Ornithogalum visianicum Tomm

Biodiversità: recuperate 17 specie di piante europee credute estinte

Un team internazionale di ricercatori, guidato dall’Università degli Studi Roma Tre, ha svolto un minuzioso lavoro di indagine su 36 specie di piante endemiche europee classificate come estinte, scoprendo che 17 non lo erano affatto. 


La ricerca ha riabilitato 17 specie di piante considerate estinte in Europa da molti decenni attraverso una revisione tassonomica e una verifica della loro riscoperta in natura o della presenza di esemplari negli orti botanici mondiali. Delle 17 specie esaminate, tre sono state effettivamente riscoperte a seguito di ricerche di campo (Astragalus nitidiflorus Jiménez Mun. & Pau, Ligusticum albanicum Jávorska. E Ornithogalum visianicum Tomm. ex Vis.); per alcune sono stati ritrovati esemplari vivi, non noti, conservati presso orti botanici e banche del germoplasma europei (Armeria arcuata Welw. ex Boiss. & Reut., Hieracium hethlandie (F.Hanb.) Pugsley); altre ancora sono state riclassificate come specie diverse sulla base di nuovi dati.

La ricerca internazionale è stata coordinata dal prof. Thomas Abeli e dalla dr.ssa Giulia Albani Rocchetti del Dipartimento di Scienze dell'Università degli Studi Roma Tre e ha visto il coinvolgimento di ricercatori di un ampio network, tra istituzioni di ricerca, università, musei e orti botanici: il prof. Zoltán Barina del WWF Ungheria, il dr. Ioannis Bazos della National and Kapodistrian University of Athens, il dr. David Draper del Museo Nacional de Història Natural e da Ciência (Lisbona, Portogallo) e della University of British Columbia (Vancouver, Canada), il dr. Patrick Grillas del Tour du Valat (Arles, France), il prof. José Maria Iriondo di Rey Juan Carlos University (Madrid, Spain), il dr. Emilio Laguna del Wildlife Service – CIEF (Valencia, Spain), il prof. Juan Carlos Moreno-Saiz dell’Autonomous University of Madrid e del Centre for Research on Biodiversity and Global Change (Madrid, Spain), il dr. Fabrizio Bartolucci dell’Università di Camerino (Italia). I partner hanno ulteriormente ottenuto l’importante contributo del network mondiale degli orti botanici Botanic Garden Conservation International.

“La ricerca ha richiesto un minuzioso lavoro da detective – spiega il prof. Thomas Abeli – soprattutto per verificare informazioni, spesso inesatte, riportate tali e quali da una fonte all’altra, senza le opportune verifiche. Tra le 17 specie potremmo avere un caso clamoroso: il ritrovamento di una specie endemica portoghese, Armeria arcuata, ritenuta estinta da decenni e forse conservata inconsapevolmente presso l’Utrecht University Botanic Gardens, su cui si stanno facendo indagini genetiche per confermarne la riscoperta. Sebbene la riabilitazione di queste specie sia senz’altro una buona notizia, non dobbiamo dimenticare che altre 19 specie sono invece perse per sempre, tra cui nove specie italiane. Importante è dunque prevenire le estinzioni; la prevenzione è certamente più fattibile delle cosiddette de-estinzioni, azioni su cui lavoro con il mio team di ricerca, ma che ad oggi rimangono puramente teoriche e con forti limiti etici e tecnologici”.

La ricerca evidenzia che entità ritenute estinte da molti decenni possono essere riscoperte grazie ad un continuo monitoraggio e impegno nella ricerca floristica, sostenuto da università, musei, orti botanici e banche del germoplasma: queste ultime due infrastrutture, su cui sono stati fatti ingenti investimenti negli ultimi decenni in Europa, permettono di evitare perdita definitiva di biodiversità, anche quando non ci sono più le condizioni ambientali favorevoli al mantenimento di popolazioni naturali. Il maggiore contributo alla riabilitazione delle specie è però derivato dal miglioramento delle conoscenze tassonomiche, dimostrando, come mai prima, un enorme potenziale della tassonomia nella conservazione della natura, grazie anche a tecniche sempre più avanzate (analisi morfometriche e molecolari, microscopia ed elaborazione dei dati) per indagare la variabilità delle specie. La ricerca floristica, che prevede lo studio del materiale conservato negli erbari, lo studio critico della bibliografia botanica e soprattutto le ricerche in campo, permette l’elaborazione di “inventari floristici” (checklists o flore) che si configurano come strumento imprescindibile per la conoscenza della distribuzione delle piante e la tutela della biodiversità vegetale.

