UE mercato plastiche

L’Unione europea punta a un mercato delle plastiche riciclate

Dopo la Strategia europea per il riciclo della plastica e il pacchetto europeo sull’economia circolare, il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione per la creazione di un mercato unico delle plastiche riciclate, la messa al bando entro due anni delle microplastiche nei prodotti cosmetici e per la pulizia e nuove norme sulla biodegradabilità e compostabilità dei rifiuti plastici. Un mare di plastica anche in agricoltura: i rifiuti plastici nel comparto agricolo rappresentano il 3-6% di tutti quelli prodotti a livello globale.


Quanta plastica si ricicla in Europa

I Paesi dell’Unione europea producono ogni anno circa 26 milioni di tonnellate di rifiuti, soprattutto materiali plastici, di cui solamente il 30% viene riciclato, mentre il 39% viene incenerito e il restante 31% smaltito nelle discariche. Nel complesso, la produzione e l’incenerimento della plastica in Europa sono responsabili, a livello globale, dell’emissione di oltre 400 milioni di tonnellate di CO2 all’anno (dati della Commissione europea). Una parte considerevole di tutti i rifiuti prodotti a livello europeo viene esportato per il trattamento in altri paesi extraeuropei. Sino al 2016, ad esempio, l’85% di tutta la plastica made in Ue veniva inviata in Cina e nella regione amministrativa speciale di Hong Kong per essere trattata.  Per avere un’idea dell’enorme quantità di rifiuti plastici in questione, basti considerare che il mercato dell’import dei rifiuti in Cina nel 2016 ha assorbito il 70% di tutti i rifiuti plastici raccolti e selezionati a livello globale per un valore di 21,6 miliardi di dollari (4,6 dei quali nella sola Hong Kong). Tuttavia, a gennaio di quest’anno la Cina ha annunciato una stretta sull’importazione dei rifiuti dall’Europa. Nel 2017, infatti, il Governo di Pechino aveva notificato all’Organizzazione mondiale del commercio che da gennaio 2018 avrebbe imposto divieti all’importazione di alcune tipologie di materiali raggruppabili in quattro categorie: plastica, carta straccia, rifiuti tessili e scorie minerali. La stretta sull’importazione dei rifiuti da parte della Cina ha preoccupato l’Unione europea, che ha dovuto mettere in campo nuove misure per il riciclo e il riutilizzo dei prodotti, in particolare di quelli plastici. Pertanto, a gennaio di quest’anno la Commissione europea ha approvato la prima Strategia europea per il riciclo della plastica con l’obiettivo di riciclare e rendere riutilizzabili tutti gli imballaggi di plastica presenti sul mercato europeo entro il 2030, ridurre l’utilizzo di sacchetti di plastica monouso e limitare l’uso intenzionale di microplastiche. Alla Strategia si è aggiunto poi il pacchetto europeo sull’economia circolare, approvato in via definitiva dal Parlamento europeo ad aprile di quest’anno e che dovrà essere recepito dai vari Paesi dell’area Ue entro due anni dalla sua approvazione. Il pacchetto stabilisce nuovi target: entro il 2025, almeno il 55% dei rifiuti urbani domestici e commerciali dovrà essere avviato a riciclo. L’obiettivo salirà al 60% nel 2030 e al 65% nel 2035. Inoltre, il 65% dei materiali da imballaggio in circolazione dovrà essere riciclatoentro il 2025. La quota dovrà salire, secondo le stime della Commissione europea, al 70%  entro il 2030. Vengono poi fissati dei sotto-target distinti per materiali da imballaggio, come plastica, legno, metalli ferrosi, alluminio, vetro, carta e cartone.

Le nuove norme contenute nel pacchetto fissano al 10% la quota dei rifiuti da smaltire in discarica entro il 2035 (Tabella 1). Il pacchetto stabilisce infine l’obbligatorietà della raccolta differenziata per alcuni particolari tipi di rifiuto, indicando specifici target da raggiungere: rifiuti tessili entro il 2025; umido e rifiuti organici (bio-waste) entro il 2023; rifiuti pericolosi domestici (vernici, pesticidi, oli e solventi) entro il 2022.

