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Tetti verdi contro il cambiamento climatico

Contribuiscono a ridurre i consumi di energia per la climatizzazione degli edifici, aumentando l’isolamento del lastrico solare anche del 42%, e riescono ad assorbire fino al 50% di acqua piovana, attenuando gli effetti delle “bombe d’acqua” e regolando il deflusso nel sistema idrico urbano. 


Non solo pareti, ma anche tetti verdi

Contribuiscono a ridurre i consumi di energia per la climatizzazione degli edifici e riescono ad assorbire fino al 50% di acqua piovana, regolando il deflusso nel sistema idrico urbano. Queste sono solo alcune tra le molteplici funzionalità del “verde orizzontale”. L’adozione dei tetti verdi (green roofs) si sta diffondendo vertiginosamente nel settore residenziale in due direzioni: quella della riqualificazione energetica degli edifici e quella meramente decorativa. Sul tema dei tetti verdi, si è tenuto lo scorso 22 ottobre a Genova, presso l’edificio Matitone (sede del Comune), il convegno “Efficienza Energetica e Sostenibilità ambientale” (Figura 1), organizzato nell’ambito del Progetto ES-PA (“Energia e Sostenibilità per la Pubblica Amministrazione”). Il convegno ha visto la partecipazione di amministratori locali, funzionari del Comune di Genova, esperti e ricercatori dell’ENEA (Agenzia Nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile), che è partner nel progetto.

 

Figura 1. Locandina del convegno “Efficienza Energetica e Sostenibilità ambientale”

 

La realizzazione di tetti verdi, è stato sottolineato nel corso del convegno, coinvolge differenti ambiti produttivi: edile, residenziale, tecnico, agronomico e vivaistico. Tra le principali caratteristiche che devono avere i tetti verdi, hanno particolare rilievo l’impermeabilizzazione della copertura vegetale, il corretto drenaggio dell’acqua, il controllo delle radici e l’uso di un substrato per la crescita delle piante che si vogliono coltivare sul tetto (Figura 2).

 

Figura 2. Principali caratteristiche del tetto verde

 

Il valore aggiunto di un tetto verde, spiegano gli esperti, si basa sulle proprietà delle piante verdi considerate “materiali freddi” e quindi in grado di mantenere una temperatura superficiale vicina a quella dell’aria esterna. Al contrario, “materiali caldi”, come asfalto e cemento, nei mesi estivi possono raggiungere temperature molto elevate, anche superiori ai 50 °C. Questo vantaggio termico è dovuto all’albedo, cioè alla capacità della piante di riflettere la radiazione solare incidente, e alla loro scarsa emissività. In questo modo, non riscaldano eccessivamente l’aria circostante (emettono meno radiazione infrarossa, ossia meno calore, riducendo il surriscaldamento dell’aria e delle superfici adiacenti alla vegetazione) e contribuiscono al raffrescamento dell’edificio.

 

L’ENEA realizza un tetto verde dimostrativo

Numerose ricerche sul tema dei tetti verdi sono in corso. Al Centro Ricerche Casaccia dell’ENEA (Roma), i ricercatori del Dipartimento Unità Efficienza Energetica stanno studiando i benefici legati alla realizzazione di coperture verdi orizzontali su case ed edifici urbani. Secondo i ricercatori dell’ENEA, i tetti verdi avrebbero maggiore efficacia nel periodo estivo, grazie alla capacità di abbattere la temperatura del lastrico solare privo di vegetazione anche di 25 °C, contribuendo a migliorare il comfort microclimatico interno all’edificio (Figura 3).
 

Figura 3. Temperatura delle superfici messe a verde e di quella prive di vegetazione sul tetto verde dimostrativo

 

All’ENEA è stato inoltre realizzato, ormai da un anno, un tetto verde dimostrativo presso l’edificio “Scuola delle Energie” del Centro Ricerche Casaccia (Figura 4). Il tetto verde poggia su uno spessore di terreno di appena 20 centimetri e vi si coltivano piante perenni, come Sedum ed Echium (“erba viperina”), due specie ideali adatte al nostro clima mediterraneo. Le prime analisi condotte sulla piattaforma dimostrativa, fanno sapere i ricercatori dell’ENEA, mostrano che il tetto verde aumenta l’isolamento del lastrico solare di oltre il 42%. Questo comporta un aumento della capacità di coibentazione del solaio e, di conseguenza, una riduzione del flusso di calore dall’ambiente esterno a quello interno dell’edificio, in estate, e un minore passaggio di calore dall’ambiente interno a quello esterno, in inverno.

