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La vita delle api mellifere potrebbe essersi dimezzata negli ultimi 50 anni, di Barbara Paknazar

Pubblichiamo un interessante articolo comparso il 10 gennaio 2023 su "Il Bo Live" dell'Università di Padova


La vita media delle api mellifere potrebbe essersi dimezzata nel corso degli ultimi 50 anni, passando da 34 a 17 giorni. A questo risultato, che aggiunge un nuovo motivo di preoccupazione sul futuro di questo straordinario insetto, è giunto uno studio condotto da due entomologi dell'università del Maryland che hanno realizzato la scoperta mentre conducevano esperimenti sull’alimentazione di esemplari allevati in laboratorio. Lo scopo iniziale degli scienziati era quello di valutare gli effetti ottenuti affiancando acqua semplice alla dieta a base di acqua zuccherata con cui tipicamente vengono nutrite le api in cattività. L’obiettivo era quello di imitare meglio le condizioni naturali in cui vivono le api. Confrontando i risultati con quelli sulla storia dell'approvvigionamento idrico negli studi in gabbia presenti in letteratura, i ricercatori hanno così osservato che, indipendentemente da come venivano nutrite, la vita media delle loro api era la metà di quella delle api studiate in esperimenti simili fatti negli anni ’70 negli Stati Uniti. Gli autori della ricerca, pubblicata su Scientific Reports, hanno poi utilizzato un modello matematico per stabilire il possibile impatto del dimezzamento della longevità degli alveari sui quantitativi di miele e dunque sul settore dell’apicoltura. Quello che è emerso è una diminuzione di produttività pari al 33%, in linea con i tassi medi di perdita realmente riportati dagli apicoltori statunitensi negli ultimi 14 anni.

Lo studio

I ricercatori hanno condotto lo studio raccogliendo api allo stadio di pupa entro 24 ore dalla loro uscita dalle celle dell’alveare, per poi far loro proseguire la crescita in un'incubatrice e trasferirle in laboratorio all’interno di gabbie speciali. Il fatto che le api oggetto della ricerca siano state allevate in condizioni controllate, senza quindi essere soggette a fattori ambientali dannosi come virus e pesticidi, ha portato gli scienziati ad avanzare l’ipotesi che a questo significativo declino della longevità possano contribuire cause genetiche. “Noi isoliamo le api dalla colonia appena prima che diventino adulte, dunque tutto ciò che sta riducendo la loro longevità, avviene prima di questo passaggio", ha spiegato Anthony Nearman, primo autore dello studio. È stato proprio Nearman, studente di dottorato al dipartimento di Entomologia dell’università del Maryland, ad accorgersi per primo che la vita media delle api operaie allevate in laboratorio era di appena 17 giorni, indipendentemente dal tipo di alimentazione somministrata all’insetto impollinatore. Una revisione approfondita dai dati presenti in letteratura ha quindi permesso di constatare che negli anni ’70 le api operaie in gabbia vivevano in media oltre 34 giorni e il declino della longevità è risultato essere costante lungo l’intero arco di mezzo secolo, nonostante gli standard con cui vengono mantenute le api in laboratorio siano andati progressivamente migliorando.
E sebbene le condizioni presenti in laboratorio siano molto diverse da quelle che contraddistinguono le colonie negli alveari, la vita media delle api di laboratorio si è sempre dimostrata simile a quella delle api in colonia (che per le operaie è pari a poco più di un mese).
Le cause che hanno portato al dimezzamento della vita media delle api allevate in laboratorio restano ancora da chiarire: il fatto che gli insetti siano stati precocemente portati in condizioni controllate tende a far escludere un ruolo da parte di agenti patogeni, inquinamento o pesticidi (sebbene in generale sia assodato che alcuni prodotti fitosanitari usati in agricoltura abbiano pesanti ripercussioni sulle api). Al riguardo i ricercatori spiegano che per quanto non si possa del tutto scartare la possibilità che fattori ambientali, come appunto virus o pesticidi, siano entrati in gioco durante lo stadio larvale degli insetti, quando stanno covando nell'alveare e le api operaie le stanno nutrendo, gli esemplari studiati non hanno manifestato sintomi evidenti che fossero riconducibili a questa tipologia di esposizioni. Per questo motivo Anthony Nearman e il co-autore Dennis van Engelsdorp hanno avanzato l'ipotesi che la longevità delle api si sia ridotta a causa di cambiamenti genetici che potrebbero a loro volta essere la conseguenza involontaria delle pratiche di selezione condotte dagli apicoltori: le colonie costituite da api che vivono meno tempo potrebbero apparire più sane ed essere state quindi favorite dagli apicoltori rispetto a quelle composte da api che vivono più a lungo ma che sono colpite da malattie o da patogeni. Questo studio è il primo a mostrare un declino complessivo della durata della vita delle api da miele potenzialmente indipendente da fattori di stress ambientali, il cui impatto sulle api è comunque fortemente distruttivo, come recentemente ricordato anche dall'esperienza che Paolo Fontana entomologo e apidologo della Fondazione Edmund Mach di San Michele all’Adige, ha condiviso con Il Bo Live. La sopravvivenza delle api è infatti già messa a dura prova da molte pressioni: solo per citare qualche esempio, un recente studio dell'università di Bristol pubblicato su Pnas Nexus ha scoperto che i fertilizzanti alterano il modo in cui le api percepiscono i fiori, scoraggiandone la visita. C'è poi il ben noto problema della tossicità delle sostanze chimiche usate in ambito agricolo dove, secondo uno studio pubblicato nel 2021 su Science, in un decennio l'impatto tossico dei pesticidi sulle api e altri impollinatori è raddoppiato, nonostante un calo della quantità di prodotti utilizzati. A tutto questo si aggiunge poi l'alterazione dell'habitat delle api con una forte perdita delle superfici dei prati di fiori selvatici, convertiti in suoli agricoli.
La ricerca condotta da Nearman e vanEngelsdorp si propone adesso di confrontare i dati provenienti da altri paesi del mondo per scoprire se la tendenza è in atto anche al di fuori degli Stati Uniti. E non bisogna dimenticare che le condizioni di laboratorio possono nascondere dettagli difficilmente confrontabili a distanza di mezzo secolo, come i materiali delle gabbie o la velocità del flusso di aria negli incubatori.
La vera sfida è adesso capire se la vita media delle api mellifere si è ridotta anche in natura e se un simile trend è comune a diverse specie di api. A questa domanda occorre trovare presto una risposta: le api e altri insetti impollinatori sono essenziali per un buon raccolto per il 75% delle colture che coltiviamo in tutto il mondo. Inoltre impollinano circa l'80% di tutte le piante selvatiche e hanno un ruolo fondamentale per la tutela della biodiversità. Le conseguenze del loro declino riguardano tutti noi.