 

Materiale

Entro il 2025

Entro il 2030

Tutti i tipi di imballaggi

65%

70%

Plastica

50%

55%

Legno

25%

30%

Metalli ferrosi

70%

80%

Alluminio

50%

60%

Vetro

70%

75%

Carta e cartone

75%

85%

 

Tabella 1. Target distinti per materiali da imballaggio specifici secondo il pacchetto europeo sull’economia circolare (fonte: Commissione europea)

 

Un mare di plastica in agricoltura

L’agricoltura protetta nel mondo si estende per oltre 3 milioni di ettari (Ha) tra serre, grandi tunnel e tunnel e circa il 70% delle coltivazioni protette utilizza film plastici flessibili. Nel complesso, l’agricoltura produce una quota compresa tra il 3 e il 6% di tutti i rifiuti plastici prodotti a livello globale, secondo delle stime dell’Associazione europea Materiali Plastici. Il volume dei film plastici utilizzati in agricoltura ammonta a 500 mila tonnellate, costituite soprattutto da polietilene a bassa densità (LDPE), cioè il polimero più commercializzato, Etilvinilacetato (EVA) e Cloruro polivinile (PVC). Particolarmente diffusa è la pacciamatura nell’area mediterranea, dove raggiunge un’estensione di quasi 200 mila ettari, di cui oltre 140 mila in Francia e Spagna, 25 mila in Italia e i restanti 35 mila tra gli altri Paesi europei che si affacciano sul Mar Mediterraneo. Per quanto riguarda i consumi di plastica nel comparto serre, si stima che in Italia, su un totale di 45 ettari adibiti esclusivamente a colture in serra, si producano 85 mila tonnellate di rifiuti plastici (Figure 1 e 2), di cui oltre 40 mila derivanti dalla pacciamatura. A questi si aggiungono quelli derivanti dall’irrigazione, circa 63 mila tonnellate, e dalla raccolta e la conservazione dei prodotti agricoli, altri 63 mila tonnellate. Alla luce degli enormi consumi di plastica nel settore agricoltura, gli operatori del settore propongono soluzioni più sostenibili che riducano l’impiego della plastica e compensino la riduzione di luce attraverso l’uso di sistemi fotovoltaici (fonte: Progetto MODEM, ENEA, 2010).

 

Figura 1. Serre nella provincia di Ragusa, in Sicilia

 

Figura 2. Rifiuti plastici prodotti nella serricoltura

 

Il Parlamento europeo vota una risoluzione contro le microplastiche

Nel tentativo di proteggere l’ambiente e contrastare ulteriormente l’inquinamento da plastica, il Parlamento europeo ha approvato il 13 settembre una risoluzione non vincolante (approvata dalla Commissione europea lo scorso 10 luglio) relativa alla Strategia europea per il riciclo della plastica, che chiede la creazione di un mercato unico per le plastiche riciclate, la messa al bando delle microplastiche nei cosmetici e nei prodotti per la pulizia entro due anni, incentivi per la raccolta dei rifiuti marini in mare, nuove norme a livello europeo in materia di biodegradabilità e compostabilità e un divieto totale all’impiego di plastiche oxodegradabili (plastiche convenzionali addizionate con speciali additivi che facilitano la rottura delle catene polimeriche) entro il 2020. Per quanto riguarda il riciclo delle materie plastiche, gli eurodeputati promotori della risoluzione chiedono alla Commissione europea di fissare standard qualitativi al fine di rafforzare il mercato della plastica secondaria. Per favorire lo sviluppo di un vero e proprio mercato della plastica secondaria, si propone anche la possibilità di ridurre l’IVA sui prodotti fatti con materiali di seconda generazione. La risoluzione sottolinea inoltre la necessità di avere un sistema di responsabilità estesa del produttore e campagne di sensibilizzazione sul tema dell’inquinamento da plastica rivolte ai cittadini europei. Nel frattempo, la Commissione per l’ambiente del Parlamento europeo sta esaminando una proposta di legge che prevede il divieto di commercializzare prodotti di plastica monouso, come posate, piatti, cannucce e attrezzi da pesca, con l’obbligo da parte dei produttori di contribuire ai costi di gestione e bonifica dei rifiuti di plastica. Il voto è previsto per ottobre.

