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Sostenibilità ambientale e resilienza urbana parole chiave nel post pandemia

Dodici città del mondo, tra le quali Milano, hanno sottoscritto una dichiarazione con la quale si impegnano ad aumentare gli investimenti nella green economy, disincentivando quelli nei combustibili fossili, e a promuovere la resilienza urbana per far fronte alla crisi innescata dalla pandemia da Covid-19


“Disinvestire in combustibili fossili, investire in un futuro sostenibile”, questo l’impegno sottoscritto dai sindaci di 12 città del mondo, tra le quali Milano, per dare priorità alla salute pubblica e per ricostruire una società più equa e resiliente ai cambiamenti climatici, dopo la crisi innescata dalla pandemia da Covid-19. Con tale dichiarazione, i sindaci di New York, Londra, Los Angeles, Berlino, Milano, Oslo, Vancouver, Bristol, Cape Town, Durban, New Orleans e Pittsburgh, riuniti intorno ad un tavolo virtuale organizzato in occasione della Settimana del Clima di New York, si sono impegnati a sostenere una transizione energetica sostenibile e a ricostruire economie urbane più resilienti alle crisi future. Per rispettare tali obiettivi, le città che hanno aderito alla dichiarazione si sono impegnate, in particolare, a intraprendere le seguenti azioni:

  • impegnarsi ad aumentare i propri investimenti nella green economy e a disinvestire al contempo quelli nelle società di combustibili fossili;
  • incoraggiare i fondi pensione a disinvestire dalle società di combustibili fossili all’interno di una più ampia strategia di gestione dei rischi derivanti dai cambiamenti climatici;
  • monitorare i progressi e comunicare annualmente i progressi al C40 (Cities Climate Leadership Group), l’alleanza internazionale che riunisce le principali città del mondo, nata nel 2005 con l’obiettivo di sostenere la lotta ai cambiamenti climatici, promuovendo misure volte a ridurre le emissioni di gas serra e ad aumentare la resilienza urbana;
  • usare la propria influenza al fine di spingere governi nazionali e regionali e istituzioni finanziarie private a investire a favore del clima e dell’ambiente e a disinvestire nei combustibili fossili.  

Secondo Energy Policy Tracker, network che riunisce organizzazioni internazionali e istituti di ricerca, quest’anno sono stati investiti complessivamente 382 miliardi di euro nel settore dell’energia da parte dei Paesi del G20, ovvero dalle economie più ricche del pianeta. Di questi, 205 miliardi sono andati a sostegno dei combustibili fossili, a fronte di soli 136 miliardi destinati al settore delle energie rinnovabili. Gli investimenti ancora massicci nel settore dei combustibili fossili mettono in pericolo il raggiungimento degli obiettivi fissati dall’Accordo di Parigi sul clima del 2015, che mira a contenere l’aumento della temperatura globale entro gli 1,5 °C di qui alla fine del secolo. Va sottolineato che per far fronte alla profonda crisi innescata dalla pandemia da Covid-19 l’Unione europea ha promesso un ambizioso piano di aiuti economici, il fondo Next Generation Eu (o Recovery Fund), rivolto agli Stati membri per un totale di 750 miliardi di euro. La dichiarazione sottoscritta dai sindaci delle dodici città del C40 segna, pertanto, un ulteriore passo in avanti verso la realizzazione degli obiettivi dell’Accordo di Parigi, che sarà operativo a partire dalla fine di quest’anno, dell’Agenda 2030 e del Green New Deal, l’ambizioso piano di investimenti lanciato dalla Commissione europea a dicembre dello scorso anno, che mira a fare dell’Europa il primo continente neutrale dal punto di vista climatico entro la metà del secolo.