Figura 4. Tetto verde dimostrativo realizzato presso la “Scuola delle Energie” del Centro Ricerche Casaccia dell’ENEA (Roma)

 

Le coperture vegetali realizzate sui tetti o sui lastrici solari degli edifici contribuiscono inoltre a ridurre la pericolosità di eventi meteorologici estremi, come forti acquazzoni e piogge torrenziali improvvise, le cosiddette “bombe d’acqua”, che si abbattano sempre più spesso sulle città. Infatti, mentre la capacità di trattenere l’acqua, data dal coefficiente di deflusso dell’acqua piovana Ψ (Ψ è pari a 0 se la superficie è permeabile, ad 1 se la superficie è impermeabile), delle coperture tradizionali è pari a 0,80-0,95, quella dei tetti verdi diminuisce verso valori compresi tra 0-0,30. In altri termini, il tetto verde protegge l’edificio dalle piogge torrenziali, attenuando fortemente l’intensità e i volumi del deflusso dell’acqua piovana. Nonostante i molteplici vantaggi offerti dai tetti verdi, gli esperti raccomandano che la messa a verde del lastrico solare o del tetto di un edificio deve avvenire dopo una valutazione generale dei fattori che ne determinano il successo. Infatti, occorre valutare le condizioni statiche dell’edifico, la scelta delle piante, la tipologia e lo spessore del substrato, la facilità di manutenzione, gli impianti di irrigazione, gli eventuali vincoli degli enti pubblici (comuni, Sovrintendenza, ecc.) e condominiali e la normativa vigente. A questo proposito, la norma UNI 11235 divide i tetti verdi in due tipologie: quelli estensivi e quelli intensivi. Le differenze tra le due tipologie di tetto verde sono nello spessore o nel peso della stratigrafia, nelle spese economiche da sostenere e nei consumi di corrente elettrica per gli interventi di irrigazione. Rileva inoltre la contabilizzazione tecnica di tutte le attività agronomiche come apporti idrici, potatura, sfalciatura, raccolta delle foglie caduche, ecc. (Figura 5).

 

Figura 5. Tipologie di tetto verde secondo la norma UNI 11235

 

La legislazione attuale

La Commissione europea incoraggia l’adozione di questo tipo di soluzioni naturali al fine di migliorare le prestazioni energetiche degli edifici, in particolare, di quelli urbani. Per diminuire i consumi energetici dovuti al riscaldamento e al raffrescamento degli edifici, che in Europa rappresentano circa il 40% dei consumi energetici totali, la nuova Direttiva Efficienza Energetica (UE) 2018/844 del 30 maggio 2018, invita i sindaci europei a favorire lo sviluppo di piani d’azione volti alla realizzazione e alla diffusione di tetti e pareti verdi, giardini pensili, coltivazione di siepi e alberi lungo le strade e nelle adiacenze degli edifici. Per quanto riguarda l’Italia, sarà in vigore fino a dicembre il cosiddetto “Bonus verde”, introdotto con la Legge di Bilancio 2018 (l’Italia è stato uno dei primi paesi a livello europeo ad inserire una misura di questo tipo), che consiste in una detrazione IRPEF fino al 36% sulle spese sostenute per interventi di messa a verde di aree scoperte dell’edificio, di unità immobiliari, di pertinenze e recinzioni, per un massimo di 5.000 euro.


Fonti per approfondire:

  • “Coperture a verde e risorsa idrica”. Elena Giacomelli. Franco Agenli, ed.2012;
  • UNI 11235: Istruzioni per la progettazione, l'esecuzione, il controllo e la manutenzione di coperture a verde, 2007(aggiornamenti 2015);

 

Nota:

L'immagine d'intestazione dell'articolo mostra il tetto verde dimostrativo realizzato presso la "Scuola delle Energie" del Centro Ricerche Casaccia dell'ENEA (Roma).