cambiamenti clima principale

I cambiamenti climatici hanno un ruolo chiave nell’Agenda internazionale

Un recente rapporto pubblicato in occasione del Global Climate Action Summit sottolinea che gli Stati Uniti non saranno in grado di mantenere gli obiettivi previsti dall’Accordo di Parigi in termini di riduzione delle emissioni di gas serra. La città di New York dimostra la sua sensibilità ambientale e avvia l’istallazione di dieci “climate signals” per informare i cittadini sui rischi del cambiamento climatico. La Commissione europea promuove lo sviluppo di piani d’azione per fronteggiare gli effetti del cambiamento climatico.


Gli Stati Uniti non rispetteranno l’Accordo di Parigi

Si è concluso venerdì scorso il Global climate action summit, due giorni di conferenze, meeting e incontri sul tema dei cambiamenti climatici organizzato a San Francisco, in California. Al Summit hanno partecipato esperti da tutto il mondo, amministratori locali, politici e rappresentanti di organizzazioni non governative per un totale di oltre 4 mila delegati, per discutere delle possibili soluzioni da adottare nella lotta al cambiamento climatico. Tra i numerosi ospiti presenti al Summit anche Al Gore, ex vicepresidente degli Stati Uniti nell’amministrazione Clinton e premio Nobel per la Pace nel 2007, l’ex segretario di Stato nell’amministrazione Obama John Kerry, il governatore della California Jerry Brown, la responsabile dell’Unfccc (Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici) Patricia Espinosa, gli attori Robert Redford e Alec Baldwin, ministri di vari Paesi e molti sindaci e delegazioni di amministrazioni locali, tra i quali anche il sindaco di Assisi (città gemellata con San Francisco) Stefania Proietti e una delegazione della Regione Emilia-Romagna composta dal Presidente Stefano Bonaccini, da alcuni assessori regionali e rappresentati di università e imprese. Il Summit si è aperto con la pubblicazione di un rapporto riguardante l’impatto che le emissioni di gas serra prodotte dagli Stati Uniti hanno sul Pianeta. Il rapporto sottolinea che gli Stati Uniti non saranno in grado di rispettare l’obiettivo originale che prevedeva un taglio del 26% (rispetto al 2005) delle emissioni di CO2 entro il 2025. La riduzione delle emissioni, infatti, potrà avvenire solo attraverso la volontà degli Stati e delle centinaia di città che, in controtendenza con la linea di governo, stanno portando avanti politiche di decarbonizzazione. Considerato che gli Stati Uniti rappresentano uno dei principali responsabili delle emissioni di CO2 a livello globale, circa il 15% del totale, il mancato raggiungimento degli obiettivi avrà considerevoli ripercussioni per quanto riguarda l’aumento della temperatura globale (Figura 1).

 

Figura 1. L’immagine mostra l’aumento della temperatura a livello globale entro il 2100 che può variare a seconda dello scenario proposto: senza provvedimenti, rispettando pienamente gli obiettivi previsti dall’Accordo di Parigi, rispettandoli con o senza gli Stati Uniti (fonte: Ansa)

 

L’Unione europea, invece, si è prefissata degli obiettivi più ambiziosi rispetto agli Stati Uniti in termini di riduzione delle emissioni di CO2. Prendendo in considerazione lo stesso periodo, le emissioni nell’area Ue sono diminuite del 21% dal 2005 ad oggi e dovrebbero subire un ulteriore taglio del 28% entro il 2025 (dati del Climate Action Tracker).

 

New York istalla i “climate signals”

“Negare il cambiamento climatico uccide”. Questa è una delle tante frasi proiettate su una serie di cartelli luminosi installati per le vie di New York dal Climate Museum, il primo museo al mondo dedicato esclusivamente al tema dei cambiamenti climatici, nato a dicembre del 2017. Si tratta di dieci pannelli (Figura 2), interamente alimentati ad energia solare, collocati nei principali quartieri della città che proiettano giorno e notte frasi di ammonimento sui rischi del cambiamento climatico, invitando i cittadini ad agire più responsabilmente nei confronti del Pianeta. L’obiettivo del progetto, promosso in collaborazione con l’amministrazione newyorchese, è infatti quello di sensibilizzare i cittadini sulle tematiche ambientali e per farlo l’arte può giocare un ruolo determinante.

