fig1

Sistemi serra con atmosfera controllata utili per la coltivazione in edifici e aree industriali abbandonate

La forte riduzione dei costi per le tecnologie di climatizzazione ha aperto le porte allo sviluppo commerciale di sistemi serra con atmosfera controllata. Si tratta di una soluzione adatta alla coltivazione di piante in “ambienti protetti”, ottimizzati con sistemi luminosi di tipo LED e alla coltivazione idroponica “senza suolo” a ciclo chiuso.  


I sistemi serra con atmosfera controllata rappresentano una delle più importanti innovazioni nel settore delle coltivazioni vegetali in ambiente protetto. Si tratta di una tecnologia in grado di creare artificialmente un microclima adatto alle diverse fasi di crescita e sviluppo delle piante alimentari. Inoltre, essa consente la massimizzazione della produttività, della qualità e della sicurezza alimentare dei prodotti vegetali. Questi particolari sistemi di produzione vegetale trovano la loro origine nell’industria delle “camere di crescita” della General Mills, Inc. of Minneapolis (Minnesota-USA, 1974) che nel 1978 realizzò un prototipo pre-commerciale dotato di sistemi automatizzati per l’operatività e la coltivazione di piante con tecnologie colturali fuori suolo (Soil-less cultivation) denominate Hydroponics-CEA (Closed environment-agriculture). In seguito, simili esperienze sono state sviluppate dalla Kyushu Electric Power CO. Inc. in Giappone con la realizzazione, nel 1994, di un prototipo completamente controllato e automatizzato per colture alimentari da foglia (Figura 1).

 

Figura 1. Closed environment-agriculture (CEA), Kyushu Electric Power CO. Inc.

 

Nell’ultimo decennio è cresciuta da parte di Agenzie governative e Istituti di ricerca l’attenzione allo sviluppo di sistemi vegetali alimentari chiusi e controllati per le basi scientifiche localizzate in ambienti caratterizzati da condizioni climatiche estreme (regioni polari, aree desertiche, tropici o con elevata altitudine) e, più di recente, per la ricerca finalizzata allo studio dello spazio e dei pianeti (Figure 2 e 3).

 

Figura 2. Prototipi di sistemi serra in atmosfera controllata (Arizona University).

 

Per quanto riguarda gli ambienti estremi come l’Antartide, l’Artico e i deserti, i sistemi serra con atmosfera controllata consentono la produzione di cibo vegetale e lo svolgimento di attività di aggregazione e relax per il personale che trascorre lunghi periodi in ambienti caratterizzati da condizioni geo-climatiche particolarmente estreme (Figure 4 e 5).

 

Figura 3. Sistema serra chiuso e controllato per l’Antartide (Progetto ENEA).

 

Recentemente, la forte riduzione dei costi per le tecnologie di climatizzazione richiesti dai sistemi serra con atmosfera controllata, i.e.: energia rinnovabile, sistemi luminosi di tipo LED (Light Emitting Diodes), coltivazione idroponica “senza suolo” a ciclo chiuso, impianti di raffrescamento, riscaldamento e riciclo di acqua e soluzioni nutritive, controllo di patogeni e sostanze contaminanti, ha aperto le porte alla possibilità di utilizzare edifici abbandonati appartenenti ad aree industriali dismesse e/o civili per attività economiche. In generale, la coltivazione di piante in “ambienti chiusi” richiede l’impiego di piante con caratteristiche funzionali per ottenere un’elevata produttività per unità di volume e per unità di tempo e un basso consumo di energia (Tabella 1).

 

Alta produttività (per unità di spazio e di tempo (gm-3 day-1).

Fenotipo compatto e determinato (short or compact growth) per favorire l’automazione delle fasi di crescita, sviluppo e raccolta.

Periodo di maturazione breve e contemporaneo.

Fenotipo e ciclo colturale adatto per essere automatizzato.

Traspirazione elevata per consentire la raccolta e il riciclo di acqua.

Tabella 1. Caratteristiche bio-agronomiche per le coltivazioni vegetali realizzate con sistemi serra con atmosfera controllata.