Foto d’intestazione: Bosco Verticale, Milano (Foto: www.ecowave.it)

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Il covid-19 frena il consumo di capitale naturale

La pandemia da Covid-19 ha posticipato l’Overshood Day di tre settimane rispetto al 2019. Tuttavia, quest'anno l'umanità consumerà le risorse naturali di 1,6 pianeti. Pesa la distribuzione non uniforme di risorse e consumi


L’Earth Overshoot Day (lett. il Giorno del Sovrasfruttamento della Terra), ossia il giorno in cui l’umanità ha consumato le risorse naturali messe a disposizione dal pianeta per l’anno in corso e ha cominciato ad attingere a quelle dell’anno successivo, quest’anno è caduto il 22 agosto, con tre settimane di ritardo rispetto al 2019 (in cui era caduto il 29 luglio). Causa del ritardo la pandemia da Covid-19 che ha sì frenato i consumi, ma anche l’inquinamento. Secondo il Global Footprint Network, il think tank internazionale che ogni anno misura l’impronta ecologica dell’uomo, il ritardo riflette un calo dell’impronta di carbonio del 14,5 per cento dovuto alla riduzione di energia fossile e dell’8,4 per cento dei prodotti forestali, come conseguenza diretta delle misure di contenimento messe in atto in tutto il mondo per contrastare la diffusione del virus (Figura 1).

 

Figura 1. Giorno del Sovrasfruttamento del Terra nel periodo 1970-2020.

 

Per calcolare l’EOD il Global Footprint Network confronta l’impronta ecologica (Ecological footprint) e la biocapacità (Biocapacity). L’impronta ecologica rappresenta la richiesta di capitale naturale (fauna, flora, acqua, foreste, territorio, ecc.) e dei suoi eco-servizi (biodiversità, clima, materie prime e prodotti, ecc.); la biocapacità misura la produzione biologica di un’area o di un territorio in relazione alla presenza di ecosistemi locali, caratteristiche geografiche e agronomiche, dimensioni, pratiche agricole e forestali. A questo proposito, la superficie produttiva terrestre è stata stimata in circa 12 miliardi di gha (ettari globali) e che mediamente sono disponibili circa 1,8 gha per ogni abitante del pianeta. Quando la biocapacità è superiore all’impronta ecologica abbiamo una situazione di surplus ecologico (di solito nei paesi che presentano una forte presenza e un consumo non elevato di risorse naturali), mentre quando la biocapacità è minore dell’impronta ecologica abbiamo una situazione di deficit ecologico, ovvero si utilizza più capitale naturale di quello che abbiamo a disposizione (in generale nei paesi caratterizzati da un uso elevato delle risorse per i consumi). In pratica, si mettono a rapporto la biocapacità, ossia la quantità di risorse ecologiche che la Terra è in grado di generare in un anno espresse in ettari globali di terreno (gha), con l'impronta ecologica, cioè la domanda di risorse per quell’anno, e si moltiplica il tutto per 365, il numero di giorni dell’anno. In questo 2020 la pandemia da Covid-19 ha interrotto la crescita del consumo di capitale naturale, che nonostante ciò ha raggiunto un livello equivalente a 1,6 pianeti (Figura 2).

 

Figura 2. L’impronta ecologica di alcuni Paesi del pianeta

 

Per calcolare il giorno preciso di inizio del debito, invece, si divide la biocapacità terrestre relativa all'anno in corso per l'impronta ecologica terrestre in quel dato anno, e si moltiplica il risultato sempre per il numero dei giorni dell’anno. Ad esempio, l’impronta ecologica individuale per l'Italia quest’anno è stata di 4,4 gha, mentre la biocapacità globale è stata di 1,63 gha a persona, perciò la formula per ottenere l’Overshoot Day italiano è la seguente: (1,63) diviso (4,4 gha) per 365 (giorni dell’anno), dalla quale si ottiene 135 e infatti l’Overshoot Day italiano quest’anno è caduto il 14 maggio, ovvero il 135esimo giorno dell’anno. Ciò significa che per arrivare a fine anno, mantenendo l’attuale stile di vita, al nostro Paese servirebbero le risorse di almeno 2,7 pianeti (4,4 diviso 1,63), mentre, a livello globale, per sopperire al deficit di capitale naturale sarebbero necessari 1,6 pianeti. Tuttavia, mantenere i livelli di consumo attuali equivale ad intensificare lo sfruttamento degli stock di capitale naturale del pianeta. Inoltre, occorre precisare che non tutti i Paesi del mondo beneficiano delle proprie risorse naturali oltre che di quelle disponibili sul pianeta, ma, al contrario la distribuzione di risorse e consumi non è uniforme, con la conseguenza che alcuni Paesi hanno stili di vita eccessivamente dispendiosi in termini di consumo di risorse naturali a discapito di altri Paesi.