 

Figura 2. Uno dei dieci “climate signals” installati a New York. Sull’altra sponda del fiume l’isola di Manhattan (foto: Tryggvi Adalbjornsson) 

 

Dal 2014 ad oggi l’istallazione di pannelli solari a New York è aumentata di sei volte, la raccolta differenziata e la gestione delle acque sono state migliorate, sono stati piantati oltre 620 mila alberi in città e investiti quasi 4 miliardi di dollari per la tutela delle coste.

 

Il ruolo del verde urbano in Europa

La Commissione europea si sta muovendo sul tema della riduzione dei consumi energetici per il riscaldamento e il raffreddamento degli edifici. Con la Direttiva COM(2013) 249 final “Infrastrutture verdi-Rafforzare il capitale naturale in Europa” e la Direttiva(UE) 2018/844 la Commissione sta puntando su soluzioni naturali, come coltri vegetali, giardini pensili, piantumazioni di siepi ed alberi, per le città al fine di contribuire alla riduzione delle emissioni di CO2 (Tabella 1) e migliorare l’efficienza energetica degli edifici urbani.

 

Tipologia vegetali

CO2 sequestrata per anno

Piante erbacee

4,38 kg/m²

Piante arbustive

8,76 kg/m²

Piante rampicanti

6,57kg/m²

Tabella 1. Quantità di CO2 sequestrata dalle piante (fonte: “Le coltri vegetali per l’efficienza energetica degli edifici”, ENEA, “Energia, ambiente e innovazione, 2/2018) 
 

Coltri vegetali, tetti verdi e verde parietale (green roofs and walls) rafforzano lo strato isolante delle pareti dell’edificio, contribuendo al riscaldamento, in inverno, e al raffrescamento, in estate, in linea con gli obiettivi dell’Ue che mirano a ridurre i consumi di energia per gli edifici. In questo senso la Commissione europea promuove lo sviluppo di piani di azione (Action plans) volti a migliorare la sostenibilità energetica e ambientale delle città, sensibilizzando al contempo enti locali, associazioni e cittadini sulla necessità di fronteggiare gli effetti del cambiamento climatico, in primis eventi meteorologici estremi tra i quali precipitazioni violente e ondate di caldo eccessivo (Tabella 2).

 

 

Bologna (Italia)

 

Green Areas Inner-city Agreement (GAIA 2010)

 

Incremento del numero di alberi

1300 nuovi alberi per l’assorbimento di 4000 t CO2

Milano

Bosco verticale

Grattacielo composto di due torri di 112 e 80 metri

800 alberi, 19 essenze vegetali

Milano

Giardino terapeutico

Inserito nella struttura del nuovo Policlinico

6.900 m2 di verde pensile

Stoccarda (Germania)

Obbligo di rispettare le quote verdi per gli edifici pubblici (2008)

Corridoi verdi di ventilazione per il raffrescamento dell’aria;

Piantumazione e adozione di alberi da parte dei cittadini

14 km2 (tetti verdi);

60% dell’area urbana verde

Londra

(UK)

London Great Outdoors (2009)

Realizzazione di tetti verdi

500.000 m2

New York (USA)

NYC Cool Roofs

Rivestimento dei tetti con una vernice bianca isolante per ridurre i consumi di energia

 

635.000 m2

Tabella 2. Verde urbano a Bologna, Milano, Stoccarda, Londra e New York

clima ruolo fig

Cambiamento climatico, serve un’azione più incisiva

Recenti studi sugli effetti del cambiamento climatico dimostrano i benefici di un’azione più incisiva a livello globale. La Conferenza sul clima di Bangkok (Tailandia), una sessione negoziale straordinaria prima della COP24 che si terrà il prossimo dicembre a Katowice (Polonia), si è chiusa con pochi progressi. Senza un cambio di rotta, fa sapere l’Unfccc, gli obiettivi dell’Accordo di Parigi sono a rischio. 


