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Nell’occasione della Giornata mondiale dell´acqua AEA ha pubblicato il rapporto “L’acqua è vita”

La ricorrenza della Giornata mondiale dell’acqua il 22 marzo di ogni anno  fu stabilita dall’Assemblea generale delle Nazioni unite con l’obiettivo di richiamare l’attenzione pubblica sulla sua importanza e promuovere la gestione sostenibile delle risorse idriche.


L’Agenzia europea per l’ambiente (AEA) ha pubblicato il rapporto “L’acqua è vita”, dedicato a questa risorsa vitale che copre oltre il 70% della superficie terrestre.  Ogni anno in Europa il consumo di acqua, non solo per quello umano, ma anche per agricoltura, produzione industriale, riscaldamento e raffreddamento, turismo e altri servizi è di vari miliardi di metri cubi. Da sempre elemento vitale per il pianeta, negli ultimi due secoli l’acqua “è diventata il capolinea per molti inquinanti rilasciati in natura e una miniera ricca di minerali”. Il modo in cui viene utilizzata e trattata produce conseguenze su tutti i cicli vitali che da essa dipendono.

Il documento esamina la situazione attuale dell’acqua in Europa, illustrando i dati del Rapporto sullo stato delle acque e degli ecosistemi e soffermandosi sugli impatti delle attività umane e dei cambiamenti climatici. Riporta anche le iniziative a livello Ue per migliorare la situazione e il governo della risorsa idrica. Qualità e disponibilità dell’acqua sono fortemente minacciati per le alterazioni fisiche degli habitat acquatici e cambiamenti climatici (Figura 1).

 

Figura 1. Ciclo dell’acqua: principali problemi che compromettono la qualità e la quantità dell’acqua. Fonte: Signals 2018 dell’AEA

 

Nella pubblicazione dell’AEA l’attenzione è rivolta non solo sui fattori di pressione che stanno alterando il ciclo di vita dell’acqua ma anche su azioni intraprese e soluzioni proposte attraverso fondi europei per cercare di fronteggiare il problema della carenza idrica, aumentare la consapevolezza della necessità di conservare e proteggere le risorse idriche e gli ecosistemi; facilitare l'adozione di misure, ad esempio buone pratiche e incentivi fiscali, per aumentare la fiducia degli operatori e degli utenti.

Leggi il rapporto sotto allegato

Italia ed economia circolare

Cosa emerge dal primo Rapporto Nazionale sull’Economia Circolare in Italia

Secondo i dati del Rapporto Nazionale sull’Economia Circolare 2019, l’Italia si conferma al primo posto in Europa per indice complessivo di circolarità, ma cresce meno rispetto ad altri paesi europei. Tra le proposte del rapporto anche quella che prevede l’istituzione di un’Agenzia Nazionale per l’uso efficiente delle risorse.


L’Italia prima in Europa per indice complessivo di circolarità

L’Italia, con 103 punti, si conferma al primo posto in Europa per quanto riguarda l’indice complessivo di circolarità, ovvero il valore attribuito all’utilizzo di materie prime seconde e al livello di innovazione nella produzione, nel consumo e nella gestione dei rifiuti. Seguono Regno Unito con 90 punti, Germania con 88, Francia con 87 e Spagna con 81. Tuttavia, in confronto agli altri paesi europei, il nostro cresce di meno. Infatti, rispetto alle valutazioni del 2018, l’Italia ha guadagnato un solo punto (lo scorso anno l’indice complessivo di circolarità era di 102 punti), a dispetto di altri paesi come la Francia, che nel 2018 aveva totalizzato 80 punti e oggi si trova ad 87, o la Spagna, che ha scalato la classifica europea guadagnando 13 punti in un solo anno (lo scorso anno aveva un indice complessivo di circolarità di 67 punti). Questo è quanto emerge dal Rapporto sull’Economia Circolare in Italia 2019, realizzato dal Circular Economy Network, la rete promossa dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile e da 13 aziende e associazioni di impresa, insieme con l’ENEA (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile), e presentato il 1° marzo in occasione della Conferenza Nazionale dell’Economia Circolare organizzata a Roma.