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foto da Georgofili Info

“Benessere animale certificato” di Ermanno Comegna

Pubblichiamo un articolo comparso il 14 dicembre 2022 su “Georgofili Info”, Notiziario di informazione a cura dell’Accademia dei Georgofili


Dal 2023, sarà attivo in Italia un sistema unico ed armonizzato di certificazione volontaria del benessere degli animali, secondo le regole stabilite nel decreto ministeriale del 2 agosto scorso, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 29 novembre 2022.
Il Sistema di qualità nazionale per il benessere degli animali (SQNBA) è stato istituito con l’articolo 224 bis del decreto legge 19 maggio 2020 n. 34, successivamente convertito in legge e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 18 luglio 2020 (“Decreto rilancio” predisposto per introdurre misure urgenti a seguito del Covid).
Gli obiettivi politicamente rilevanti sono molteplici, ma due appaiono quelli principali. Il primo riguarda la necessità di armonizzare a livello nazionale i requisiti e le regole applicabili per la certificazione degli allevamenti che ottengono prestazioni elevate in materia di salute e benessere degli animali. Attualmente sono attivi in Italia diversi modelli privati di certificazione, ognuno con sensibilità e caratteristiche proprie.
C’è inoltre, come motivazione forse strategicamente più rilevante, la volontà di conferire alla filiera zootecnica italiana uno strumento per la valorizzazione delle produzioni, in particolare quando queste derivano da allevamenti nei quali si attuano requisiti di salute e benessere degli animali, superiori rispetto a quelli previsti dalle norme comunitarie e nazionali e comunque conformi a regole tecniche predefinite che contemplano anche la gestione delle emissioni nell’ambiente. Ai fini della valorizzazione commerciale delle produzioni è previsto l’utilizzo di un marchio distintivo, ancora da definire, con il quale identificare i prodotti conformi ai disciplinari che sono stati certificati da un organismo autorizzato.
Il SQNBA diventerà, a partire dal 2023, una delle componenti della PAC, in quanto è alla base di uno specifico eco-schema che premia gli allevatori certificati, i quali, come requisito supplementare, impiegano metodi estensivi di produzione, con il pascolamento degli animali secondo regole predefinite.
L’operazione rientra nell’ambito del livello 2 dell’Eco-schema 1, dedicato alla zootecnia, con una dotazione finanziaria che ammonta a 65 milioni di euro per anno e premi di importo indicativo unitario di 240 euro per UBA nel caso di bovini da latte, da carne ed a duplice attitudine e 300 euro per UBA per i suini certificati ed allevati allo stato brado.
Il funzionamento del sistema di certificazione volontario ad oggi non è ancora operativo, per almeno due ordini di motivi. In primo luogo perché è necessaria una preventiva autorizzazione della Commissione Europea che approvi il progetto di regola tecnica in materia di SQNBA che le competenti autorità nazionali hanno trasmesso nel mese di giugno scorso. Inoltre mancano i requisiti produttivi (disciplinari di produzione) che stabiliranno le regole da rispettare negli allevamenti e nelle altre fasi della filiera zootecnica per poter conseguire la certificazione di conformità in materia di benessere degli animali.

