Partendo dall’idea che il Pianeta Terra non è di nostra proprietà, ma che noi siamo solo ospiti, ci arroghiamo il diritto di trivellare, cementificare e disboscare; questi obbrobri non nascono dai nostri bisogni, ma da desideri effimeri e di profitto.
Tutto questo impoverisce la Terra, la abbruttisce.
Ecco che nasce un processo avverso alla cura e alla tutela della Natura, un processo immeritato per la bontà e la generosità della Natura stessa. Però essa non può subire a lungo questi trattamenti, de facto tende a ribellarsi. Non a caso Papa Francesco, grande sensibilizzatore delle coscienze, nella sua seconda Enciclica Laudato si’ ammonisce “Dio perdona, la natura no”, e invoca la fratellanza tra uomo e natura. Se viene a mancare questo rapporto, nascono le cosiddette catastrofi naturali, ma non sono naturali, sono catastrofi indotte dai maltrattamenti verso la Natura.
La Natura viene flagellata per i continui saccheggiamenti dell’uomo, infatti negli ultimi due ventenni è nato un rapporto persecutorio e schizofrenico verso la Natura senza precedenti. Secondo alcune recenti risoluzioni dell’assemblea ONU, la natura “ha diritti”, come quello di non essere violentata o depredata per fini di profitto. Il programma “UN Harmony with Nature” suggella di fatto questa linea normativa e fornisce suggerimenti con leggi e sentenze per riconoscere tali diritti, di esistere, prosperare ed evolversi. Sin dal protocollo di Kyoto a dicembre del 1997, i 170 Stati aderenti si impegnarono a ridurre i gas serra dell’8% fino al 2012, ma nulla di fatto, vox clamantis in deserto.
Ora, il Comitato Scientifico mondiale, per mantenere il livello attuale del mare e la sua temperatura, afferma che fino al 2050 l’aumento della temperatura globale dovrà essere contenuto entro i 2°C. Nelle ultime tre conferenze COP21 (Parigi 2015), COP22 (Marrakesh 2016) e COP23 (Bonn 2017) i 194 Paesi aderenti hanno confermato l’accordo di non superare i 2°C.
Alcuni studi empirici della rivista Nature Communications [1] hanno asserito che dal 2007 al 2013 c’è stata una diminuzione di emissione dei gas serra del 20% a livello globale, dovuta alla crisi socio – economica e quindi alla diminuzione della produzione, e non per il rispetto di impegni presi da parte dei Paesi. Purtroppo la Cina non ha contribuito a questo miglioramento, basti pensare che da sola emette il 29% della CO2 mondiale [2].
Il W.T.O. (World Trade Organization) ha lasciato che essa indisturbatamente continuasse a produrre a dismisura, soprattutto prodotti di qualità scadente, in quanto ancora inserita nel programma dei Paesi in via di sviluppo. E non solo, nel dicembre del 2013 a Bali (Indonesia) è stato raggiunto l’accordo sulla “Liberalizzazione degli scambi” da parte dei 159 Stati aderenti al W.T.O., dopo che Cuba ha desistito sulla minaccia di veto, per la gioia della regione ultimamente denominata “CINDIA” (Cina e India).
Queste liberalizzazioni e deregolamentazioni commerciali sono agevolate dalla mancanza di paletti alle reiterate e devastanti operazioni di trivellazioni, cementificazioni e disboscamenti in più parti della terra. A quasi la totalità di queste operazioni vengono assoggettati i Paesi più poveri, meglio specificare “impoveriti” in quanto ricchi di risorse ma depauperati, dei loro beni naturali di sostentamento, dalle imprese sovranazionali mediante accordi, talvolta illeciti, con i locali governi e Capi di Stato. Specie in materia di accaparramento delle terre dei contadini che vivono in maniera autarchica, impoverendoli ulteriormente, non solo economicamente, ma anche svuotandoli della capacità di ricorrere giuridicamente contro siffatti abusi.
Il land grabbing è il fenomeno economico che da oltre un decennio si perpetua ai danni delle comunità più povere del sud del mondo nell’era della globalizzazione neoliberista. Lo denuncia il Global justice now [3], grandi multinazionali, complice la Banca Mondiale con politiche di deregolamentazione, senza limiti hanno acquistato grandi terreni, per un totale di circa 31 mln di ettari, in Sud America, in Africa e in Asia oltre per le risorse naturali, anche per le coltivazioni intensive e monocolture. Infatti le multinazionali inducono le popolazioni autoctone a specializzarsi in monocolture, per es. abbiamo in Costa d’Avorio grandi coltivazioni di cacao, in Etiopia di caffè, in Kenya di the, nel Senegal di arachidi, in Madagascar di biocarburante e soia, in Tanzania di riso, etc. [4], senza considerare le loro esigenze alimentari, manipolando inter alia i prezzi sui mercati mondiali dei prodotti agricoli. Ogni quattro giorni viene venduta a capitali stranieri un’area più grande della città di Roma [5].
