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Agricoltura urbana per città più resilienti e sostenibili

Secondo le Nazioni Unite, nei prossimi anni assisteremo a una rapida crescita demografica: 8,6 miliardi di persone entro il 2030, 9,7 miliardi entro il 2050. Uno dei principali problemi che gli amministratori delle città, le aree dove si concentrerà la maggior parte della popolazione mondiale, sarà garantire cibo in modo sicuro e accessibile a tutti.


Una vertiginosa crescita demografica

Il World Population Prospects (Prospetto della popolazione mondiale), elaborato ogni due anni dalle Nazioni Unite, riporta che nel 2030 il mondo sarà abitato da 8,6 miliardi di persone, di cui il circa il 60 per cento si concentrerà in aree urbane (Figura 1). Lo stesso rapporto evidenzia un incremento vertiginoso della popolazione mondiale, che potrebbe sfiorare quota 9,7 miliardi di persone entro il 2050.

 

Figura 1. Localizzazione delle megalopoli (città con una popolazione superiore ai 10 milioni di abitanti) nel mondo (Fonte: Nazioni Unite)

 

Il rapido aumento demografico e la massiccia concentrazione della popolazione in aree urbane determineranno significativi problemi in termini di inquinamento atmosferico, consumo di suolo e di altre risorse naturali, approvvigionamento di beni alimentari. Già oggi, nonostante occupino solo il 3 per cento della superficie terrestre, le città sono responsabili del 70 per cento delle emissioni di CO2 e consumano circa l’80 per cento dell’energia a livello globale. Secondo la FAO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura), nel 2008 metà della popolazione mondiale viveva in aree urbane mentre l’altra metà in aree rurali (Figura 2). Per far fronte all’aumento della popolazione mondiale che si registrerà nei prossimi anni, sottolinea la FAO, occorreranno altri 10 miliardi di ettari al fine di assicurare i necessari approvvigionamenti alimentari.

 

Figura 2. Andamento della popolazione urbana e di quella rurale dal 1950 al 2050 (Fonte: Nazioni Unite)

 

L’agricoltura urbana nel Patto di Milano

Nei prossimi anni la disponibilità di cibo rappresenterà uno dei principali problemi che gli amministratori locali dovranno affrontare a livello globale. In questo contesto l’agricoltura urbana potrà giocare un ruolo di primo piano per fronteggiare le diverse problematiche, dall’approvvigionamento di cibo alla gestione delle risorse naturali (in primo luogo, acqua e suolo), dall’abbattimento delle emissioni  di CO2 alla riduzione dei consumi di energia. In linea con questi obiettivi si pone il Milan Urban Food Policy Pact, una delle principali eredità del Expo del 2015. Si tratta di un accordo internazionale nato con l’obiettivo di favorire politiche alimentari urbane più sostenibili. In particolare, il documento, sottoscritto da 160 città di tutto il mondo, impegna i sindaci a lavorare per rendere sostenibili i sistemi alimentari, garantendo cibo sano e accessibile a tutti, preservando la biodiversità, contrastando gli sprechi, sostenendo l’educazione alimentare e promuovendo l’innovazione della filiera agroalimentare (Figura 3).

 

Figura 3. Città che hanno aderito al Patto di Milano per la politica alimentare urbana

 

I benefici del verde urbano

I tetti e le facciate degli edifici, i parchi, le superfici che costeggiano i corridoi ferroviari e le ex aree industriali abbandonate possono essere usate per la realizzazione di coltivazioni agricole. L’integrazione della vegetazione sui tetti e le facciate contribuiscono a migliorare il microclima urbano grazie al fenomeno dell’evapotraspirazione delle piante, che aumenta l’umidità presente nell’aria e diminuisce la temperatura interna ed esterna all’edificio. Inoltre, con la fotosintesi, le piante consumano CO2 e aiutano a mitigare l’effetto dell’“isola di calore” (heat island), che si manifesta con maggiore intensità nelle città (urban heat island). Una soluzione tecnologica sempre più all’attenzione delle imprese agricole ma adatta soprattutto per i nuovi agricoltori urbani è rappresentata dai sistemi idroponici “senza suolo” (Figura 4). 

 

 

Figura 4. Tipologie di sistemi idroponici (semplice a sinistra, avanzato a destra).