Lo studio è altamente promettente per la conservazione delle specie riabilitate. Se nulla infatti si può fare in termini di conservazione quando una specie si estingue, aver riabilitato 17 entità della flora europea permetterà di sviluppare dei programmi di conservazione ad hoc. Inoltre, grazie a questo studio, l’Europa  recupera biodiversità facendo un passo importante verso il raggiungimento dei target internazionali dettati dalla Convenzione per la Diversità Biologica (CBD) e dall’Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo Sviluppo Sostenibile.


I risultati dello studio sono stati pubblicati sulla rivista Nature Plants in un articolo dal titolo Seventeen “extinct” plant species back to conservation attention in Europe.

Fonte e immagine:

Università degli Studi Roma Tre, Alessia del Noce | alessia.delnoce@uniroma3.it | 339 5304817


 

foto living planet report

L’attività umana minaccia la biodiversità animale

Secondo l’ultimo Living Planet Report del WWF, in poco più di 40 anni abbiamo perduto il 60% delle popolazioni di vertebrati (mammiferi, uccelli, pesci, rettili e anfibi) a livello globale. È la prima volta nella storia del pianeta che una specie, quella umana, ha un così forte impatto sulla vita degli ecosistemi ed è responsabile di una simile estinzione di massa. La salvaguardia della biodiversità animale sarà uno dei temi chiave nella 14° Conferenza delle Parti della Convenzione sulla Diversità Biologica che si terrà a Sharm-el-Sheikh, in Egitto, dal 17 al 29 novembre. 


Dal 1970 al 2014 il 60% delle popolazioni di vertebrati (mammiferi, uccelli, pesci, rettili e anfibi) è scomparso. E responsabile di questa vera e propria ecatombe è l’attività umana. A lanciare l’allarme è il WWF nel suo ultimo Living Planet Report . Lo studio, svolto in collaborazione con la Zoological Society of London, viene pubblicato ogni due anni (la prima edizione risale al 1998) e rappresenta una fotografia dello stato di salute delle specie animali che abitano il nostro pianeta. Per monitorare il declino della fauna selvatica i ricercatori hanno analizzato i dati relativi a 16.704 popolazioni di vertebrati appartenenti ad oltre 4 mila specie, avvalendosi del Living Planet Index (LPI), un indicatore statistico fornito dalla Zoological Society of London, e hanno evidenziato l’insostenibile impatto dell’attività umana sulla vita del pianeta (Figura 1).

 

Figura 1. La perdita di biodiversità animale registrata dal 1970 al 2014 attraverso il Living Planet Index (fonte: Living Planet Report 2018, WWF)

 