 

In tale ambito di ricerca si inserisce la proposta dell’ENEA (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile) sulle vertical farms. La proposta, già presentata nel 2015 all’Expo di Milano, si è concretizzata ora con il progetto “Ri-genera”, promosso dall’ENEA Veneto con numerosi partner, tra i quali Idromeccanica Lucchini S.P.A., Coldiretti Padova, Parco Scientifico e Tecnologico Galileo, dedicato allo sviluppo di attività di produzione idroponica intensiva da realizzarsi su edifici abbandonati in aree industriali dismesse. A questo proposito, si riportano i dati tecnici elaborati dal gruppo di ricerca ENEA per lo sviluppo di un edificio-prototipo denominato “Solar Farm”, con un volume complessivo di 25.000 m3 (Tabella 2).

 

COLTURA

Lattuga

Pomodoro

Patata

Densità piante (n. piante.m-3)

70

4

12

Lunghezza ciclo (giorni)

28

115

115

Produzione per pianta (kg)

0,150

6,0

1,5

Produzione per m3 (kg)

98,4

54,0

50,6

N. cicli/anno

10

3

3

Produzione totale per ciclo (kg)

787.500

360.000

1.350.000

Produzione annuale (kg) 

7.875.000

1.080.000

4.050.000

Produzione su 350 giorni (gr. m-3. giorno-1

22.500.000

3.085.714

11.571.428

Consumo acqua (kg/m3)

40

40

40

Consumo CO2 (kg/kg di prodotto)

7,44

 

Luce (W/m3 PAR)

90

45

90

Tabella 2. Valutazioni bio-agronomiche per sistemi serra con atmosfera controllata (fonte: Campiotti C.A. et al. 2009.)

 

L’impiego dei sistemi serra con atmosfera controllata consente la coltivazione di piante in qualsiasi ambiente con vantaggi significativi in termini di risparmio di energia, consumo di acqua e suolo. Questo tipo di sistemi favorisce inoltre lo sviluppo di progetti di agricoltura urbana a km 0 e di rigenerazione delle città, data la riduzione delle emissioni di gas serra causate dai trasporti dell’industria agroalimentare. In ultima analisi, occorre sottolineare che la sostenibilità energetica e ambientale di questa innovativa tecnologia colturale trova la sua completa espressione se associata a una dimensione di economia circolare di tutto il processo produttivo e all’impiego di energia rinnovabile.


Per approfondire:

  • SkyLand: Modello “Expo”2015. ENEA, Aprile 2009.
  • Campiotti C.A. et al. Solar Farm, Plant Food Agriculture for the Third Millennium, Masdar City,2009.
  • Campiotti, C.A. et al. 2008. Photovoltaic as sustainable energy for greenhouse and closed plant production system. Acta Hort. 797:373-378.
  • Campiotti C.A. et al. 2011.Technology for Plant Food Support in Antarctica. Acta Horticulturae, 893:453-460.
  • https://arizona.pure.elsevier.com/en/publications/mars-lunar-greenhouse-m-lgh-prototype-for-bioregenerative-life-su.
  • https://www.sciencedirect.com/book/9780128017753/plant-factory

 

Foto d’intestazione: Prototipo di sistema serra con atmosfera controllata illuminato con LED

Fig.1 (foto da http://www.fotovoltaicosulweb.it/guida/grafene-sfruttato-anche-nel-settore-automobilistico-nascono-le-batterie-per-auto-elettriche.html)

Dal piombo al grafene: sviluppi nella produzione di batterie per veicoli elettrici

Fig.1 (foto da http://www.fotovoltaicosulweb.it/guida/grafene-sfruttato-anche-nel-settore-automobilistico-nascono-le-batterie-per-auto-elettriche.html)


Introduzione

I veicoli elettrici sono in una fase di sensibile crescita a livello internazionale, pur in un mercato ancora contenuto: si calcola che nel mondo, nel 2018, fossero in circolazione complessivamente 5,1 milioni di auto e 460.000 autobus elettrici [1] e che, entro il 2040, il 57% del mercato totale delle auto e l’81% di quello degli autobus saranno elettrici [2].