Le norme tecniche saranno distinte per specie, orientamento produttivo e metodo di allevamento e costituiranno il punto di riferimento sul quale gli allevatori e gli altri operatori dovranno basare i loro comportamenti per partecipare al modello gestionale virtuoso ed ottenere, così, il rilascio della conformità.

La regia che permette il funzionamento del SQNBA è affidata ad un organismo tecnico scientifico con il compito di definire il regime e le modalità di gestione del sistema qualità, comprese le regole per il ricorso alla certificazione e all’accreditamento degli organismi abilitati.
Il decreto ministeriale pubblicato di recente definisce l’architettura ed il funzionamento del modello di certificazione e rimanda a successivi provvedimenti, per le decisioni in materia in materia di disciplinari di produzione, definiti nel testo come “requisiti di certificazione relativi all’allevamento delle specie di animali di interesse zootecnico”.
In particolare, il provvedimento ministeriale istituisce il Comitato tecnico scientifico benessere animali (CTSBA), attribuendo ad esso anche il compito di individuare il segno distintivo con il quale identificare i prodotti certificati. Fanno parte del Comitato i rappresentanti dei Ministeri competenti (Agricoltura e Salute) e delle Regioni e delle Province autonome, gli esperti in materia di benessere animale ed un componente di Accredia (organismo nazionale di accreditamento).

Alla base del funzionamento del processo di certificazione, c’è il sistema informativo di categorizzazione degli allevamenti in base al rischio (Classy Farm), istituito dal Ministero della Salute. I dati gestionali degli allevamenti saranno opportunamente raccolti ed elaborati e costituiranno la base per classificare gli allevamenti e verificare la presenza dei requisiti necessari per l’accesso al SQNBA.
La certificazione volontaria può essere richiesta non solo dagli allevatori (operatori della produzione primaria) ma anche dalle imprese del settore alimentare (impianto di macellazione, operatore della trasformazione e del commercio).
La commercializzazione degli animali e dei prodotti derivati conformi al SQNBA può avvenire riportando alcune informazioni nei documenti di vendita e nelle etichette, tali da ottenere così la differenziazione commerciale ed una auspicabile valorizzazione della produzione. In tale contesto è prevista anche la possibilità di utilizzare il logo identificativo che sarà successivamente individuato con un apposito decreto ministeriale.
Il testo del provvedimento contiene alcune disposizioni che riguardano l’organismo di certificazione, con particolare riferimento ai requisiti di iscrizione e di funzionamento, di carattere generale e specifico relativo al personale, alla formazione ed alle procedure di certificazione.
Il nuovo sistema armonizzato di certificazione del benessere degli animali sembra aver considerato tutte le possibili variabili in gioco per sperare in una buona traduzione pratica dell’iniziativa, compresa la decisione di assicurare un finanziamento pubblico che potrebbe suscitare un vivo interesse.

Ci sono però alcune questioni critiche da considerare. Intanto, si segnala la mancata stesura, ad oggi, delle regole da rispettare nella fase produttiva che sono necessarie per ottenere la conformità e rivestono una certa importanza per una compiuta valutazione dello strumento.
Poi ci sarebbe da considerare la reazione degli operatori economici che non è scontato sia positiva. Un’analoga esperienza nel campo delle produzioni vegetali (Sistema qualità nazionale produzione integrata – SNQPI), non è al momento decollata e si trascina avanti senza picchi di entusiasmo.
In tale contesto, non andrebbe dimenticato come la conformità a norme tecniche abbia un costo gestionale che un imprenditore decide di sostenere solo in caso di potenziale favorevole ritorno, almeno nel medio termine.
Infine, c’è il dubbio se iniziative del genere debbano essere governate dalla mano pubblica, oppure sia meglio lasciare al mercato e all’iniziativa privata. L’Italia, ma pure l’Unione europea, che nell’ambito del Farm to Fork pensa a regole comuni in materia di certificazione di sostenibilità e di benessere degli animali, la pensano diversamente, cionondimeno qualche interrogativo resta sulla efficacia di tale soluzione.