È la prima volta nella storia del pianeta, si legge nel rapporto, che una specie, quella umana, ha un così forte impatto sulla vita degli ecosistemi ed è responsabile di una simile estinzione di massa. Tutto ciò ha un costo. Numerose ricerche dimostrano l’incalcolabile importanza dei sistemi naturali per la nostra salute, il nostro benessere, la nostra alimentazione e, in generale, il proseguimento della nostra vita sul pianeta. A livello globale, si stima che la natura offra servizi per un valore di circa 125 mila miliardi di dollari, una cifra superiore al Prodotto interno lordo di tutti i paesi del mondo, che si aggira intorno agli 80 mila miliardi di dollari. La principale causa della perdita di fauna selvatica, sottolinea il rapporto, è la distruzione degli habitat naturali ad opera dell’uomo e la loro trasformazione in terreni agricoli. Esistono tuttavia cause più dirette: oltre 300 specie di mammiferi, ad esempio, rischiano l’estinzione a causa della caccia, mentre gli oceani, un tempo ricchi di specie, sono sempre più vuoti a causa della pesca industriale e dell’inquinamento da plastica. Altra minaccia per la biodiversità animale è l’inquinamento chimico. A questo proposito, un recente studio pubblicato sulla rivista scientifica Science, indica che la metà di tutte le orche è destinata ad estinguersi nei prossimi anni a causa degli inquinanti chimici dispersi negli oceani. I ricercatori individuano tra le altre cause responsabili della perdita di biodiversità, sia animale che vegetale, anche l’introduzione di specie alloctone, ovvero specie che provengono da una certa regione geografica e che, spostandosi in un’altra attraverso l’opera volontaria o involontaria dell’uomo, creano problemi o introducono casualmente un parassita. Molte specie di anfibi, ad esempio, sono oggi minacciate da un particolare fungo che si è diffuso nel mondo a causa del commercio di animali esotici e che sta minacciando tali creature, che rappresentano una delle specie più a rischio estinzione del pianeta. Tra le aree del mondo che stanno subendo le perdite maggiori compaiono il Sud America e l’America centrale, dove, stando alle stime, le popolazioni di vertebrati hanno subito un calo addirittura dell’89% (dal 1970 al 2014), soprattutto a causa dell’abbattimento indiscriminato di vaste foreste ricche di biodiversità. A questo proposito, una recente analisi condotta in 46 paesi situati nella fascia climatica tropicale e subtropicale, dimostra che l’agricoltura industriale e quella di sussistenza sono state responsabili rispettivamente del 40% e del 33% della conversione forestale tra il 2000 e il 2010. Il 27% della deforestazione, invece, è stata causata dall’urbanizzazione, dall’espansione delle infrastrutture e dalle attività minerarie. Gli habitat che hanno subito maggiori danni sono stati fiumi e laghi, dove le specie selvatiche sono diminuite dell’83%, anche a causa dell’onnipresenza delle dighe, una delle molteplici attività dell’uomo. Nonostante i numeri catastrofici, il WWF fa sapere che siamo ancora in tempo per invertire la rotta ed impedire la scomparsa di molte altre specie animali. Grazie agli sforzi di salvaguardia dell’ambiente e di conservazione delle specie selvatiche, il numero di tigri del Bengala, una delle specie più a rischio estinzione del pianeta, è raddoppiato negli ultimi nove anni, mentre il panda gigante, che vive nelle regioni montuose del Sichuan (Cina) e che rappresenta il simbolo del WWF, dal 2016 non è più classificato come specie a rischio estinzione. Questi sono alcuni tra gli esempi virtuosi di reintroduzione di specie animali, che si pensava fossero a rischio estinzione, e che oggi, grazie all’attività dell’uomo, stanno tornando ad abitare il nostro pianeta. Tuttavia, avverte il WWF, la conservazione delle specie animali non basta: l’aspetto più urgente da affrontare rimane il nostro ruolo di consumatori. “Non possiamo più ignorare l’impatto degli attuali insostenibili modelli di produzione e dei nostri stili di vita dispendiosi”, ha dichiarato il direttore del WWF Marco Lambertini in una nota stampa. “È ormai innegabile lo stretto legame tra il sistema alimentare e il declino delle specie animali – ha aggiunto Lambertini – e ridurre il consumo di carne è il primo indispensabile passo da compiere per arrestare l’emorragia di fauna selvatica”. I sistemi naturali e la diversità biologica consentono lo stabile funzionamento dell’atmosfera, degli oceani, delle foreste e dei bacini idrici, oltre a garantire la nostra stessa sopravvivenza sul pianeta.

La salvaguardia della biodiversità biologica sarà il tema chiave della 14° Conferenza delle Parti della Convenzione sulla Diversità Biologica che si terrà a Sharm-el-Sheikh, in Egitto, dal 17 al 29 novembre. La Conferenza farà il punto della situazione sull’attuale piano strategico per la biodiversità, relativo al periodo 2011 – 2020, e servirà a definire il prossimo piano globale per la salvaguardia della biodiversità animale post – 2020.