In Italia la quota di mercato è stata finora molto piccola, circa lo 0,2% rispetto all’intero settore automobilistico, contro una media del 2% in Europa; tuttavia, nell’ultimo anno si è registrato nel nostro Paese un buon incremento delle vendite, che nel primo semestre del 2019 sono aumentate del 120% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, quando vi erano state 4.129 immatricolazioni. Nel solo mese di giugno, le vendite di vetture 100% elettriche sono state pari a 1.445, contro le 445 del giugno 2018, con un incremento del 224%, che ha portato la quota di mercato allo 0,8%. Ad esse si aggiungono le auto ibride, che, oltre al motore elettrico, ne hanno anche uno termico, a benzina o a gasolio. Secondo l’organizzazione indipendente Transport&Environment,nel 2025 potrebbero essere disponibili 333 modelli elettrici tra le auto 100% elettriche (Battery Elecric Vehicle), auto ibride ricaricabili alla colonnina (Plug-in Battery Electric Vehicle) e auto a idrogeno con celle a combustibile (Fuel-cell Electric Vehicle) [3]. Certo, perché il parco circolante si ampli ulteriormente, è importante che vengano superati gli inconvenienti che costituiscono ancora limiti decisivi all’espansione del mercato, tra cui soprattutto l’elevato costo delle batterie, l’autonomia insoddisfacente, i non brevi tempi di ricarica e, in Italia, l’inadeguatezza della rete di ricarica, peraltro caratterizzata da una distribuzione geografica assolutamente non omogenea, con una netta prevalenza al nord del Paese rispetto al sud, nonché la scarsità di appropriati incentivi statali.

Un ruolo importante nello sviluppo del mercato può esser dato dall’evoluzione di quelli che sono i componenti fondamentali dei veicoli elettrici, ossia le batterie, di cui nel seguito faremo una breve rassegna, da quelle più “tradizionali” a quella che negli ultimi tempi è al centro dell’attenzione di industrie e centri di ricerca in varie parti del mondo, vale a dire la batteria al grafene.

 

Le batterie “tradizionali”

 


Fig. 2 (foto da https://auto.everyeye.it/articoli/speciale-auto-elettriche-batterie-quanto-costano-come-funzionano-41493.html)

 

La tipologia più antica di batterie è quella al piombo acido, con catodo a base di ossido di piombo, anodo di piombo spugnoso e l’elettrolita formato da una soluzione di acido solforico. Impiegate oggi solo per permettere il funzionamento del motorino di avviamento e mantenere attivo l'impianto elettrico, furono utilizzate in passato anche per alimentare veicoli elettrici: si ricorda, a tale riguardo, la Fiat Panda Elettra, che fu prodotta dal 1990 al 1998, ma ebbe una diffusione modesta, caratterizzata com’era da un’autonomia di soli 100 km e da tempi di ricarica di 8-10 ore, oltre che da un prezzo piuttosto elevato, di oltre venticinque milioni di lire. Inoltre, disponeva di soli due posti, essendo il sedile posteriore e parte del bagagliaio occupati da dieci delle dodici batterie nascoste sotto un pianale [4].Tra i principali inconvenienti delle batterie al piombo si segnalavano la pesantezza, la durata limitata, con la possibilità di effettuare solo trecento cicli di scarica, la lentezza della ricarica, la sensibilità al caldo e al freddo e la corrosività dell’acido solforico [5].

Caratteristiche per certi versi più vantaggiose furono evidenziate dalle batterie al nichel-cadmio, impiegate nella Panda Elettra 2 e costituite da un anodo di cadmio e da un catodo a base di ossido di nichel. Rispetto a quelle al piombo presentavano maggiore leggerezza e densità energetica, tempi di ricarica molto più brevi ed una durata di ottocento-mille cicli. Vi erano, tuttavia, aspetti negativi rappresentati dall’elevata tossicità del cadmio e dall’effetto memoria, per il quale, se una batteria viene ricaricata più volte quando non è completamente esaurita, cioè presenta ancora una certa percentuale di carica, conserva il ricordo della ricarica parziale effettuata, che diventa dunque la nuova capacità massima: ciò comporta evidentemente la necessità di ricariche più frequenti. Altro inconveniente delle batterie Ni-Cd era dato dal fatto che si scaricavano considerevolmente quando non erano utilizzate.
Tali dispositivi furono sostituiti dalle batterie nichel-metallo idruro (NiMH), impiegate in passato nelle auto Toyota Prius [6] e caratterizzate da un catodo in ossido di nichel e un anodo costituito da una terra rara con idrogeno adsorbito alla superficie [7]. Tra gli aspetti positivi si segnalavano una buona densità energetica, tempi di ricarica rapidi e una durata di un migliaio di cicli; tra gli inconvenienti, lo scaricamento automatico, quando non usate, ed il costo piuttosto elevato, dovuto alla composizione in terrerare [5].