 

Isola di San Giorgio, Venezia. Foto di Andrea Campiotti

Ecco i siti Unesco più a rischio a causa dei cambiamenti climatici

Da Venezia a Ferrara, da Paestum a Siracusa, da Sabratha ad Efeso, un recente studio pubblicato sulla rivista scientifica Science Communications elenca decine di siti Unesco nell’area costiera mediterranea che rischiano di essere danneggiati, o addirittura distrutti, da alluvioni ed erosioni entro la fine del secolo. 


Venezia e le isole della Laguna potrebbero essere sommerse da una serie di violente alluvioni. La stessa sorte potrebbero patire Ferrara, una delle città-simbolo del Rinascimento, e Aquileia, famosa per i suoi mosaici romani. E poi ancora Vicenza, Napoli, Pisa, Genova e Ravenna. Al di fuori dell’Italia, sono fortemente a rischio la Medina di Susa, in Tunisia, il sito archeologico di Sabratha, in Libia, e la città di Dubrovnik (“Ragusa della Dalmazia”), in Croazia. L’erosione costiera minaccia poi i siti archeologici di Paestum, Pompei, Siracusa e Noto, l’Heraion dell’Isola di Samo, in Grecia, e gli scavi dell’antica città di Efeso, in Turchia. L’elenco potrebbe proseguire. Questi sono alcuni tra i principali siti patrimonio dell’umanità secondo l’Unesco (Organizzazione delle Nazioni Unite per l'educazione, la scienza e la cultura) che rischiano di essere danneggiati, o addirittura completamente distrutti, entro la fine del secolo, a causa dei cambiamenti climatici. A dirlo è un recente studio pubblicato sulla rivista scientifica Nature Communications, condotto da un team di ricercatori dell’Università di Kiel (Germania). Lo studio ha preso in esame una serie di siti Unesco che si trovano nell’area costiera mediterranea e per ciascuno di essi ha usato alcuni parametri, tra i quali la zona, la conformazione fisica, la tipologia d’insediamento, la distanza dalla costa e la collocazione in contesti urbani o rurali. Sulla base delle caratteristiche dei siti, i ricercatori hanno valutato i possibili effetti dell’innalzamento del livello del mare, dovuto all’aumento della temperatura globale, elaborando quattro diversi scenari per la fine del secolo. Tra questi, quello più ottimista prevede che si riesca a contenere l’aumento della temperatura globale entro i 2 °C (rispetto ai livelli preindustriali del 1850) entro la fine del secolo, in linea con l’Accordo di Parigi. Limitare l’aumento della temperatura globale ai 2 °C entro il 2100, sottolinea lo studio, sarebbe un traguardo, dal momento che l’ultimo Special Report dell’Ipcc (Gruppo intergovernativo delle Nazioni Unite per la ricerca sui cambiamenti climatici), prevede che, con il trend attuale, potremmo arrivare ad aumento della temperatura globale di 3 – 4 °C entro la fine del secolo. Sulla base delle previsioni sull’aumento della temperatura globale e delle caratteristiche dei luoghi, il team di ricercatori ha stimato, per ciascuno dei siti Unesco, le possibili conseguenze relative a due fenomeni di origine climatica: l’alluvione e l’erosione delle coste. E i risultati non sono dei migliori. Dallo studio emerge infatti che, già oggi, su 49 siti presi in esame, 37 rischiano di subire un’alluvione distruttiva che ha l’1% di probabilità di verificarsi ogni anno. 42 siti su 49, invece, potrebbero subire gravi danni a causa dell’erosione delle coste. Se il livello del mar Mediterraneo si dovesse alzare di circa 1 metro e mezzo entro il 2100, sottolinea lo studio, il rischio di subire un’alluvione distruttiva aumenterebbe del 50% e quello di subire gravi danni per l’erosione delle coste del 13%. Tuttavia, rilevano i ricercatori, quest’ultimo scenario ha una probabilità minima (circa il 5%) di verificarsi. Alla luce degli ultimi dati sull’aumento delle temperatura globale e dei rischi cui si andrà incontro se non si agirà prontamente contro il cambiamento climatico, fenomeni estremi, come alluvioni ed erosioni, potrebbero verificarsi con maggiore frequenza nei prossimi anni. L’unica soluzione, spiegano i ricercatori che hanno condotto lo studio, è adottare quanto prima delle misure per mettere in sicurezza i siti Unesco presi in esame, che rappresentano luoghi di inestimabile valore storico, artistico e culturale. Tuttavia, sottolinea lo studio, gli sforzi per salvaguardare l’enorme patrimonio potrebbero essere minimi, se non inutili, senza un impegno concreto a rispettare gli obiettivi dell’Accordo di Parigi, primo fra tutti, quello che punta a limitare l’aumento della temperatura globale entro i 2 °C (con volontà di contenerlo entro gli 1,5 °C) entro la fine del secolo.