Insubria Task force

Insubria capofila di un progetto sulla conservazione della biodiversità e sulla creazione di un punto di controllo all’aeroporto di Orio Al Serio

L’Università degli Studi dell’Insubria è capofila di un progetto di Regione Lombardia sulla tutela della biodiversità e sul contrasto delle specie alloctone animali e vegetali. Quattro i partner: Università di Milano Bicocca, Università Statale di Milano, Università degli Studi di Pavia e la Società GRAIA di Varese.

Regione Lombardia è l’unica Regione italiana ad aver ottenuto uno dei sei finanziamenti  erogati dall’Unione Europea nell’ambito del bando LIFE Gestire 2020.
L’accordo siglato all’Università degli Studi dell’Insubria dai rappresentanti dei quattro enti partner – il professor Giuseppe Colangelo, prorettore Vicario dell’Ateneo, per l’Università degli Studi dell’Insubria; il professor Giuseppe Bogliani, docente di Zoologia, per l’Università di Pavia; la professoressa Sandra Citterio, docente di Biologia Vegetale per l’Università Bicocca; il professor Diego Rubolini, docente di Ecologia, per l’Università Statale di Milano, e il dottor Cesare Puzzi, veterinario ittiologo, amministratore delegato di GRAIA – è parte del progetto "Rete Natura Duemila", incentrato sulla gestione e salvaguardia del patrimonio naturalistico della Lombardia e finanziato nell’ambito di LIFE Gestire 2020.

In particolare l’accordo siglato a Varese mira a individuare le criticità nella conservazione della biodiversità, e il focus del progetto sta nel mettere a punto una strategia di gestione delle specie aliene in Lombardia che prevede anche l’inserimento di un sistema di controllo che prevenga l’immissione di specie aliene che involontariamente vengono trasportate dall’uomo attraverso le merci e i prodotti che giungono presso l’Aeroporto di Orio al Serio (Bergamo).

Gli aeroporti rappresentano uno dei maggiori punti di accesso delle specie alloctone, ha spiegato il professor Adriano Martinoli, docente di Zoologia e referente del progetto per l’Università degli Studi dell’Insubria, perché zone aeroportuali sono delle vere e proprie “porte d’ingresso” attraverso il traffico di merci: piante e animali potrebbero essere contenuti, ad esempio, nel terriccio delle piante in vaso o nelle merci (es. legname) e così introdotti accidentalmente nell’ambiente.

Esistono già punti di controllo agli Aeroporti di Milano Malpensa e di Milano Linate. Con l’accordo firmato con gli altri Atenei lombardi si realizzerà il punto di controllo su Orio Al Serio, anche grazie alla collaborazione con GRAIA.

"Il progetto è di ampio respiro – ha aggiunto Martinoli – e punta a mettere in atto una strategia efficace per la prevenzione e la risoluzione della presenza di specie alloctone in Lombardia, attraverso la individuazione e la gestione delle diverse problematiche. In primis dovremo realizzare una sorta di “black list” delle specie aliene animali e vegetali che hanno una influenza negativa prioritaria sul nostro ambiente. La creazione del punto di controllo richiederà una stretta sinergia con i Carabinieri Forestali: i docenti si faranno carico della formazione del personale aeroportuale e della individuazione delle specie pericolose, nonché dei punti critici nel trasporto merci».

Duecentomila euro sono i fondi a disposizione dell’Accordo sulle specie alloctone di Regione Lombardia, guidato dall’Università dell’Insubria. L’Ateneo è molto sensibile a questa problematica: non soltanto attraverso gli studi scientifici mirati in campo sia zoologico che botanico ma anche attraverso una campagna di divulgazione al grande pubblico, che passa, da ultimo, anche attraverso la mostra organizzata in collaborazione con il Comune di Varese, nella sede del Museo di Villa Mirabello, proprio sulle specie alloctone: “Alieni. La conquista dell’Italia da parte di piante e animali introdotti dall’uomo”.


Fonte:

Ufficio Stampa www.uninsubria.it/