Fra le batterie più diffuse vi sono oggi quelle al litio, metallo alcalino la cui produzione è concentrata per oltre la metà della disponibilità mondiale nel triangolo sudamericano compreso tra Bolivia, Cile e Argentina, sebbene vi siano giacimenti interessanti anche in Australia e nell’Europa dell’est, in particolare in Serbia e nella Repubblica Ceca [8]. La tecnologia utilizzata attualmente è quellaagli ioni di litio, sviluppata grazie alle ricerche degli scienziatiJohn Goodenough, Stanley Whittingham e Akira Yoshino, che hanno ricevuto per questi loro studi il premio Nobel 2019 per la chimica. Tali batterie hanno l’anodo in grafite, un elettrolita a base di sali di litio in solvente organico e il catodo costituito per l’appunto da ioni di litio dispersi in una matrice cristallina di un ossido stabile [7]. Le principali batterie agli ioni di litio utilizzabili in veicoli ibridi ed elettrici sono quelle al: 

Tra le caratteristiche positive di tali batterie vanno citate l’elevata densità energetica, che le rende più leggere e compatte rispetto alle precedenti, con la possibilità, dunque, di ridurre il peso ed il volume occupato, l’assenza dell’effetto memoria e una bassa velocità di scaricamento automatico; tra gli aspetti negativi si segnalano un degrado progressivo anche in caso di non utilizzo, con una vita utile di pochi anni, ed il rischio di esplosione, in caso di surriscaldamento [6]. A tale riguardo, vanno anche segnalati i rischi derivanti da un eventuale abbandono nell’ambiente di batterie dismesse, per l’elevata infiammabilità del litio e la formazione, a contatto con l’acqua, di miscele esplosive di idrogeno e ossigeno.

Le tipologie prevalenti di batterie al litio sono quelle con catodo nichel-manganese-cobalto, in un rapporto che fino a poco tempo fa era di 1:1:1, mentre oggi ci si sta orientando verso un 5:3:2, 6:2:2 o, addirittura, 8:1:1. Per quanto riguarda, in particolare, il cobalto, tale significativa riduzione è da mettere in relazione al fatto che il metallo, se svolge indubbiamente un ruolo importante migliorando la capacità e la stabilità delle batterie agli ioni di litio, pone tuttavia delle serie problematiche, tanto che alcune importanti case automobilistiche si stanno impegnando nella messa a punto di soluzioni cobalt free. Le maggiori criticità sono dovute non tanto al prezzo, che, dopo l’impennata di qualche anno fa, è sceso oggi (ottobre 2019) a 36.000$/t [9] per un’offerta diventata molto superiore alla domanda [10], quanto al considerevole inquinamento nella fase di smaltimento e alla dislocazione delle riserve; queste sono situate, infatti, per il 60% nella Repubblica Democratica del Congo, un paese politicamente instabile e nel quale la violazione dei diritti umani e lo sfruttamento del lavoro minorile costituiscono una pratica purtroppo diffusissima.

Tra il settembre 2014 e il dicembre 2015 si sono avute almeno ottanta morti fra i minatori, mentre in un rapporto del 2016 Amnesty International segnalava che molte migliaia di bambini, alcuni persino di sette anni, venivano fatti lavorare dodici ore al giorno nelle miniere per l’estrazione del cobalto, destinato alle raffinerie cinesi e poi alla vendita alle industrie delle batterie, in condizioni di totale sfruttamento e di assoluta mancanza di sicurezza. Ciò ha indotto alcuni grandi costruttori automobilistici ad istituire un osservatorio per individuare la provenienza delle materie prime utilizzate nella produzione dei propri veicoli, a partire proprio dal cobalto [11], e a cercare fonti etiche e certificate.