Serve un’azione climatica più incisiva

La Global Commission on the New Climate Economy ha pubblicato di recente il rapporto Unlocking the Inclusive Growth Story of the 21st Century. Il rapporto dimostra che un’azione climatica più incisiva, in linea con gli obiettivi fissati dall’Accordo di Parigi, apporterebbe all’economia mondiale enormi vantaggi in termini economici. In particolare, vengono presentate le opportunità legate alla lotta al cambiamento climatico attraverso cinque sistemi economici chiave: sistemi energetici puliti, sviluppo urbano intelligente, uso sostenibile del suolo, più equa gestione delle risorse idriche, economia circolare nell’industria. Nel rapporto si sottolinea che entro il 2030 un’azione più incisiva nella lotta la cambiamento climatico potrebbe produrre oltre 65 milioni di nuovi posti di lavoro nell’economia low-carbon; evitare oltre 700 mila morti premature per inquinamento atmosferico; generare circa 2,8 trilioni di dollari di entrate pubbliche all’anno attraverso la riforma delle sovvenzioni ai combustibili fossili e l’aumento del prezzo del carbone (Figura 1). A questo proposito, evidenzia il rapporto, in Europa l’eliminazione delle sovvenzioni ai combustibili fossili potrebbe ridurre la spesa sanitaria pubblica per malattie causate dall’inquinamento atmosferico di circa 7,2 miliardi di dollari tra il 2018 e il 2030.

 

Figura 1. La nuova agenda per la crescita (fonte: Global Commission on the New Climate Economy)

 

Il rapporto non analizza solo i benefici di una più forte azione climatica ma anche i costi legati ad una situazione nella quale non si agirebbe prontamente nella lotta al cambiamento climatico. Non agire, si legge nel rapporto, comporterebbe perdite economiche annuali superiori a 320 miliardi di dollari, che corrispondono alle perdite economiche calcolate nel 2017 sulla base dei danni causati dal cambiamento climatico. Inoltre, fa sapere la Global Commission on the New Climate Economy, non agire produrrebbe oltre 140 milioni di migranti climatici entro il 2050 (dati World Bank). Si tratta di un fenomeno in forte crescita: già oggi, sottolinea il Fondo Monetario Internazionale, le conseguenze peggiori dei cambiamenti climatici vengono registrate in aree nelle quali abita il 60% della popolazione mondiale. Nel 2016, ad esempio, secondo l’Unfccc, oltre 23 milioni di persone nel mondo sono state costrette a fuggire dalle loro terre perché colpite da catastrofi di natura climatica. Il rapporto della Global Commission invita pertanto governi, leader economici e imprese di tutto il mondo ad adottare urgentemente misure su alcuni temi chiave nei prossimi 2-3 anni: intensificare il lavoro sui prezzi del carbonio e passare alla divulgazione obbligatoria dei rischi finanziari connessi al cambiamento climatico; accelerare gli investimenti in infrastrutture sostenibili; liberare maggiori investimenti in innovazione.

 

L’azione locale essenziale per rispettare l’Accordo di Parigi

Un recente studio dell’Università di Yale, svolto in collaborazione con l’Agenzia per la protezione dell’ambiente olandese e il New Climate Institute, dal titolo Global climate action from cities, regions and businesses: individual actors, collective initiatives and their impact on global greenhouse gas emissions mostra il ruolo essenziale dell’azione locale contro il cambiamento climatico per il raggiungimento degli obiettivi previsti dall’Accordo di Parigi. Se gli attuali impegni presi da città, regioni e imprese saranno pienamente rispettati, sottolinea lo studio, entro il 2030 le emissioni globali di CO2 potrebbero diminuire di 1,5 – 2,2 GtCO2/anno. In particolare, nella sola Unione europea, si potrebbe arrivare ad una riduzione delle emissioni da 230 a 445 MgCO2/anno, più o meno l’equivalente di tutte le emissioni di CO2 prodotte dall’Italia in un anno.