 

Infatti, questa tipologia di coltivazione, a basso consumo di suolo e acqua, si prospetta particolarmente utile per coltivare piante alimentari su terrazzi, balconi, garage e giardini condominiali in condizioni ottimali di crescita, igiene e sicurezza alimentare dei prodotti. L’impiego di questi sistemi di coltivazione, quando associato a un ambiente protetto come un edificio o una serra, può essere utile ad assicurare produzioni di livello industriale. Essi possono richiedere l’integrazione di luce, solitamente a LED (Light Emitting Diodes), alimentate con impianti fotovoltaici, soprattutto quando realizzati all’interno di edifici o capannoni industriali abbandonati, per assicurare i livelli ottimali di radiazione luminosa per la crescita e lo sviluppo delle piante. In alcuni casi, la produzione vegetale ottenibile mediante queste “serre building” si misura per unità di volume (grammi/m3) e non sulla base dell’area occupata dal sistema produttivo (grammi/m2) (Figura 5). La produzione di biomassa alimentare attraverso “orti tecnologicamente avanzati” si presta particolarmente per le “colture da foglia” come le insalate, data la brevità del ciclo colturale e le dimensioni contenute delle piante. Un elevato Harvest Index delle piante, ovvero il fatto che esse siano caratterizzate da una elevata percentuale di prodotto commestibile rispetto alla biomassa prodotta, rappresenta un ulteriore vantaggio per la coltivazione in ambiente protetto. Queste specifiche caratteristiche delle piante, infatti, consentono sia di massimizzare lo spazio disponibile sia di ridurre gli scarti vegetali non commestibili, che altrimenti richiederebbero processi di smaltimento.

 

Figura 5. Sistema prototipo di serra-building fotovoltaica per produzione vegetali.

 

L’emergenza in atto, rappresentata dalla pandemia di Covid-19, ha messo in luce non solo la centralità del settore primario per la sicurezza alimentare e sociale del Paese, ma anche l’opportunità di sviluppare l’agricoltura in contesti urbani. Quest’ultima, sotto il profilo logistico e operativo, potrebbe assicurare potenzialmente la disponibilità di beni alimentari in momenti di straordinaria precarietà come quello attuale. Di qui deriva l’occasione per formulare proposte per integrare l’agricoltura urbana e le “serre building”, tra gli elementi di pianificazione urbana e come soluzione efficace per garantire i necessari approvvigionamenti alimentari in caso di calamità naturali e crisi sanitarie.


Per approfondire:

  • Campiotti C.A. et Al. 2008. Photovoltaic as Sustainable Energy for Greenhouse and Closed Plant Production System. Acta Hort. 801, ISHS 2008.

  • Campiotti C.A. et Al. 2011. Preliminary Results of a PV Closed Greenhouse System for High Irradiation Zones in South Italy. Acta Hort. 893, ISHS 2011.

  • Urban agriculture in Europe: patterns, challenges and policies. ISBN 978-92-846-2506-2.

  • Vertical farming. https://en.wikipedia.org/wiki/Vertical_farming

 

Foto d’intestazione: Vigna di Montmartre, Parigi, Rue des Saules (Foto: www.ecowave.it)

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Agricoltura e agroindustria settori chiave per l’economia europea

La nuova PAC 2021-2027 si propone di promuovere l’agricoltura biologica e la filiera corta, azzerando le emissioni di CO2 e riducendo gli sprechi alimentari del 50 per cento. La Commissione europea, causa la crisi epidemiologica provocata dal Covid-19, pubblica linee guida che impegnano gli Stati membri a designare “corsie verdi” per agevolare il trasporto delle merci in Ue. Favorite 294 mila imprese che operano nel settore agroalimentare e in quello delle bevande 


La Commissione europea promuove “corsie verdi” per agevolare il trasporto delle merci

Il sistema agricolo-alimentare dell’Unione europea, Regno Unito compreso, contribuisce significativamente al benessere alimentare di oltre 500 milioni di cittadini europei e rappresenta una delle principali produzioni a livello globale. Circa 22 milioni di lavoratori operano nel settore agricolo e almeno il doppio di essi è occupato nell’agroindustria, nella trasformazione dei prodotti agroalimentari, nell’energia e nel turismo. Fondamentale è il ruolo rivestito dagli agricoltori nel preservare e migliorare l’ambiente naturale, il suolo, l’acqua, la biodiversità e i pozzi di assorbimento del carbonio (Figura 1).