Tra le aziende che hanno annunciato di voler ridurre sempre più il contenuto di cobalto nelle loro batterie, fino ad eliminarlo completamente in un prossimo futuro, vi sono Tesla e Panasonic. I principali accumulatori cobalt free sono quelli al Litio-Ferro-Fosfato, Litio-Ossido di Manganese e Litio-Titanato, che tuttavia si caratterizzano per una minore densità energetica e ricariche non rapide.

Una tendenza seguita attualmente da diverse case automobilistiche, che potrebbe portare al non utilizzo del cobalto, è quella di utilizzare batterie al litio polimeriche batterie allo stato solido, nelle quali il sale di litio che funge da elettrolita non è disciolto in un solvente organico, ma è inglobato in un polimero solido, del tipo poliacrilonitrile: tale innovazione, oltre ad aumentare la densità energetica, migliorando la performance delle batterie, le rende anche molto più sicure, in quanto scongiura il rischio di evaporazione e di infiammabilità del solvente organico  [6]. 
 

Le batterie al grafene

 

Fig. 3. Struttura del grafene (foto da https://it.motor1.com/photo/3746189/auto-elettriche-innovazioni-batterie/)

La nuova frontiera delle batterie è rappresentata dal grafene. Si tratta di un materiale ottenuto nel 2004, in un laboratorio dell’Università di Manchester, dai russi Kostantin Novoselov e Andre Geim, che per questa scoperta vinsero sei anni più tardi il premio Nobel. I due scienziati lo isolarono dalla grafite a temperatura ambiente asportandone, mediante un nastro adesivo, una sfoglia per volta, fino a ricavare un foglio formato da un unico strato di atomi di carbonio disposti ordinatamente ai vertici di esagoni regolari. È dunque, un nanomateriale, bidimensionale, leggerissimo, di cui occorrono ben tre milioni di fogli per raggiungere lo spessore di un millimetro. Nonostante l’enorme sottigliezza, è duecento volte più resistente dell’acciaio. Inoltre, è allungabile fino al 120% della sua lunghezza, è chimicamente inerte, flessibile, trasparente, impermeabile ai gas e ottimo conduttore termico ed elettrico (conduce l’elettricità meglio del rame). Le sue proprietà lo rendono estremamente versatile: numerose sperimentazioni lo vedono protagonista in una vasta gamma di applicazioni, dalla produzione di moduli fotovoltaici ad alto rendimento, grazie alla eccitazione, da parte di ogni fotone, di due elettroni, alla realizzazione di internet superveloce, al settore dei materiali compositi, della medicina, ingegneria, a quello aerospaziale e tanti altri ancora. Anche nel settore dei cellulari l’uso del grafene appare molto promettente, con la prospettiva di realizzare smartphone ricaricabili in pochi secondi, con un’autonomia di diversi giorni e laproduzione di schermi pieghevoli.

L’interesse destato dal grafene ha indotto, nell’ottobre del 2013, la Commissione Europea ad emanare un bando che ha stanziato un miliardo di euro in dieci anni per finanziare la ricerca su questo materiale: al progetto, denominato Graphene Flagship [12], partecipano centocinquantotto gruppi di ricerca industriali ed accademici di ventitré nazioni, tra cui l’Italia. Nel nostro Paese, peraltro, è molto attivo l’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova, che sta conducendo importanti studi in collaborazione con il CNR e l’Università di Roma La Sapienza.

Le batterie al grafene nei veicoli elettrici possono offrire importanti vantaggi rispetto alle normali batterie al litio ed in particolare:

  • una maggiore densità energetica in un minor volume e, dunque, una maggiore autonomia, che si sta cercando di portare a 800-1.000 km;
  • una maggiore durata, non riscontrandosi in esse la degradazione nel tempo che si rileva nei dispositivi al litio anche quando non vengono utilizzati e che comporta una progressiva diminuzione dell’autonomia e un allungamento dei tempi di ricarica (ciò è evidente negli smartphone, dove tali dispositivi sono ricaricabili 800-1000 volte, ma già dopo 400 ricariche appaiono segni di degradazione; viceversa, una università statunitense ha realizzato un prototipo di batteria al grafene che conserva una autonomia immutata anche dopo 30.000 cicli di ricarica [13]);
  • una velocità di ricarica ben più elevata, dell’ordine di pochi minuti, per il fatto che la carica è legata alla migrazione, da un elettrodo all’altro, non degli ioni di litio, bensì degli elettroni, molto più rapidi;
  • la resistenza ad alte temperature e l’assenza di pericoli di surriscaldamenti o esplosioni;
  • l’impatto ambientale praticamente nullo, a differenza di quello associato al litio, che richiede enormi quantità d’acqua per l’estrazione e pone problemi nella fase di smaltimento.

