L’aumento delle temperature

  


Già dal 1997, con il Protocollo di Kyoto (COP3), si organizzarono summit tra 150 – 160 rappresentanti di vari Stati del mondo per discutere del riscaldamento globale della Terra. L’iniziativa è buona, è eccellente, ma c’è vera intenzione di salvare la Terra prima che si arrivi effettivamente ad un punto di non ritorno?
Con le successive conferenze, 195 Paesi hanno concordato di ridurre i gas serra, i maggiori responsabili del riscaldamento globale, per evitare l’aumento della temperatura di oltre 1,5°C rispetto ai livelli pre-industriali. L'accordo entra in vigore nel 2020 e per rispettarlo i Paesi in via di sviluppo (PVS) riceveranno un finanziamento dai Paesi sviluppati di 100mld $ l’anno (finanza per il clima) [1], come da negoziato svolto a Copenaghen nel 2009, nel rispetto di un adeguamento delle loro città ad uno sviluppo sostenibile.
Resta una grossa incognita: quali saranno gli Enti a cui affidare la valutazione scientifica e trasparente circa la verifica dei tagli delle emissioni dei gas incriminati. E qui sorge il problema, cioè gli Stati ricchi donatori che istituiscono il fondo vogliono controllare le spese degli Stati riceventi gli aiuti, ma questi ultimi sono restii alle ingerenze straniere, è un assioma delle loro politiche, la Cina in primis.

Dal 2007 al 2013 c’è stata una riduzione di emissione dei gas serra di circa il 20%, ma dovuta alla riduzione della produzione industriale per effetto della crisi mondiale, non certamente per iniziativa degli Stati di ridurre l’inquinamento e migliorare la qualità della nostra vita. L’ultima stima 2016 implementata dalla Agenzia Europea per l’Ambiente ci deve far riflettere: l’Italia è al primo posto per le morti premature dovute all’inquinamento. Tutti gli Stati devono essere unanimi sugli accordi che si prendono per la diminuzione dei gas serra, altrimenti saranno accordi “scritti sulla sabbia”.
E ancora, il Ministero per l’Ambiente ha autorizzato le prospezioni petrolifere con la tecnica “air gun” in tutto il mare Adriatico, tramite dei cannoni che sparano aria compressa la quale manda onde riflesse atte a conoscere la composizione del sottosuolo. Questa tecnica, oltre a essere dannosa per l’alimentazione e per la riproduzione della fauna marina, vìola gli obblighi inseriti nella Convenzione Espoo 1991 (Finlandia) sulla Valutazione di Impatto Ambientale (V I A) sui Paesi limitrofi.
Ciò detto, aggiungiamo che le grandi imprese sovranazionali del settore estrattivo forse impongono diktatper proseguire con il consumo dei fossili, se pensiamo al fatto che:

  1. l’81,6% dell’energia consumata nel mondo viene prodotta da gas, petrolio e carbone [2]
  2. solo il 13,3% consumata nel mondo viene prodotta da fonti rinnovabili, il 5% da  fonte nucleare.

Il Pianeta terra potrà aumentare il grado di resilienza?
Ma al di là di questo, per 1°C di aumento di temperatura il livello dei mari aumenta di circa 2 metri [3], facendo scomparire persino grandi città e favolosi atolli, le bellezze del mondo. Inoltre, un aumento della temperatura dà origine anche ad un aumento di energia presente nell’atmosfera e quindi a eventi meteorologici estremi. Ogni anno si immettono nell’atmosfera 25 mld di tonnellate di CO2 ma il nostro pianeta riesce ad assorbirne circa la metà, tramite la fotosintesi clorofilliana  [4].

È necessario, dopo le conferenze sul clima, impegnarsi per eliminare le barriere che ostacolano lo sviluppo delle fonti rinnovabili, abrogare i sussidi alle trivellazioni di gas e petrolio e promuovere uno sviluppo sostenibile, perché “crescere per crescere” per produrre merce scadente è diventato insostenibile per il Pianeta Terra e soprattutto per l’umanità. Ma il Pianeta Terra ha capacità di rigenerarsi, l’umanità no.
Il Pianeta Terra ha bisogno di una decarbonizzazione: l’utilizzo dei combustibili fossili dovrebbe lasciare il posto ai processi che utilizzano energia rinnovabile.

 

 


[1] Rapporto del Ministero degli Affari Esteri (Farnesina) sui cambiamenti climatici, 02.12. 2014. Il Green Climate Fund è lo strumento deputato a gestire i fondi dei Paesi avanzati
[2] Key World Energy  Statistics 2013
[3] Postdam Institute for Climate Impact 2014
[4] Da uno studio della Princeton della Princeton University (New Jersey) pubblicato su “Nature Climate Change” 2013. 