 

Figura 1. Il settore agricolo nell’Unione europea a 28 (COM(2017) 713 final)

 

Nei giorni scorsi, a causa della crisi epidemiologica provocata dal Covid-19, la Commissione europea ha elaborato delle linee guida per la gestione delle frontiere interne dell’Ue, al fine di agevolare la catena di approvvigionamento garantendo il flusso continuo delle merci. Secondo tali linee guida, gli Stati membri sono tenuti a designare come “corsie verdi” (Figura 2) tutte le frontiere interne che fanno parte delle reti di trasporto transeuropee (TEN-T), sospendendo temporaneamente le restrizioni di accesso stradale in vigore a livello nazionale. Con le nuove regole, l’attraversamento delle frontiere interne, compresi gli eventuali controlli e screening sanitari, non dovrebbe richiedere più di 15 minuti.

 

Figura 2. Mappa delle “corsie verdi” per la circolazione agevolata delle merci sul territorio dell’Ue

 

Le linee guida tracciate dalla Commissione europea sono state accolte favorevolmente dalle organizzazioni che rappresentano gli interessi degli agricoltori europei, in quanto contribuiranno ad assicurare il reddito alle 294 mila imprese che operano nel settore agroalimentare e in quello delle bevande, tra le quali vanno ricomprese anche circa 22 mila cooperative agricole (Figura 3).

 

Figura 3. Il settore agroalimentare nell’Unione europea (le cifre indicano il numero di posti di lavoro nei settori corrispondenti (elaborato da COM(2017) 713 final)

 

L’agricoltura nel Green Deal europeo

Il sistema agricolo-alimentare è parte integrante del Green deal, l’ambizioso pacchetto di misure lanciato dalla Commissione europea, che prevede investimenti per 1000 miliardi di euro con l’obiettivo di ridurre le emissioni di gas serra e raggiungere la “neutralità climatica” entro il 2050. Si tratta di obiettivi indispensabili per contenere l’aumento del riscaldamento globale entro gli 1,5 °C rispetto ai livelli preindustriali (1850), in linea con quanto fissato dall’Accordo di Parigi. L’Unione europea si è infatti impegnata ad azzerare le proprie emissioni di CO2, che ancora rappresentano il 9 per cento delle emissioni a livello globale, entro il 2050, contribuendo al contempo all’obiettivo intermedio che prevede la riduzione del 55 per cento delle emissioni di CO2 entro il 2030. Un ruolo fondamentale per centrare gli obiettivi sarà giocato dalla PAC 2021-2027 che, con la strategia “Farm to Fork”, si propone di promuovere l’agricoltura biologica e la filiera corta, al fine di azzerare le emissioni di CO2 e ridurre gli sprechi alimentari del 50 per cento. Tra gli obiettivi contenuti nella nuova PAC figura anche quello che prevede una significativa riduzione del consumo di fertilizzanti minerali, che l’Eurostat (Ufficio statistico dell'Unione europea) ha valutato in 11,6 milioni di tonnellate di azoto e 1,3 milioni di tonnellate di fosforo, alle quali va aggiunto un consumo di pesticidi di 400 mila tonnellate di principi attivi (Figura 4).

 

Figura 4. Consumo di pesticidi al 2017 (Elaborata da Eurostat 2018)

 

Un sistema agricolo-alimentare più sostenibile sarà in grado di garantire redditi più adeguati agli agricoltori che, secondo il Copa-Cogeca (Comitato delle organizzazioni agricole professionali-Confederazione generale delle cooperative agricole), il principale gruppo d’interesse per gli agricoltori europei, ricevono mediamente solo il 21 per cento della quota del valore del prodotto agricolo, a fronte del 28 per cento che è destinato alla trasformazione e del 51 per cento che va ai rivenditori. A questo proposito, tra gli obiettivi del Green Deal europeo c’è anche quello che punta a sostenere la ri-territorializzazione delle produzioni e l’impiego di processi di produzione e trasformazione dei prodotti alimentari più sostenibili sotto il profilo ambientale ed energetico. I nuovi paradigmi di produzione richiedono infatti un cambio di mentalità e una diversa organizzazione delle imprese e del lavoro degli agricoltori. Occorrono processi e pratiche agricole più moderne e in grado di salvaguardare la qualità dei prodotti e di minimizzare i consumi di acqua, suolo ed energia. In questo modo di potrà aprire la strada alla decarbonizzazione del sistema agricolo-alimentare, tra gli obiettivi del Green Deal, e contrastare il Global change, cioè l’insieme dei mutamenti che si registrano nei differenti ecosistemi terrestri a causa dei cambiamenti climatici. 


Per approfondire:

  • Il futuro dell'alimentazione e dell'agricoltura. COM(2017) 713 final.

  • The European Green Deal. COM(2019) 640 final.

  • EFSA (http://www.efsa.europa.eu/it). 

  • Eurostat 2018 (dati per i pesticidi) e Eurostat 2019 (dati per i fertilizzanti minerali).