A fronte di tali vantaggi vanno segnalati, in questo stadio della ricerca, dei costi molto elevati, valutati anche sessanta volte maggiori rispetto al litio, anche se, come per tutte le nuove tecnologie, è prevedibile che con il tempo possano abbassarsi sensibilmente.

Riguardo ai veicoli alimentati con batterie al grafene va citato il Suv che dovrebbe essere lanciato a breve sul mercato dall’imprenditore danese Henrik Fisker e che dovrebbe caratterizzarsi per un’autonomia di quasi 500 chilometri e un prezzo inferiore ai 40.000 euro [14].  

 

Conclusioni

La messa a punto di batterie di più lunga durata, più veloci da ricaricare e in grado di assicurare  una maggiore autonomia rispetto alle attuali è una condizione necessaria per la diffusione dei veicoli elettrici. Questi si avvalgono oggi generalmente dei dispositivi agli ioni di litio, dotati di buone caratteristiche, come la soddisfacente capacità di immagazzinare energia e l’assenza dell’effetto memoria, ma, come abbiamo visto, non privi di inconvenienti. Una svolta significativa può esser data dalle batterie al grafene, in corso di sperimentazione da parte di numerose aziende e centri di ricerca in diversi paesi del mondo. Tale materiale emergente presenta quale unico aspetto negativo quello di un costo molto elevato, che tuttavia potrà abbassarsi considerevolmente quando si potrà passare ad una fase di produzione industriale.

La riduzione dei costi delle batterie, unita alla realizzazione di una rete capillare di punti di ricarica da parte delle aziende elettriche e l’elargizione di incentivi statali più premianti favoriranno certamente negli anni a venire l’acquisto di veicoli elettrici, consentendo finalmente una mobilità sostenibile.


Sitografia:

[1]www.rinnovabili.it/mobilita/mercato-auto-elettriche-2019/

[2]https://www.wired.it/economia/consumi/2019/07/30/auto-elettriche-in-italia-le-vendite-crescono-del-120/

[3]https://www.qualenergia.it/articoli/auto-elettrica-la-svolta-di-massa-sara-nel-2020-2021/

[4] https://www.passioneautoitaliane.com/2019/04/fiat-panda-elettra.html

[5]aspoitalia.it/attachments/132_batteriebardi.pdf

[6]https://it.motor1.com/features/262506/come-fatta-e-quanti-tipi-batteria-esistono-auto-elettrica/

[7]http://www.uttei.enea.it/veicoli-a-basso-impatto-ambientale/file-veicoli-basso-impatto-ambientale/le-batterie-al-litio

[8]https://oggiscienza.it/2017/08/17/effetto-tesla-elon-musk-litio/

[9]https://www.forextradingitalia.it/grafico-cobalto/

[10]https://www.automoto.it/news/litio-e-cobalto-prezzi-a-picco-ora-che-succede.html

[11]https://www.lastampa.it/esteri/2018/01/06/news/auto-elettriche-smartphone-e-batterie-e-in-canada-parte-la-corsa-al-cobalto-1.33964228

[12]http://graphene-flagship.eu/project/Pages/About-Graphene-Flagship.aspx

[13]https://tecnologia.libero.it/batteria-smartphone-lunga-durata-autonomia-grafene-3655

[14]https://motori.virgilio.it/auto/il-suv-elettrico-anti-tesla-che-usa-le-batterie-al-grafene/125512/

schemi idrici 4

“Schemi idrici 4.0: il settore dell’acqua pronto alla digitalizzazione”

Promosso da Nonsoloambiente.it si è svolto lo scorso 28 febbraio a Milano, presso la Centrale dell’Acqua, il convegno “Schemi idrici 4.0: il settore dell’acqua pronto alla digitalizzazione”, con la partecipazione dei referenti delle principali aziende del settore idrico e la presentazione di tre discorsi chiave riguardanti:

  • la possibilità e visione su investimenti nazionali, europei ed extraeuropei nel settore idrico;
  • la presentazione di una ricerca condotta da Nonsoloambiente.it in collaborazione con EMG Acqua sul percepito della risorsa acqua;
  • un contributo a cura di ASVIS sul tema dell’acqua, risorsa sostenibile. 