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La natura quale fattore produttivo di profitto

 


Il concetto di “profitto” è statico nella sua struttura ed è storicamente irreversibile: per dirla con Karl Marx, esso rappresenta la capacità remunerativa del proprietario dei mezzi di produzione aziendali [1], ma può anche essere profitto azionario o anche fondiario, e da ultimo anche tramite attività di relazioni sociali, tutto viene mercificato, ma anche da varie forme di relazione con la natura.
Il concetto di ambiente è dinamico perché dinamico è irreversibilmente l’ambiente nella sua accezione, nelle sue forme e nei suoi profumi. Dalla incessante manipolazione dell’ambiente facilmente si ricava profitto, ma per la bramosia del profitto, difficilmente si presta attenzione e cura verso l’ambiente.
Questo è un rapporto iniquo in cui una parte trae vantaggio dalla vulnerabilità dell’altra, ma inesorabilmente, per i meccanismi che irrompono dentro l’equilibrio, tale vulnerabilità diventa una potenza ineluttabile che si sviluppa contro l’uomo manipolatore e devastatore. Per giustificare tale devastazione, le catastrofi generate assumono l’appellativo di “naturali”.
Purtuttavia, i decisori pubblici ciarlieri, artefici di politiche proni verso i grandi capitali, proseguono deliberatamente con l’estrazione e il consumo dei combustibili fossili per dare vita alle attività frenetiche dell’uomo pronto a portare sulla pietra sacrificale il delicatissimo equilibrio della Natura in nome del profitto.
Qual è l'acme di resilienza della Terra? È quello che stiamo per raggiungere, quello che ci offrirà il punto di non ritorno all’equilibrio. Ma il pianeta Terra, a lungo termine, ha capacità di rigenerarsi, l’umanità no. 
De facto, nelle pratiche estrattive dei combustibili fossili, la pressione dei liquidi altamente inquinanti usati nelle perforazioni, creano grossi danni ambientali, fra cui il rischio delle contaminazioni delle falde acquifere, con ricadute sulla salute dell’uomo. Un esempio rilevante è quello che succede nell’ isola di Giava in Indonesia, il vulcano Lusi già dal 2006 sprigiona fango in grandi quantità, con la conseguenza dell’evacuazione di migliaia di famiglie[2]. La causa sarebbe la pressione dei liquidi usati durante le perforazioni che provoca la frattura idraulica delle rocce dalle quali fuoriesce il fluido contenuto nei loro pori, questa pratica assume la denominazione di “fracking”. Tuttavia, queste sono pratiche frequenti soprattutto negli Stati Uniti, anche se sono causa talvolta di sprofondamento della crosta terrestre, la cosiddetta “subsidenza”, che a sua volta può causare l’apertura di altre bocche vulcaniche [3].
Dette estrazioni provocano anche la combustione dei fossili con sprigionamento del gas flaring dalle torri petrolifere in fiamme, con conseguente produzione di anidride carbonica CO2, di anidride solforosa SO2 e di protossido di azoto N2O, inter alia tale gas risulta nocivo al sistema periferico dell’uomo, incide fortemente sullo sviluppo della demenza e dell’Alzeheimer [4].
Inoltre, i ricercatori della rivista “Scientific American” affermano che esistono forti legami fra movimenti sismici e le attività di trivellazione per petrolio e gas e citano parecchi casi clamorosi in molte parti del mondo. I vari consessi governativi, trascinati da interessi delle grandi lobbies, non sono lungimiranti nello scegliere politiche a favore dei consumi delle risorse naturali non rinnovabili: si estraggono più risorse di quanto la Natura ne possa offrire. “Oggi con i combustibili fossili prendiamo ciò che si è accumulato nell’arco di milioni di anni e lo liberiamo in un istante geologico” [5]. I combustibili fossili sono limitati, invece sono le fonti rinnovabili che la Natura ne dà in abbondanza, e il loro uso e consumo è ben integrabile con le attività umane.
Su questo argomento, inevitabilmente è d’uopo accennare all’altra violenza perpetrata a danno dell’ambiente, mi riferisco alla riduzione delle foreste. Per la F.A.O. si definisce foresta quel grande complesso arboreo avente tre caratteristiche [6]:

  1. deve coprire almeno il 10% del territorio su cui sorge
  2. deve avere una superficie minima di 0,5 ettari
  3. l’altezza degli alberi deve essere minimo di 5 metri.