Lo studio si concentra sull’Unione europea e su nove Paesi in cui si riscontrano elevate emissioni di CO2, ovvero Cina, Stati Uniti, India, Brasile, Giappone, Indonesia, Russia, Messico e Sudafrica e analizza gli sforzi per ridurre le emissioni intrapresi da circa 6.000 città (dove vive il 7% della popolazione globale) e oltre 2000 imprese. L’Ue si prefigge come obiettivo quello di ridurre le emissioni di gas serra del 20% al 2020 e del 40% al 2030 rispetto ai livelli del 1990, aumentando al contempo la quota di rinnovabili nel consumo complessivo di energia (20% al 2020 e 35% al 2030) e diminuendo la domanda di energia (meno 20% al 2020 e meno 30% al 2030) mediante l’aumento dell’efficienza energetica (dati Ministero dello sviluppo economico, ENEA, Commissione europea). Per quanto riguarda gli obiettivi a lungo termine, l’Ue intende ridurre le proprie emissioni in misura sostanziale dell’80% – 95% rispetto a livelli del 1990 entro il 2050 e trasformare il “vecchio Continente” in un’economia ad elevata efficienza energetica e a basse emissioni di carbonio, in grado anche di stimolare la crescita economica e la creazione di nuovi posti di lavoro nell’economia verde. A questo proposito, è significativo quanto riportato dal rapporto delle Nazioni Unite “Prospettive occupazionali e sociali nel mondo 2018: economia verde con occupazione”, secondo cui gli investimenti fatti dai Paesi per limitare a 2 °C il riscaldamento globale consentiranno la creazione di 24 milioni di posti di lavoro a livello globale entro il 2030, di cui non meno di due milioni in Europa, e di altri 6 milioni attraverso lo sviluppo dell’economia circolare (dati del World Employment and Social Outlook 2018 Greening with jobs).

 

La Conferenza sul clima di Bangkok si chiude con pochi progressi

Si è conclusa domenica scorsa a Bangkok (Tailandia) la Conferenza sul clima dell’Unfccc (Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici), una sessione negoziale straordinaria prima della COP24 che si terrà il prossimo dicembre a Katowice (Polonia). La Conferenza, organizzata con l’obiettivo di concordare un documento condiviso tra i rappresentanti dei 190 Paesi firmatari dell’Accordo di Parigi, con delle linee guida in grado di guidare i lavori della prossima COP24, si è conclusa con pochi risultati. “Abbiamo fatto troppi pochi progressi su alcuni temi”, ha dichiarato Patricia Espinosa, segretaria esecutiva dell’Unfccc. “In questo modo – ha aggiunto il presidente delle Isole Fiji Josaia Voreqe Bainimarama, che aveva presieduto i lavori della COP23 di Bonn – a Katowice, si rischierà il caos nonché la possibilità di un ulteriore ritardo nell’impegno urgente di combattere il cambiamento climatico e di dare piena attuazione all’Accordo di Parigi”. I principali obiettivi dell’Accordo sono:

  • Fermare il riscaldamento globale al di sotto dei 2 °C dai livelli preindustriali, cioè prima del 1750 quando le concentrazioni di CO2 erano inferiori a 280 ppm (oggi sono superiori a 400 ppm) entro il 2030;
  • rivedere gli impegni dei singoli Stati firmatari ogni cinque anni per migliorare i livelli già raggiunti;
  • investire 100 miliardi di dollari ogni anno in programmi climatici nei Paesi in via di sviluppo.

Le volontà dei singoli Paesi sembrano non essere in sintonia con gli ambiziosi obiettivi contenuti nell’Accordo. A nulla è valso inoltre aver scelto Bangkok come sede dei lavori preparatori alla prossima COP24. Il 40% della capitale tailandese, dove vivono oltre 10 milioni di persone, rischia di trovarsi sommerso dal mare entro il 2030, ha fatto sapere Greenpeace. Un monito che dovrebbe far riflettere tutti i Paesi in vista della prossima Conferenza mondiale sul clima (COP24) che sarà ospitata dal 3 al 14 dicembre 2018, nella città di Katowice, in Polonia.


Nota:

1 trilione = 1000 miliardi

1 Gt = 1 Gigatone = 1000 tonnellate

1 Mg = 1 Megagrammo = tonnellata