Tre le sessioni, una istituzionale e due tecniche, una sulla movimentazione fluidi e una sulla digitalizzazione, Il convegno dopo i saluti istituzionali è proseguito con la relazione del Direttore Generale di Utilitalia, Giordano Colarullo. “Nonostante la riforma iniziata nel 1994 con la Legge Galli non sia ancora del tutto compiuta – ha spiegato Colarullo  quello del servizio idrico integrato è un comparto in movimento. Grazie anche alla regolazione dell’ARERA, nell’ultimo quadriennio la media degli investimenti pro capite è passata da 34,4 a 41,5 euro, di cui il 76,6% finanziato da tariffa e il restante 23,4% proveniente da contributi e finanziamenti pubblici. Per quanto riguarda gli utili, che sono l’indicatore di un gestore efficiente capace di ridurre i costi e gli sprechi, solo l’11% viene distribuito a soci privati: il 17% viene distribuito a soci pubblici e il restante 73% viene trattenuto in azienda. Al contempo si registra un impegno sempre maggiore delle aziende verso la digitalizzazione dei servizi e il miglioramento della trasparenza e del rapporto con l’utenza. In questo quadro– ha continuato – si inserisce la proposta di legge in discussione alla Camera dei Deputati, che rischia di riportare indietro le lancette di quasi 30 anni, e di reintrodurre quei vincoli che sono all’origine del gap infrastrutturale oggi esistente: l’alternanza di finanziamenti legati alle stagionalità politiche anziché alle logiche progettuali e industriali”.

Riguardo al tema degli investimenti e delle risorse disponibili, Andrea Gallo, Publisher FASI.biz, dice che “Il settore idrico ha centinaia di milioni di finanziamenti in Italia, Europa e resto del mondo, sia per le infrastrutture che per innovare la tecnologia che le gestisce. Per sfruttare queste opportunità e metterle a sistema con benefici per le aziende, i territori e la collettività – continua Gallo – è necessario uno sforzo conoscitivo, sviluppo di competenze e supporto consulenziale strategico. La chiave per far crescere il settore sta nella relazione tra infrastrutture, innovazione tecnologica e attrazione della finanza privata per la realizzazione degli investimenti”.

Il primo gruppo tecnico, moderato da Maurizio Brancaleoni, presidente ATI Lombardia, si è posto come obiettivo quello di fornire uno stato dell’arte sui prodotti e la tecnologia vigente nel settore nel comparto strumentazione e movimentazione. Ad aprire la sessione Nicola Baraldi, di Caprari SpA che ha fin da subito puntualizzato come confrontarsi per innovare”, tema centrale del convegno, siano parole che esprimono numerosi concetti alla base del fare oggi buona impresa. Innanzitutto “confrontarsi” – spiega Baraldi – significa dare ascolto alle necessità di un mercato sempre più difficile, mentre “innovare” dare delle risposte concrete a queste domande creando, al tempo stesso, del valore aggiunto per il proprio business e per il sistema paese. Caprari da 75 anni – continua Baraldi– fonda ancora il suo sviluppo su queste direttrici ed è grazie a questi pilastri che oggi l’Azienda vende i suoi prodotti in tutto il mondo e dà lavoro a 700 persone su 4 continenti”.

In questa era digitale a proporsi nuovo leader tecnologico è ABB che, come dichiara Luca Grimoldi, Business Development Settore Idrico Italia e Sud, “passando da una cultura prettamente di prodotto, alla fornitura di un servizio basata sul know how di processo e automazione, si posiziona sul mercato come partner di innovazione per sviluppare soluzioni digitali mirate, creare valore e supportare lo sviluppo sostenibile del settore”

A parlare di digitalizzazione nel Gruppo tecnico sulla trasformazione dell’impianto idrico e delle relazioni con l’utente anche Giuliano Ceseri con “Water 4.0 – W 4.0”. Il gruppo telecontrollo di ANIE Automazione, l’Associazione confindustriale a cui aderiscono le aziende elettrotecniche ed elettroniche – spiega Ceseri– ha dato vita alla Task Force Acqua (TFA), che è impegnata in azioni e progetti volti a portare il sistema idrico del Paese all’eccellenza, divenendo interlocutore privilegiato di ARERA e di tutti i soggetti coinvolti nella gestione del servizio idrico integrato. Il tema di maggior interesse per TFA è, appunto – conclude Ceseri -la Digitalizzazione Water 4.0 (W 4.0)”. 