Ma, ritornando al problema del riscaldamento globale, buone politiche sarebbero quelle di eliminare le barriere che ostacolano lo sviluppo delle fonti rinnovabili ed abrogare i sussidi alle trivellazioni per gas e petrolio.
Inoltre, per i territori sottoposti a grandi fenomeni meteorologici, bisogna rafforzare la loro resilienza e metterli in sicurezza; ma anche cambiare paradigma nell’agricoltura è imperativo, per esempio mettere dei paletti all’uso dei pesticidi, dei fertilizzanti chimici e alle pratiche di coltivazioni intensive.
In definitiva, bisogna promuovere uno sviluppo sostenibile e fare entrare nei fatti economici mondiali anche i Paesi del terzo e del quarto mondo.
Infine, per quanto riguarda l’impermeabilizzazione del suolo, o cementificazione, essa inibisce una appropriata organizzazione del territorio e degli ecosistemi in modo irreversibile, causando i grandi disastri ambientali di cui ultimamente siamo a conoscenza.
Tutto questo non è giustificabile con l’abbandono da parte degli agricoltori delle aree agricole, quindi con l’esodo verso le aree urbane. Un esempio eclatante di abbandono delle campagne ci è stato fornito dalla Cina di Deng Xiao Ping, agli inizi degli anni ’80 del secolo scorso quando, con l’apertura ai mercati esteri, si è avuto il boom economico. Assistiamo oramai da un quinquennio al controesodo, dalle città alle campagne, dovuto all’inquinamento ambientale e all’invivibilità delle metropoli industrializzate: l’inquinamento è dovuto principalmente all’anidride solforosa SO2 emessa dalle industrie a carbone e dalla produzione di energia. La Cina ricava dalla combustione del carbone il 70% dell’energia prodotta e consuma circa il 50% del carbone mondiale [6]. Per la concentrazione di polveri sottili PM2.5 di 35 volte superiore ai livelli consentiti dall’O.M.S., la rivista britannica Lancet 2013 ha calcolato 1,2 mln di decessi l’anno, oltre al peggioramento della qualità della vita del 20%. Ed è per questo che l’XI Piano Quinquennale del 2006 della Cina ha imposto l’installazione di impianti di desolforazione in molte centrali elettriche, quelle ritenute più nocive. “La riduzione delle emissioni richiede l’uso di tecnologie prodotte in paesi ad alto reddito. Pertanto, la sfida per la politica climatica è quella di incoraggiare il trasferimento di queste tecnologie rispettose del clima al mondo in via di sviluppo” [7].
Infatti, per il calo dei livelli occupazionali dal 2010 al 2011 le esportazioni si sono dimezzate, ma il governo cinese prende le contromisure mediante grossi investimenti pubblici per quanto riguarda le infrastrutture e l’edilizia abitativa con prezzi molto accessibili. Inoltre, su scala planetaria, la N.A.S.A. (National Aeronautics and Space Administration) sostiene che nel dicembre 2015 la concentrazione in atmosfera di CO2 ha superato la soglia di 400 parti per milione, aumentando il rischio delle migrazioni e della sicurezza (Report I.C.C.P. 4/2016).
[1] Nature Communications 2015 (rivista): Dopo il 2007, la diminuzione delle emissioni è avvenuta in gran parte a causa della recessione economica, con i cambiamenti nel mix dei combustibili che hanno svolto un ruolo relativamente minore
[2] V° Assessment Report 2014 – Intergovernmental Panel on Climate Change ( I.P.C.C.)
[3] Global justice now: Associazione britannica che si batte per la giustizia sociale. Nel suo rapporto del 28.11.2016 ha definito questa pratica The new scramble for Africa
[4] www.buongiornoAfrica.it, 2013
[5] International Land Coalition, rapporto del 18.11.2012. Essa è una organizzazione di ricerca internazionale che ha sede presso l’agenzia delle Nazioni Unite, ed ha lo scopo di ridurre la povertà e le diseguaglianze per la dignità e l’inclusione
[6]Alcorn T. (2013). China’ s skies: a complex recipe for pollution with no quick fix,. The Lancet 381
[7] Review of Environmental Economics and Policy: International technology transfer, climate change, and clean development mechanism, di David Popp, 24 maggio 2011, pag. 131.