“L’Italia vanta grandi risultati data la rilevanza che l’economia circolare ha avuto e ha nel nostro Paese”, ha commentato il presidente della Fondazione per lo sviluppo sostenibile e del Circular Economy Network Edo Ronchi. “Dobbiamo però impegnarci a tenere alto il livello delle nostre performances. Servono un piano e una strategia nazionale, una regolazione sui decreti End of Waste che permetta ai numerosi progetti industriali in attesa di autorizzazione di partire”. “Ma serve anche una visione politica e amministrativa – ha sottolineato Ronchi – che manovri le leve della fiscalità, degli incentivi all’innovazione in favore dell’economia circolare, che va pensata non come un comparto, ma come un vero e proprio cambiamento profondo di modello economico”. Per passare dalla parole ai fatti, il rapporto individua un decalogo di obiettivi che l’Italia deve seguire se vuole rilanciare l’economia circolare, puntare sulla sostenibilità ambientale, ridurre le emissioni di gas serra e accrescere la propria competitività in Europa.
 

Un decalogo per lo sviluppo dell’economia circolare

  1. Diffondere e arricchire la visione, le conoscenze, la ricerca e le buone pratiche dell’economia circolare, puntando sul risparmio e su un uso più efficiente delle materie prime e dell’energia, sull’utilizzo di prodotti di maggiore durata, riparabili e riutilizzabili, basati sugli utilizzi condivisi, sulla riduzione della produzione e dello smaltimento di rifiuti e sullo sviluppo del loro riciclo.
     
  2. Implementare una Strategia nazionale e un Piano d’azione per l’economia circolare coerenti con la strategia europea e con le più avanzate esperienze internazionali, che puntino a valorizzare le rilevanti potenzialità dell’Italia e ad affrontare carenze e ritardi. Tali strumenti devono promuovere in modo organico, efficiente e senza appesantimenti procedurali e burocratici, il modello circolare nella produzione, nel consumo, nella gestione dei rifiuti puntando su innovazione, sviluppo degli investimenti e occupazione.
     
  3. Migliorare l’utilizzo degli strumenti economici per l’economia circolare, valutando gli incentivi pubblici esistenti e riallocando quelli che producono effetti in contrasto con l’economia circolare. La responsabilità estesa dei produttori per il ciclo di vita (compreso il fine vita) dei prodotti e quella condivisa dei diversi soggetti coinvolti nel consumo, sono strumenti economici importanti per orientare il mercato verso la circolarità.
     
  4. Promuovere la bioeconomia rigenerativacome parte importante di un’economia circolare che assicuri prioritariamente la sicurezza alimentare e l’agricoltura di qualità e che alimenti anche le filiere innovative, integrate nei territori, dei biomateriali, nonché la restituzione di sostanza organica ai suoli e la produzione di energie rinnovabili, con coltivazioni in aree marginali, prelievi sostenibili di biomassa forestale e con l’utilizzo di scarti e rifiuti organici.
     
  5. Estendere l’economia circolare negli acquisti pubbliciattraverso i Green Public Procurements (GPP) i quali dovranno avere un ruolo importante per indirizzare una parte rilevante degli investimenti pubblici verso modelli circolari.
     
  6. Promuovere l’iniziativa delle città per l’economia circolare, puntando su programmi integrati di rigenerazione urbana secondo il modello europeo delle green cities, che assicurino il soddisfacimento dei diversi fabbisogni e un’elevata funzionalità ecologica del sistema urbano con il risanamento, la riqualificazione, il riutilizzo di aree dismesse o degradate e del patrimonio edilizio non più utilizzato.
     
  7. Realizzare un rapido ed efficace recepimento del nuovo pacchetto di direttive europee per i rifiuti e l’economia circolare, puntando a migliorare la prevenzione, ad aumentare il riciclo superando tutti i nuovi target europei, ad utilizzare il recupero energetico supportando il riciclo e a rendere residuale lo smaltimento in discarica.
     