 

Foto d'intestazione: panorama agricolo nella provincia di Ragusa, in Sicilia (Foto: Carlo Alberto Campiotti)

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Covid-19: nato in natura e non in laboratorio

Il Covid-19 rappresenta un’emergenza sanitaria globale senza precedenti. Le ipotesi avanzate sulla sua origine sono diverse ma nessuna di esse può dirsi conclusiva. Tuttavia, i ricercatori ritengono che i pipistrelli potrebbero essere il serbatoio da cui è partita la diffusione del virus. 


Attacco del Covid-19 alle cellule umane

L’ingresso dei Coronavirus nelle cellule dipende dal legame delle proteine virali spike, dette anche proteine S ai recettori cellulari e dall’adescamento della proteina S da particolari proteasi della cellula ospite. Nell’articolo pubblicato da Hoffmann et al. su Cell il 5 marzo 2020, si afferma che il 2019-nCoV utilizza il recettore del SARS-CoV ACE2 per l’ingresso nella cellula e la serina proteasi TMPRSS2 per l’adescamento delle proteine S (Figura 1).Il nome ufficiale del SARS-CoV-2 (Severe Acute Respiratory Syndrome Coronavirus 2) attribuito dall'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) alla sindrome causata dal virus è Covid-19 (dall'inglese COronaVIrus Disease-2019).

 

Figura 1. Ingresso del virus nella cellula ospite. (Fonte: Hoffmann et al., SARS-CoV-2 Cell Entry Depends on ACE2 and TMPRSS2 and Is Blocked by a ClinicallyProven Protease Inhibitor, Cell (2020)

 

L'origine del virus

Il primo focolaio di SARS-CoV-2 è scoppiato ufficialmente a dicembre 2019 nella città di Wuhan, capoluogo della provincia di Hubei, in Cina. Nelle settimane successive il virus si è diffuso in tutto il mondo, creando altri focolai in Europa e, ormai, anche negli Stati Uniti. Secondo i ricercatori il virus è il prodotto dell'evoluzione naturale (Kristian G. Andersen et al. The proximal origin of SARS-CoV-2. Nature Medicine, 2020; DOI: 10.1038/s41591-020-0820-9). Lo studio è stato realizzato grazie al finanziamento dell’Istituto Nazionale della Sanità e del Dipartimento della Salute e dei Diritti Umani degli Stati Uniti e del Consiglio Europeo della Ricerca (Agenzia dell’Unione Europea per il supporto alla ricerca scientifica). Tuttavia, sull’origine di questo coronavirus e sulla sua evoluzione in una forma così fortemente contagiosa e letale per l’uomo non ci sono ancora evidenze conclusive ma solo ipotesi (Figura 2). Le principali ipotesi di contagio proposte dai ricercatori sono le seguenti:

 

Prima ipotesi

Il virus si è evoluto in forma patogena attraverso la selezione naturale in un ospite non umano ed è poi saltato sull'uomo. I precedenti focolai di coronavirus rilevati sul genere umano sarebbero infatti nati dopo avere contratto il virus attraverso il contatto con zibetti (SARS) e cammelli (MERS). Per quanto riguarda il SARS-CoV-2 (Covid-19), i ricercatori hanno proposto i pipistrelli (Rhinolophus affinis) come il serbatoio più probabile dell’infezione. Tuttavia, finora non sono stati documentati casi di trasmissione diretta dal pipistrello all’uomo, sebbene rimanga l’interrogativo di un ospite intermedio coinvolto tra pipistrelli e umani.

 

Seconda ipotesi

Una versione non patogena del virus è passata da un ospite animale a un essere umano e si è poi evoluta nel suo stato patogeno attuale nella popolazione umana. Ad esempio, alcuni coronavirus di pangolini (Manis javanica), mammiferi simili ad armadilli trovati in Asia e in Africa, hanno una struttura RBD molto simile a quella della SARS-CoV-2. Un coronavirus avrebbe potuto essere trasmesso da un pangolino a un essere umano, direttamente o attraverso un ospite intermedio come uno zibetto o  un furetto.

 

Terza ipotesi

In qualche modo il virus potrebbe essere sfuggito al controllodurante un esperimento svolto dai ricercatori in laboratorio. Tuttavia, le ricerche genomiche riportano che è praticamente impossibile che il Covid-19 sia il frutto di un esperimento di ingegneria genetica perché i domini del legame del recettore (RBD) sono mutati per adattarsi ai recettori umani attraverso un processo naturale. Perciò, secondo i ricercatori, il Covid-19 ha senza ombra di dubbio un’origine naturale, da rintracciarsi probabilmente nel contagio con un pipistrello.