Nota:

L’immagine d’intestazione dell’articolo mostra l’Isola di San Giorgio vista da Piazza San Marco (Venezia). La foto è stata scattata da Andrea Campiotti (autore dell'articolo).

“Mur Vegetal” a Parigi. Foto di Andrea Campiotti

Il verde urbano può rigenerare le nostre città

Il verde urbano consente di utilizzare le superfici offerte dal vasto patrimonio edilizio delle città, migliorandone le condizioni ambientali e contribuendo alla riqualificazione energetica degli edifici. A questo proposito, la recente Direttiva(UE) 2018/844 indica l’adozione di soluzioni di tipo naturale, come vegetazione stradale, tetti e pareti verdi al fine di isolare e/o ombreggiare gli edifici e migliorare il microclima urbano.


I molteplici benefici del verde urbano

Il verde è da sempre considerato un elemento di progettazione nell’ambito dell’architettura. Tuttavia, in passato, il suo uso era limitato al solo scopo decorativo. Oggi, invece, la realizzazione di coperture vegetali è considerato un componente edilizio a pieno titolo. L’integrazione del verde nelle aree urbane, spesso ad elevata densità di costruzioni, consente di utilizzare le superfici offerte dal vasto patrimonio edilizio, migliorandone le condizioni ambientali e contribuendo alla riqualificazione energetica degli edifici. Il tutto, in linea con gli obiettivi previsti dal Protocollo di Kyoto e dalle principali direttive europee in materia di efficienza energetica degli edifici e rigenerazione urbana. Il fenomeno del riscaldamento degli edifici urbani viene associato, in generale, ad una serie di fenomeni fisici: assorbimento della radiazione solare, aumento del calore immagazzinato dall’edificio e basso indice di evapotraspirazione dovuto alla scarsa presenza di vegetazione. In questa realtà i sistemi vegetali possono agire da strato isolante per le pareti e i lastrici solari, aumentando il valore di R (nell’ambito dell’edilizia, R è un valore che misura l’efficacia di isolamento: ad un valore elevato di R corrisponde un livello di isolamento maggiore) e trattenendo l’aria che si crea tra la vegetazione e la parete dell’edificio. Una buona parte dell’energia solare assorbita dalle piante evapora poi attraverso il fenomeno della traspirazione (un fenomeno fisico in virtù del quale l’acqua passa dallo stato liquido allo stato di vapore nell’atmosfera) e, consente il raffrescamento dell’ambiente confinante (durante il processo di evaporazione la pianta assorbe energia termica e disperde acqua nell’atmosfera sotto forma di vapore). In questo modo, le piante favoriscono la dissipazione termica (si calcola che con l’evapotraspirazione di 1 grammo di acqua le piante arrivino a consumare circa 0,6kcal) che, in relazione a superfici ampie di verde, contribuiscono a mitigare significativamente il surriscaldamento dell’aria che interessa in particolar modo le città, soprattutto nel periodo estivo.

 

Le specie vegetali più idonee

Per quanto riguarda la capacità di schermare la radiazione solare, le specie vegetali migliori sono quelle che presentano una percentuale di trasmissione della radiazione solare incidente inferiore al 15% e una traspirazione giornaliera non inferiore a 8 grammi di acqua per ogni grammo di foglia verde. A questo proposito, è stato calcolato che una massa fogliare di grandi dimensioni, attraverso la traspirazione, produca un raffrescamento equivalente alla capacità di 5 condizionatori d’aria di piccola potenza attivi per 20 ore al giorno. Sotto il profilo tecnico, la migliore soluzione per la crescita di piante rampicanti sugli edifici è quella di usare grigliati metallici, reti e tralicci modulari come supporto per le piante. Questi elementi possono essere montati con strutture autosostenenti che permettono il mantenimento e l’integrità delle costruzione (Figura 1), ma anche essere applicati direttamente sulla parete dell’edificio (Figura 2).