 

Note:

1. Un ettaro globale (gha) è un ettaro biologicamente produttivo con la produttività media mondiale. Ad es. l’impronta ecologica di 1 kg di pane è circa 30 gm2 (global m2).

2. Le attuali emissioni di carbonio derivanti dai combustibili fossili rappresentano il 60 percento dell’impronta ecologica dell’uomo. 

3. I sistemi alimentari utilizzano il 50 percento della biocapacità del nostro pianeta e proprio per questo è importante prestare attenzione a ciò che mangiamo e alle politiche che mirano a ridurre l’intensità di carbonio degli alimenti e l’impatto della produzione alimentare sulla biodiversità. Ridurre della metà gli sprechi alimentari significherebbe, infatti, posticipare l’Earth Overshoot Day di 13 giorni.


Per approfondire:

  • La soglia della sostenibilità. Donzelli editore 2011.
  • World Wide Fund For Nature-A European Sustainability Pact for a safer, more competitive andresponsibleEU, Report 2018.
  • Calculating Earth Overshoot Day 2020 ¦ June5, 2020 ¦ Global Footprint Network.

 

Foto d'intestazione: Friday for future di Roma del 15 marzo 2019 (Foto: www.ecowave.it)

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Le Vertical farm per città più resilienti e sostenibili

La crescita vertiginosa della popolazione urbana e la necessità di rendere le città più resilienti a cambiamenti climatici e crisi sanitarie impongono una ridefinizione del nostro sistema di produzione alimentare. Le vertical farm rappresentano una soluzione innovativa capace di ridurre i costi energetici, creare occupazione, garantire sicurezza igienico-sanitaria ai prodotti e contribuire alla riqualificazione urbana.


L’agricoltura moderna consuma forti quantitativi di energia fossile per produrre i beni alimentari sia vegetali che animali di cui abbiamo bisogno. In termini generali, la produzione di cereali (che contribuiscono al 70 percento della dieta umana) richiede il 60 per cento di energia fossile per la produzione di fertilizzanti, fitosanitari e motorizzazione. D’altro canto, la produzione industriale di un 1 kg di carne richiedere fino a 8 litri di combustibile fossile. Il sistema agricolo è inoltre responsabile di circa il 10 percento delle emissioni di gas serra in Europa (il 5 percento delle quali in Italia) e di numerosi fenomeni quali deforestazione, inquinamento, erosione e salinizzazione del suolo. Se da un lato il sistema agroalimentare moderno apporta innumerevoli vantaggi all’economia nazionale, dall’altro contribuisce in modo negativi su produttori e consumatori. Le varie fasi che caratterizzano la catena di produzione e commercializzazione dei prodotti alimentari, che allungano il percorso dal campo alla tavola, il ricorso all’importazione di prodotti provenienti dall’estero, spesso provenienti da paesi caratterizzati da insufficienti norme sociali e di lavoro, la specializzazione esasperata per le confezioni e l’immagine dei prodotti, ecc., comportano guadagni superiori (spesso a scapito dei produttori) ai numerosi intermediari che agiscono nella filiera e prezzi più elevati per i consumatori. Si stima che entro il 2030 oltre cinque miliardi di persone vivranno nelle aree urbane più densamente popolate del pianeta con problemi non indifferenti in termini di consumi di cibo, energia ed emissioni di CO2. L’aumento della popolazione che sceglie di vivere in città impone la definizione e lo sviluppo di catene di approvvigionamento in grado di soddisfare le esigenze alimentari dei cittadini (Figura 1). Va ridefinito un sistema agricolo-alimentare basato su pianificazioni urbane innovative in grado di valorizzare le fasce perimetrali delle aree urbane mediante lo sviluppo di tipologie moderne di filiera corta e progetti di agricoltura urbana capaci di favorire il risparmio di energia, di acqua, di emissioni di CO2 e la minimizzazione degli sprechi alimentari.