Sappiamo che le foreste assorbono CO2, quindi sono vitali per il nostro pianeta, inoltre proteggono dalle alluvioni, altrimenti sarebbero devastanti, e proteggono il suolo dall’erosione. Ma quando le foreste vengono abbattute (deforestazione) a fini speculativi per il legname pregiato o per monocolture intensive per produrre biocarburante come materia prima per l’industria, o ancora per l’espansione urbana o per infrastrutture, si ha incremento della CO2 nell’atmosfera e come conseguenza, l’aumento del fenomeno dei gas serra e del riscaldamento globale, ergo un decremento dei livelli di biodiversità. Ed allora risultano insufficienti le pratiche di riforestazione.
La deforestazione provoca il rilascio del carbonio responsabile del 15% dell’inquinamento globale (WWF). Per fermare la deforestazione è necessario contenere la crescita della domanda di materie prime che la provocano. Per cui si rende necessario aumentare la produttività dei terreni già lavorati e orientare l’espansione dell’agricoltura verso aree degradate, anziché verso le foreste. Negli ultimi venti anni sul Pianeta Terra è stata deforestata un’area pari a Francia, Germania, Spagna e Portogallo messe assieme [7].
“L’impoverimento ambientale può innescare la transizione economica, ma il cambiamento strutturale rischia un risultato regressivo” [8].
Secondo la F.A.O. (Food and Agriculture Organization) inizialmente le foreste erano 6,2 mld di ettari, oggi restano solo 4 mld di ettari, circa il 30% di meno, una perdita irrecuperabile.
“Quando si pianta un albero, si pianta il seme della pace e della speranza”[9].
Per quanto riguarda la manipolazione e la devastazione del territorio, è il caso di non tralasciare le grandi opere finanziate dalla Banca Mondiale per la costruzione di dighe e di sbarramenti fluviali con miliardi di dollari negli ultimi vent’anni. Ma già nel 1981 con le dighe costruite in Cina, la quale detiene il 50% delle dighe progettate nel mondo, circa 22.000 di cui la più costosa è stata quella” Delle tre gole” con 28 mld di dollari e terminata il 2006 dopo 13 anni di lavoro, con 70 città sommerse, migliaia di villaggi scomparsi, 1 mln di persone trasferite [10]. La “Commissione mondiale sulle dighe” ha calcolato che a livello globale, gli sfollati per la costruzione di dighe sono tra i 40 e gli 80 mln, quasi sempre con l’intervento dei bulldozer e della polizia.
“I costi per l’impatto ambientale, ecologici e sociali, superavano di gran lunga i benefici che venivano gonfiati per dare le informazioni che gli utili dovevano essere superiori al capitale investito dalla Banca Mondiale”[11].
La maggior parte di questi grandi progetti non hanno portato alcun miglioramento economico, l’energia prodotta viene destinata alle grandi industrie, "e hanno aumentato il peso del debito pubblico e in un periodo di fragilità idrogeologica le grandi dighe aumentano la vulnerabilità climatica dei paesi poveri" [12].
Ogni uomo ha un ben preciso fine nella vita e i mezzi per raggiungerlo devono essere gestiti in modo molto oculato per non inficiare il futuro di quelli che verranno, in quanto il rapporto uomo – natura deve essere considerato "bene comune" nel senso che ognuno di noi deve agire con responsabilità verso gli altri e non con indifferenza e individualismo per il "dio profitto", sottoponendosi al dominio del denaro.
"L’uomo può essere felice nella misura in cui rende felici gli altri". Raoul Follereau, poeta francese.
ESSO, posto al centro dell’universo, non può arrogarsi il potere di recare nocumento a tutto e a tutti, anzi ha l’obbligo di donare e donarsi per il bene dell’universo stesso al fine di migliorarlo.
Si parla di sviluppo e di progresso, ma come si può concepire tale concetto se non si lascia ai popoli futuri un mondo sviluppato sotto l’aspetto economico, sociale ed etico? L’antropocentrismo è stato soppiantato dal pecuniacentrismo. L’era glaciale dell’animo mira a spegnere l’universalità dei diritti dell’uomo per dare ulteriore vitalità all’arte della "crematistica degenerata", Aristotele la definiva "crematistica non naturale", quell’arte che monetizza ogni cosa, persino le nostre vite.

 

 

 

 


[1] Karl Marx: Teorie sul plusvalore, Editori Riuniti, Roma, 1971
[2] Dal National Geographic del marzo 2011
[3]AdnKronos del 27.08.2015 (Agenzia di stampa italiana), sede nella città di Roma
[4]Da uno studio 2016 del Crown Corporation Public Health Ontario del Canada
[5]James Zachos, Università della California, Santa Cruz, National Geographic, ottobre 2011
[6] Dal rapporto “Brevetto Foreste” del 2013, dell’Alleanza mondiale fra i giovani e le Nazioni Unite (Yunga)
[7] Dal rapporto di aprile 2015 del WWF (World Wild Fund)
[8] Structural change and economic dynamics, “Distibutive impact of structural change: does environmental degradation matter?”, Angelo Antoci, – Paolo Russu – Elisa Ticci, Dicembre 2009, pag. 266
[9] Wangari Muta Maathai, 1940 – 2011, ambientalista e biologa Keniota, Premio Nobel per la pace 2004, dal National Geographic, ottobre 2011
[10] Corriere della Sera del 25 luglio 2015
[11] Vandana Shiva: Le guerre dell’acqua, Ed. Feltrinelli, Milano, 2004, pag.78
[12] Libre (associazione di idee) del 22.03.2014 (rivista online).