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Un nuovo polo sanitario nelle vicinanze del policlinico della città del Santo. L’Università di Padova istituisce il primo insegnamento in Italia dedicato alle cure palliative per i minori

Nascerà a Padova il nuovo hospice pediatrico. tremila metri dedicati a bambini e loro famiglie. Parte il fundraising per finanziare l’opera. 


Dodici stanze, attrezzate con le più moderne tecnologie, per ospitare altrettanti bambini. Spazi dedicati al personale sanitario dove aggiornarsi e stabilire la migliore strategia per le terapie. Appartamenti per ospitare i familiari dei giovani pazienti, in modo da rendere loro più confortevole possibile la permanenza in città. Ed è proprio a Padova, la città italiana dove è nato il primo hospice pediatrico nel 2008, che si realizzerà il progetto "Nuovo Hospice Pediatrico – Centro di Riferimento regionale per le Cure Palliative e terapia del dolore pediatriche della Regione Veneto".
Nascerà così un nuovo polo sanitario dedicato alle cure palliative per bambini. Grazie all’impegno di Regione del Veneto, che metterà a disposizione gli immobili, e Azienda Ospedale – Università di Padova, l’attuale sede dell’hospice, in via Ospedale Civile, verrà sostituita da una struttura più ampia e diffusa. Le nuove 12 stanze, al posto delle attuali 4, saranno ospitate in una struttura in via Falloppio, nel cuore della città e a pochi passi dal policlinico universitario. Un altro immobile adiacente al primo, con entrata da via Sant’Eufemia, sarà punto di riferimento per il personale sanitario. Ma il progetto non si ferma qua: in via San Massimo saranno ristrutturati degli appartamenti a disposizione per le famiglie dei giovani pazienti. Ma per far diventare realtà il progetto del nuovo hospice pediatrico c’è bisogno di risorse economiche. Ed è su questo frangente che, in particolare, si sta muovendo l’associazione  "La miglior vita possibile". Realtà nata nel 2018, a Padova, per promuovere lo studio e la diffusione della cultura si pone come propria finalità quella di migliorare la condizione di salute e di vita della popolazione pediatrica che ricorre alle cure palliative.
"La miglior vita possibile" lancia quindi una raccolta fondi rivolta a tutti: istituzioni, enti pubblici e privati, mondo dell’associazionismo e cittadini, per raccogliere un’ingente somma da destinare alla realizzazione del progetto.

I numeri delle curie palliative pediatriche in Italia

Padova rimane uno dei cuori pulsanti italiani per le cure palliative pediatriche, mostrando grande attenzione per una tipologia di assistenza che ha numeri importanti nel nostro Paese. Sono infatti 35mila i bambini eleggibili alle curie palliative pediatriche, dei quali più di un terzo, 12mila, necessitano di terapie specialistiche. Il Veneto ha già una rete capillare molto ben sviluppata: 250 bambini sono presi in carico ogni giorno, con prevalenza all’assistenza domiciliare, a fronte comunque di una stima di 900 minori che necessiterebbero di cure. Numeri che fanno intuire l’importanza di strutture come quella nata a Padova (al momento una delle sette in Italia) alla quale il progetto del nuovo hospice pediatrico vuole dare ora una nuova veste. «C’è bisogno di un cambio culturale – conclude Zaccaria –. Di cure palliative pediatriche, infatti, si fa ancora troppa fatica a parlare. Siamo invece davanti a giovani pazienti che hanno il diritto di avere cure adeguate in strutture altrettanto adeguate, che hanno il diritto di coltivare i loro sogni e le loro speranze, di condurre un’esistenza piena circondati dai loro affetti più cari, di portare avanti, quindi, per tutto ciò che è possibile, le loro storie di vita. Di vita, sottolineo, parliamo quando raccontiamo degli hospice pediatrici. È fondamentale quindi superare l’approccio prettamente pietistico che si ha quando si tratta questo argomento. È importante invece porci in altri termini: quelli del diritto di vivere una vita piena. Un obiettivo che, va da sé, possiamo perseguire solo grazie a un rapporto stretto e collaborativo con le istituzioni, in particolar modo quelle deputate all’attività assistenziale».

Il primo insegnamento sulle cure palliative pediatriche in Italia

C’è un’altra importante novità che arriva dal territorio patavino. L’Università di Padova, infatti, ha istituito il primo insegnamento in Italia dedicato alle cure palliative pediatriche. Sarà attivo dal 2023 e andrà a completare l’offerta formativa dell’ateneo patavino, che già prevede un master dedicato alle cure palliative pediatriche e una scuola di specializzazione, di altrettanto recente istituzione, sul tema prezioso per pazienti e famiglie, delle cure palliative nel life-span.

Tutte le informazioni sul fundraising si possono trovare sul sito
 costruiamo.lamigliorvitapossibile.it.