 

Figura 1. Stima di crescita della popolazione rurale e urbana al 2050 (UN, 2015)

 

Molte città hanno già incluso l'agricoltura urbana come parte delle loro strategie per ridurre l’impronta ecologica (meno trasporti, meno energia fossile per la climatizzazione, più prodotti freschi venduti direttamente ai consumatori) e consentire il riciclo di rifiuti e residui vegetali. Questi ultimi possono essere utilizzati come compost o come materia prima per la produzione di alimenti per animali e di biomassa per la produzione di biogas. Entro il 2020, l'Europa punta a raggiungere un'occupazione del 75 percento nella fascia di popolazione di età compresa tra i 20 e i 64 anni (Commissione europea 2014A). Gli ambiziosi obiettivi che si è data l’Europa mirano a raggiungere un livello superiore di occupazione per fornire lavoro a persone non qualificate o disabili e per sostenere le piccole comunità e le famiglie economicamente più deboli, mediante un uso limitato di suolo urbano (Figura 2).

 

Figura 2. PAN (percentuale area urbana necessaria) per soddisfare il consumo effettivo di verdure da parte degli abitanti delle città attraverso l’agricoltura urbana (Fonte: Environ. Res. Lett. 9 (2014) 064025)

 

La pandemia da Covid-19, che ha colpito indiscriminatamente tutti i paesi del mondo, ha sollevato una serie di interrogativi rispetto all’interazione tra il cambiamento ambientale, l’inquinamento e l’insorgenza di malattie infettive, con particolare riguardo allo stravolgimento degli equilibri naturali, spesso frutto del sistema ad alta intensità energetica che caratterizza l’approvvigionamento alimentare nei maggiori paesi industrializzati. Di qui deriva il forte interesse per un tipo di agricoltura urbana fortemente specializzata come quella rappresentata dalle Vertical farm, che eliminano di fatto le distanze tra produttore e consumatore e costituiscono una soluzione tecnologica in grado di rendere le città più resilienti e sostenibili. La strategia delle Vertical farm, all’interno del contesto urbano, rappresenta un sistema agricolo in door che utilizza energia rinnovabile, materiali, spazio e lavoro in modo sostenibile, sulla base di cinque paradigmi: zero emissions, zero waste, zero distances, zero power, zero pesticides. Questa tecnologia specializzata di agricoltura urbana rappresenta una realtà produttiva che offre l’opportunità di riciclare rifiuti e acque grigie e che aiuta i cittadini ad avere frutta e verdura fresche e controllate dal punto di vista igienico-sanitario. Si stima che il mercato delle Vertical farm raggiungerà un valore di 6 miliardi di dollari entro il 2022, registrando un tasso di crescita annuale medio pari al 24,8 percento. La stima si lega alle previsioni di crescita della popolazione urbana e alla funzionalità della tecnologia alla base delle Vertical farm, che impiega energia rinnovabile, minimizza l’uso di pesticidi e fitosanitari di sintesi e garantisce sicurezza alimentare e la possibilità di programmare i tempi di produzione secondo cicli virtuosi e in accordo con le richieste dei consumatori (Figura 3)

 

Figura 3. Ciclo biologico virtuoso per la produzione alimentare nelle Vertical farm

 

La produzione di cibo mediante l’uso di sistemi tecnologici innovativi rappresenta una delle maggiori sfide dei prossimi anni per far fronte al cambiamento climatico e al forte impatto ambientale ed energetico del sistema agricolo-alimentare tradizionale.


Foto d’intestazione: Carlo Alberto Campiotti