La digitalizzazione, dunque, come perno su cui ha ruotato il convegno Schemi idrici 4.0 è tema fondante della ricerca condotta e presentata da Fabrizio Masia, Direttore Generale di EMG Acqua, “Osservatorio sull’acqua in Italia”. Dal sondaggio emerge come circa il 65% degli italiani ritenga i servizi digitali utili per una risoluzione tempestiva dei problemi e per tenere sotto controllo bollette e contratti. Tuttavia, molte di queste persone non conosce in modo approfondito e non utilizza quotidianamente la strumentazione digitale e, ancora peggio, la ricerca ha fatto emergere come tre italiani su quattro dichiari di non informarsi proprio sulle questioni relative all’acqua. Disinformazione e digitalizzazione non ancora interiorizzata sono quindi i due punti nodali che sono parsi evidenti nel sondaggio di Fabrizio Masia.

Oltre a questo problema di carattere sociale, le nuove sfide, sostiene Stefano Tanì di MM S.p.A., riguardano “innovazione, sostenibilità e resilienza che si trovano oggi a fronteggiare i gestori dei servizi idrici nel contesto di una continua e profonda trasformazione digitale delle città. La visione industriale del Servizio Idrico di Milano è supportata da alcuni elementi gestionali e strumentali quali:

  • una strategia di lungo termine fino al 2037 che ha consentito di definire un percorso programmato e sostenibile per lo sviluppo delle infrastrutture con una copertura integrale dell'intero fabbisogno finanziario per gli investimenti, pari a circa 800 milioni di euro in 20 anni anche mediante l’emissione di un bond per 100 milioni di euro e un finanziamento da BEI per 70 milioni di euro;
  • la struttura multiservizio in house di MM S.p.A., con una divisione di ingegneria che assume un ruolo di centro di competenze, è un elemento strategico a supporto del Servizio Idrico. Le competenze di ingegneria supportano il percorso di innovazione del servizio con l’introduzione di tecnologie evolute: contatori smart, la posa in opera e il recupero senza scavo di tubazioni (No-Dig), l’installazione diffusa di sensoristica IoT sulla rete;
  • il rilevante impatto positivo generato dal Servizio Idrico Integrato di Metropolitana Milanese e dal suo sviluppo infrastrutturale in termini di occupazione nel territorio, sia con effetto diretto nel settore, sia con effetto indiretto sull’indotto.

Il rapporto qualità/prezzo dell’acqua distribuita, raccolta e depurata a Milano non teme confronti né in Italia né all’estero.“L’acqua è anche un tema fondamentale dell’agenda ONU 2030” evidenzia Luigi Di Marco, Coordinatore gruppo di lavoro Goals 6 e 14 di ASviS,“e non rappresenta solo il Goal 6 ma coinvolge anche le altre tematiche ambientali, quali l’integrità degli ecosistemi, tematiche sociali, essendo l’acqua riconosciuta come diritto umano fondamentale, e aspetti infrastrutturali e tecnologici. La visione olistica della tematica è essenziale per il conseguimento dei traguardi legati all’acqua e degli altri Goals dell’agenda 2030”.

In conclusione,  dichiara Emilio Benati,“Il mondo dell’acqua è pronto per l’applicazione delle opportunità tecnologiche che si profilano nel panorama internazionale. La rapidità con cui il processo avverrà –continua Benati – dipende da molti fattori sociali che riguardano soprattutto la prospettiva che vogliono darsi le utility; quanto vogliono investire in competenze; quanto vogliono investire sulla soluzione di figure giovani e quindi vicine all’utilizzo di tecnologie smart, ed infine, quanto vorranno essere vicine al servizio efficiente dei cittadini”.