi città del mondo che rappresentano circa 600 milioni di persone, che ha l’obiettivo di sviluppare progetti volti a contrastare i cambiamenti climatici. Tra i principali impegni assunti dal C40 compaiono la riduzione delle emissioni di CO2 (da una media annuale per cittadini di circa 5 t CO2eq a ad una di 2,9 t di C02eq entro il 2030) e lo sviluppo di Piani d’azione a sostegno di iniziative per la sostenibilità energetica e ambientale delle città (Tabella 1).

 

CITTA’

PROGRAMMA

OBIETTIVO

DIMENSIONI

Basilea

 

Coperture vegetali (23% della superficie totale).

700.000 m2

Sheffield

 

Università e Green Roof Centre

Coperture vegetali per gli edifici pubblici (scuole, uffici ecc).

25.000 m2

Londra (UK)

London Great Outdoors (2009)

Realizzazione di tetti verdi.

 

500.000 m2

Milano

Bosco verticale

Grattacielo composto di due torri di 112 e 80 metri.

800 alberi, 19 essenze vegetali

 

 

 

 

Milano

Progetto Ospedale Policlinico

Realizzazione di un giardino pensile a disposizione dei cittadini.

6.000 m2

Stoccarda

Obbligo di rispetto di quote verdi per gli edifici pubblici (2008)

Corridoi verdi di ventilazione per raffrescamento aria.

Piantumazione e adozione alberi da parte dei cittadini.

60% dell’area urbana verde

Rotterdam

Studio per gli edifici pubblici per diverse utilizzazioni dei tetti

Tetti verdi per i cittadini e la biodiversità, per la raccolta di acqua, per produrre energia.

Realizzati 14 km2 (tetti verdi)

 

Budapest

Angelo Verde

Collegamenti verdi tra le aree della città.

 

Berlino

Biotope Area Factor(BAF 1994))

Introduzione quote verdi per edifici di nuova costruzione.

 

Madrid

Madrid + Natural (2016)

Realizzazione facciate e tetti verdi.

 

Milano

Progetto Ospedale Policlinico

Realizzazione di un giardino pensile a disposizione dei cittadini.

6.000 m2

Bologna

Green Areas Inner-city Agreement (GAIA, 2010)

Incremento numero di alberi.

3000 nuovi alberi per assorbimento di 4000 t CO2

Torino

Progetto Orti Alti

Soluzioni verdi per gli edifici.

Recupero delle coperture delle fonderie dell’ex-fabbrica Ozanam

Faenza

Extra Cubatura (2010)

Realizzazione di due bio-quartieri con tetti/pareti verdi.

 

Mirandola

Un “Bosco in Città”

Completamento forestazione urbana e realizzazione cintura verde cittadina.

130 ha

Los Angeles

Million Tree Program e City Plants (2006)

Piantumazione di un milione di alberi.

 

Chicago

The Green Alley Program (2001-2017)

Realizzazione di oltre 300 “vialetti verdi”.

 

New York

NYC Cool Roofs

Rivestimento dei tetti con vernice bianca isolante per ridurre i consumi di energia.

635.000 m2

Londra

Piano di Sviluppo London Great Outdoors

Azioni di “urban greening”.

Incrementare la superficie a verde pubblico del 5% al 2030 e del 10% al 2050

Tabella 1. Esempi di programmi di resilienza delle città nel mondo.

 

L’importanza del verde urbano

L’impiego e la diffusione del verde urbano giocano un ruolo fondamentale nella lotta ai cambiamenti climatici e rappresentano una delle strategie che i sindaci di tutto il mondo hanno deciso di adottare per dare ossigeno alle città e migliorare la vita dei cittadini. Da qui la convinzione, sempre più forte, di considerare l’elemento vegetale un vero e proprio componente nella costruzione degli edifici (Figura 2). Nelle città del 21° secolo, avere un’ambiente urbano ricco di biodiversità, migliorare il comfort microclimatico e fare efficienza energetica rappresentano alcune tra i principali obiettivi che le amministrazioni locali devono portare a termine. In questa realtà, il verde urbano può fare la sua parte: oltre ai benefici in termini di riqualificazione energetica e di rigenerazione urbana, la vegetazione in città contribuisce ad assorbire sostanze contaminanti e a trattenere le particelle sospese nell’aria, limitando il fenomeno del surriscaldamento urbano (Tabella 2).

 

Figura 2. Edificio verde a Largo Febo, nei pressi di Piazza Navona (Roma)

 

INQUINANTE

FORMULA CHIMICA

QUANTITÀ ABBATUTA

Monossido di carbonio

CO

2.500

µg/m2 ora

Cloro

Cl

2.000

µg/m2 ora

Fluoro

F

100

µg/m2 ora

Ossidi di Azoto

NOx

2.000

µg/m2 ora

Ozono

O3

80.000

µg/m2 ora

PAN (Perossiacetilnitrato)

CH3(CO)-O-ONO2

2.000

µg/m2 ora

Anidride Solforosa

SO2

500

µg/m2 ora

Ammoniaca

NH3

400

µg/m2 ora

Tabella 2. Inquinanti presenti nelle aree urbane

 

La necessità di rigenerare le città nella direzione della sostenibilità energetica e ambientale viene riconosciuto inoltre dall’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, tra i suoi 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs). L’11° obiettivo dell’Agenda recita: “rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, duraturi e sostenibili” entro il 2030. Si tratta di un obiettivo che va perseguito a livello locale, regionale, nazionale e ovviamente globale, e di una delle principali sfide che l’uomo dovrà affrontare nei prossimi anni.


Fonti:

  • Wackernagel M. e Rees W, 1996;
  • Jeremy Rifkin. 1992;
  • Scudo G., Ochoa de la Torre José M. “Spazi verdi urbani”. SE edizioni. 2003.

 

Nota:

L’immagine d’intestazione dell’articolo mostra uno scorcio della Promenade Plantée, a Parigi. Si tratta di una lunga passeggiata pedonale alberata, che si estende per quasi 5 km, realizzata sul tracciato di una vecchia linea ferroviaria sopraelevata, oggi dismessa. La figura 2 mostra un edificio verde a Largo Febo, nei pressi di Piazza Navona, a Roma (Roma si fa verde”). Entrambe le foto sono state scattate da Andrea Campiotti (autore dell’articolo).