 

Figura 2. Ipotesi sull’origine del Covid-19 (figura rielaborata dall’autore)

 
 

Inquinamento atmosferico e Covid-19 

Tra le ipotesi proposte dai ricercatori vi è anche quella secondo cui l’inquinamento atmosferico avrebbe influito significativamente sulla diffusione del virus. In particolare, i ricercatori hanno osservato che il particolato fine agisce da vettore di ogni tipo di inquinante, dai metalli pesanti agli idrocarburi policiclici aromatici, dai batteri ai virus. A questo proposito, il position paper della Società Italiana di Medicina Ambientale (Sime) ha evidenziato che la velocità di incremento dei casi di contagio che ha interessato in particolare alcune aree del Nord Italia potrebbe essere legata proprio alle condizioni di inquinamento atmosferico da particolato che ha esercitato un’azione di carrier e di boost”. Infine, ci sono supposizioni che ritengono che la diffusione del Covid-19 sia legata ai cambiamenti climatici in atto. Un team di scienziati della Ohio State University e del Joint Genome Institute del Dipartimento dell'Energia degli Stati Uniti ha recentemente affermato sulla piattaforma bioRxiv.org di aver trovato 28 gruppi di virus sconosciuti congelati in uno strato di ghiaccio risalente a 15 mila anni fa situato nella parte cinese dell’altopiano tibetano, a ovest dei Monti Kunlun, nel ghiacciaio di Guliya (Figura 3). Secondo i ricercatori “lo scioglimento dei ghiacci, provocato dal cambiamento climatico, potrebbe favorire il rilascio di agenti patogeni nell'ambiente”. I virus verrebbero quindi liberati nell’aria e nell’acqua dove entrerebbero in contatto con le falde acquifere, causando la diffusione di nuove e sconosciute infezioni che potrebbero sorgere in futuro. 

 

Figura 3. Sito dove sono stati ritrovati trovati 28 gruppi di virus sconosciuti

 

La conferma dai satelliti

Il blocco totale imposto dapprima in Cina e in seguito in Italia per evitare il contagio da Covid-19 ha avuto l’effetto desiderato di ridurre lo smog in entrambi i Paesi. Infatti, sia la Cina che il Nord Italia hanno mostrato significativi cali di diossido di azoto (NO2), un gas inquinante generato dalla combustione di combustibili fossili, fortemente legato alla produzione industriale, agli impianti di riscaldamento e al traffico stradale (Figura 4). Di qui l’ipotesi di una possibile associazione tra l’inquinamento atmosferico e la diffusione del virus.

 

Figura 4. Dati da satellite sull’inquinamento atmosferico in Cina e Italia

 

Tuttavia, la Società italiana di aerosol (Ias)ha pubblicato un documento dove si legge che “leattuali conoscenze relative all’interazione tra i livelli di inquinamento da polveri sottili e ladiffusione del Covid-19 sono ancora molto limitate e ciò impone di utilizzare la massimacautela nell’interpretazione dei dati disponibili”. Il documento è stato firmato da 70 scienziati provenienti da vari enti e istituzionidi ricerca, tra i quali Cnr, Infn, ENEA e le Agenzie regionali per la protezione ambientale (Arpa) di Emilia Romagna, Lombardia e Piemonte, nonché dalle maggiori università italiane.

 

Il virus sopravvive sulle superfici che tocchiamo

Secondo uno recente studio condotto da un team di scienziati e accademici statunitensi pubblicato sulla rivista scientifica New England Journal of Medicine, la sopravvivenza del coronavirus ha durata variabile: 72 ore su plastica e acciaio inossidabile, 24 ore sul cartone e 4 ore sul rame. Lo studio ha anche dimostrato che il virus sopravvivere soprattutto  in piccole goccioline (aerosol) in grado di rimanere sospese nell'aria per un tempo che varia da mezz'ora a un'ora, a seconda del flusso d'aria. La pulizia frequente di controsoffitti, maniglie delle porte e altre superfici con disinfettanti e detergenti elimina l’eventuale presenza del virus. Infine, uno studio della Johns Hopkins University ha rilevato che il periodo medio di incubazione è di 5,1 giorni e che il 97,5 per cento di coloro che contraggono il virus sviluppano sintomi entro 11,5 giorni.


Foto d’intestazione: Microfotografia elettronica a trasmissione del coronavirus Covid-19, National Institutes of Health (NIH)