  8. Attivare rapidamente un efficace End of Waste: strumento indispensabile per l’economia circolare. Per sviluppare il riciclo dei rifiuti, urbani e speciali, è indispensabile disporre di una efficace e tempestiva regolazione della cessazione della qualifica di rifiuto (End of Waste) dopo un adeguato trattamento. Applicando la nuova direttiva europea in materia, occorre, da una parte, rendere molto più rapida la procedura per i decreti ministeriali e, dall’altra, affidare anche alle Regioni, sulla base delle condizioni e dei criteri europei, le autorizzazioni dei casi non ancora regolati a livello nazionale.
     
  9. Assicurare le infrastrutture necessarie per l’economia circolare, diffondendo e implementando l’innovazione e le buone pratiche, in particolare per le piccole e medie imprese, anche istituendo un’Agenzia Nazionale per l’uso efficiente delle risorse. Per superare i nuovi target europei della gestione circolare dei rifiuti è poi necessario favorire investimenti e procedure rapide di autorizzazione per aumentare e potenziare gli impianti di selezione e di trattamento, per migliorare le tecnologie utilizzate e aumentare e migliorare la qualità della raccolta differenziata, superando gli squilibri territoriali esistenti.
     
  10. Estendere l’economia circolare anche al commercio online. I prezzi convenienti, la facilità dell’acquisto e la consegna a domicilio stanno alimentando una forte crescita del e-commerce anche di prodotti usa e getta, di breve durata, non riparabili, difficilmente riciclabili e distribuiti con imballaggi voluminosi. Gli indirizzi e le regole dell’economia circolare vanno estesi, in coerenza con quanto indicato dalle nuove direttive europee, ai prodotti distribuiti attraverso siti di e-commerce, anche se non sono fabbricati in Paesi europei.

Si tratta di una serie di obiettivi ambiziosi e che richiedono un forte impegno da parte del nostro Paese. “Occorre il pieno coinvolgimento delle forze politiche e della società civile – ha dichiarato Ronchi nel corso della conferenza – affinché l’economia circolare sia per l’Italia una sfida, ma anche una grande occasione”.


Nota:

La foto che compare come immagine d’intestazione dell’articolo è stata scattata da Andrea Campiotti (autore dell’articolo).

AsVis convegno 02-19

La Legge di Bilancio non passa il test dello sviluppo sostenibile

L’ASviS presenta alla Camera dei Deputati un documento che valuta l’impatto dei provvedimenti contenuti nell’ultima Legge di Bilancio alla luce dei 17 obiettivi di sviluppo sostenibile e dei 169 target dell’Agenda 2030. Secondo l’ASviS, all’Italia manca “una visione integrata di cambiamento per lo sviluppo sostenibile”. 


L’ultima Legge di Bilancio non passa il test dello sviluppo sostenibile. Ieri mattina, l’ASviS (Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile) ha presentato a Roma, presso l’Aula del Palazzo dei Gruppi Parlamentari della Camera dei Deputati, un documento che valuta l’impatto dei provvedimenti contenuti nella Legge di Bilancio 2019 alla luce dei 17 obiettivi di sviluppo sostenibile (Goals) e 169 target previsti dall’Agenda 2030. Dalla valutazione dell’ASviS emerge chiaramente la mancanza di una visione integrata degli interventi in campo economico, sociale ed ambientale di cui l’Italia ha bisogno per accelerare il passo verso lo sviluppo sostenibile. In particolare, sottolinea l’ASviS, preoccupa l’assenza di interventi sistemici per l’economia circolare, la transizione ecologica dei sistemi produttivi, l’occupazione giovanile e femminile, il cambiamento climatico e il degrado ambientale. Infatti, sostiene l’ASviS, non c’è una spinta alla partecipazione delle donne a tutti i livelli del processo decisionale nella vita politica, economica e pubblica, così come mancano norme che mirano all’eliminazione del lavoro minorile, alla protezione e alla sicurezza dei lavoratori, compresi quelli migranti, e non c’è una strategia che affronti il complesso problema dell’occupazione giovanile, grande vulnus del nostro Paese.