 

Figura 1. Copertura vegetale verticale realizzata presso la Scuola delle Energie dell’ENEA Casaccia, Roma (piattaforma dimostrativa)

 

Figura 2. Copertura vegetale di tipo parietale (“Mur Vegetal” a Parigi, in Rue d’Abukir 83, II arrondissement)

 

Il verde parietale viene solitamente realizzato utilizzando piante rampicanti, che possono essere radicate nel terreno alla base della costruzione, oppure disposte in vasi disposti a diverse altezze della facciata dell’edificio (Figura 3).

 

Figura 3. Tipologie di copertura verde di tipo parietale

 

Le specie vegetali di tipo rampicante (Figura 4) più idonee ad essere usate per una copertura verde si distinguono in tre categorie principali: 

  • Volubili: piante che presentano appositi organi di adesione, come cirri, rami o foglie, trasformati in sottili filamenti che avvolgono il supporto. Questo tipo di organi è comune nelle piante leguminose. Altri esempi sono i viticci della vite e i dischi adesivi del Parthenocissus;
  • Aggrappanti: specie che sviluppano particolari organi che consentono loro di rimanere ancorate al supporto tecnico. Di questa categoria fanno parte, ad esempio, il Ficus pumila L. (fico rampicante)el’Edera helix L. (edera comune);
  • Sarmentose: piante non strettamente rampicanti che crescono in presenza di punti di appoggio, senza i quali assumono un portamento ricadente. Di questa tipologia di piante fanno parte il Jasminus nudiflorum Lindl. (gelsomino di San Giuseppe), il rovo e il lampone. 

 

Figura 4. Modalità di ancoraggio e/o di sostegno delle specie vegetali rampicanti

 

Scegliere piante autoctone

Per realizzare una copertura verde è rilevante la scelta di piante che abbiano una ridotta richiesta di risorse idriche, di nutrimento e di manutenzione. Una regola progettuale da seguire per la messa a verde degli edifici è quella di impiegare piante autoctone. Queste, essendosi naturalmente evolute in un’area con una data fascia climatica o in un preciso bioma (in biologia, un bioma corrisponde ad un sistema complesso, di ampia estensione geografica, costituito da un insieme di ecosistemi, le cui comunità vegetali hanno raggiunto una certa stabilità in relazione alle condizioni ambientali dell’area), sono in equilibrio sia con il luogo d’origine che con i parassiti che vi vivono. Le specie autoctone, sia vegetali che animali, sono quelle tipiche e storicamente rilevabili in una data regione geografica e per questo sono chiamate anche “specie indigene”. Al contrario, le specie alloctone, provengono da una certa regione geografica e si spostano in un’altra attraverso l’opera volontaria o involontaria dell’uomo. Alcune specie alloctone possono creare problemi di sviluppo a quelle autoctone, entrando in competizione con loro o introducendo casualmente un parassita nella medesima area di convivenza. Quest’ultimo potrebbe trovare favorevole una determinata specie vegetale autoctona e, in seguito, avviare un’opera di infestazione sulle altre specie (autoctone). Negli ultimi anni, sono state sviluppate numerose ricerche circa la necessità di migliorare l’efficienza energetica degli edifici e la qualità ambientale delle città. Tra queste, la recente Direttiva(UE) 2018/844 indica l’adozione di soluzioni di tipo naturale, quali la vegetazione stradale (ben progettata), tetti e pareti verdi per isolare e/o ombreggiare gli edifici e migliorare il microclima urbano.


Fonti:

  • “Pareti verdi”. Antonella Bellomo. 2009;
  • “Progettare il verde in città”. Katie Perini. 2013;
  • Le coltri vegetali nel settore residenziale”. Focus – Energie, Ambiente e Innovazione, ENEA. 2018;
  • “Stato dell’arte delle ricerche concernenti l’interazione energetica tra vegetazione e ambiente costruito”;
  • Quaderno n. 13, CNR, Alessandro F., Barbera G., Silvestrini G. 1987.

 

Nota:

La foto d’intestazione dell’articolo e la Figura 2 mostrano il “Mur Vegetal” a Parigi, in Rue d’Abukir 83 (II arrondissement). Entrambe le foto sono state scattate da Andrea Campiotti (autore dell'articolo).