Sul fronte delle politiche ambientali, fa notare l’ASviS, mancano norme sull’uso sostenibile del suolo (sebbene, a conclusione della passata legislatura fosse stata elaborata una bozza di legge nazionale contro il consumo di suolo), sulla qualità dell’aria, sulla lotta alla desertificazione e sul ripristino dei terreni colpiti da siccità e inondazioni. Inoltre, c’è ancora molto da fare per rispettare i 10 impegni assunti nei confronti delle oltre 200 organizzazioni, aziende e associazioni aderenti all’Alleanza da quasi tutte le forze politiche nell’ultima campagna elettorale. Tra questi, l’inserimento in Costituzione del principio dello sviluppo sostenibile, l’attuazione di una Strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile, il rispetto degli obiettivi fissati dall’Accordo di Parigi e la ratifica di protocolli e convenzioni alle quali l’Italia ha già aderito, la trasformazione del CIPE (Comitato interministeriale per la programmazione economica) in CISS (Comitato interministeriale per lo sviluppo sostenibile), la creazione di un organismo permanente in seno alla Presidenza del Consiglio per l’attuazione degli obiettivi fissati dal Goal 5 dell’Agenda 2030 relativo alla parità di genere e un lavoro all’interno delle istituzioni dell’Unione europea affinché queste mettano al centro delle proprie politiche lo sviluppo sostenibile.

“Mancano pochi anni al 2030 – ha affermato il Portavoce dell’ASviS Enrico Giovannini – e l’Italia non può permettersi di perdere l’occasione di orientare il bilancio pubblico verso la crescita economica e l’occupazione giovanile e femminile, di riqualificare le infrastrutture e di spingere all’innovazione nell’ottica della tutela ambientale, di promuovere l’inclusione e la lotta alle disuguaglianze nelle proprie politiche”.

Un punto condiviso anche dal Presidente dell’ASviS Pierluigi Stefanini il quale ha sottolineato che il “lavoro di oggi aiuta ad acquisire ulteriori strumenti per fare in modo che si riesca a creare quella condizione nella quale la capacità di dare risposte efficaci, dunque sostenibili, incontri i bisogni e le aspettative dei cittadini”. Proprio questi ultimi chiedono politiche improntate allo sviluppo sostenibile. Infatti, secondo un sondaggio realizzato a gennaio dalla Fondazione Unipolis, i cui dati sono stati presentanti all’incontro dell’ASviS, il 63,6 per cento degli intervistati si dichiara “favorevole” e il 20,1 per cento “molto favorevole” a politiche per lo sviluppo sostenibile. In particolare, è a favore di politiche per lo sviluppo sostenibile il 91,6 per cento dei giovani con un età compresa tra i 15 e i 24 anni a fronte del 75,3 per cento degli ultrasessantacinquenni. Inoltre, maggiore consapevolezza sul tema dello sviluppo sostenibile si riscontra tra i cattolici praticanti. Un segnale positivo che verosimilmente deriva dalla posizione assunta in questi anni dalla Chiesta guidata da Papa Francesco rispetto a questi temi, espressa anche nella sua enciclica “Laudato si’”.

Rispetto alle criticità rilevate dall’ASviS, è intervenuto il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, presente all’incontro, il quale ha evidenziato la volontà del Governo di porre il tema dello sviluppo sostenibile al centro della propria agenda politica, annunciando anche la creazione di una cabina di regia ad hoc per le politiche di sviluppo sostenibile alle dirette dipendenze della Presidenza del Consiglio. “I rapporti sullo sviluppo sostenibile sono spesso dei cahiers de doleances, dove si registrano delle luci a volte ma anche molte ombre”, ha sottolineato Conte che ha ricordato come il Governo sia al lavoro sui profili di riforma della fiscalità, come l’Ires verde, da definire nel prossimo Documento di Economia e Finanza.

L’incontro promosso dall’ASviS è stato aperto dal Presidente della Camera dei Deputati Roberto Fico che ha sottolineato come “nessun intervento pubblico potrà da solo conseguire gli obiettivi di sviluppo sostenibile se non sarà accompagnato da un profondo salto culturale e da un mutamento radicale nelle scelte del sistema produttivo, dei consumatori e di tutti gli attori economici e sociali”.


Nota: 

La foto che compare come immagine d’intestazione dell’articolo è stata scattata da Andrea Campiotti (autore dell’articolo) durante l’incontro organizzato dall’ASviS presso l’Aula del Palazzo dei Gruppi Parlamentari della Camera dei Deputati, a Roma.