 

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Irriverenza verso l’ambiente


Partendo dall’idea che il Pianeta Terra non è di nostra proprietà, ma che noi siamo solo ospiti, ci arroghiamo il diritto di trivellare, cementificare e disboscare; questi obbrobri non nascono dai nostri bisogni, ma da desideri effimeri e di profitto.

Tutto questo impoverisce la Terra, la abbruttisce.

Ecco che nasce un processo avverso alla cura e alla tutela della Natura, un processo immeritato per la bontà e la generosità della Natura stessa. Però essa non può subire a lungo questi trattamenti, de facto tende a ribellarsi. Non a caso Papa Francesco, grande sensibilizzatore delle coscienze, nella sua seconda Enciclica Laudato si’ ammonisce “Dio perdona, la natura no”, e invoca la fratellanza tra uomo e natura. Se viene a mancare questo rapporto, nascono le cosiddette catastrofi naturali, ma non sono naturali, sono catastrofi indotte dai maltrattamenti verso la Natura.
La Natura viene flagellata per i continui saccheggiamenti dell’uomo, infatti negli ultimi due ventenni è nato un rapporto persecutorio e schizofrenico verso la Natura senza precedenti. Secondo alcune recenti risoluzioni dell’assemblea ONU, la natura “ha diritti”, come quello di non essere violentata o depredata per fini di profitto. Il programma “UN Harmony with Nature” suggella di fatto questa linea normativa e fornisce suggerimenti con leggi e sentenze per riconoscere tali diritti, di esistere, prosperare ed evolversi. Sin dal protocollo di Kyoto a dicembre del 1997, i 170 Stati aderenti si impegnarono a ridurre i gas serra dell’8% fino al 2012, ma nulla di fatto, vox clamantis in deserto. 
Ora, il Comitato Scientifico mondiale, per mantenere il livello attuale del mare e la sua temperatura, afferma che fino al 2050 l’aumento della temperatura globale dovrà essere contenuto entro i 2°C. Nelle ultime tre conferenze COP21 (Parigi 2015), COP22 (Marrakesh 2016) e COP23 (Bonn 2017) i 194 Paesi aderenti hanno confermato l’accordo di non superare i 2°C.
Alcuni studi empirici della rivista Nature Communications [1] hanno asserito che dal 2007 al 2013 c’è stata una diminuzione di emissione dei gas serra del 20% a livello globale, dovuta alla crisi socio – economica e quindi alla diminuzione della produzione, e non per il rispetto di impegni presi da parte dei Paesi. Purtroppo la Cina non ha contribuito a questo miglioramento, basti pensare che da sola emette il 29% della COmondiale [2].
Il W.T.O. (World Trade Organization) ha lasciato che essa indisturbatamente continuasse a produrre a dismisura, soprattutto prodotti di qualità scadente, in quanto ancora inserita nel programma dei Paesi in via di sviluppo. E non solo, nel dicembre del 2013 a Bali (Indonesia) è stato raggiunto l’accordo sulla “Liberalizzazione degli scambi” da parte dei 159 Stati aderenti al W.T.O., dopo che Cuba ha desistito sulla minaccia di veto, per la gioia della regione ultimamente denominata “CINDIA” (Cina e India).
Queste liberalizzazioni e deregolamentazioni commerciali sono agevolate dalla mancanza di paletti alle reiterate e devastanti operazioni di trivellazioni, cementificazioni e disboscamenti in più parti della terra. A quasi la totalità di queste operazioni vengono assoggettati i Paesi più poveri, meglio specificare “impoveriti” in quanto ricchi di risorse ma depauperati, dei loro beni naturali di sostentamento, dalle imprese sovranazionali mediante accordi, talvolta illeciti, con i locali governi e Capi di Stato. Specie in materia di accaparramento delle terre dei contadini che vivono in maniera autarchica, impoverendoli ulteriormente, non solo economicamente, ma anche svuotandoli della capacità di ricorrere giuridicamente contro siffatti abusi.
Il land grabbing è il fenomeno economico che da oltre un decennio si perpetua ai danni delle comunità più povere del sud del mondo nell’era della globalizzazione neoliberista. Lo denuncia il Global justice now [3], grandi multinazionali, complice la Banca Mondiale con politiche di deregolamentazione, senza limiti hanno acquistato grandi terreni, per un totale di circa 31 mln di ettari, in Sud America, in Africa e in Asia oltre per le risorse naturali, anche per le coltivazioni intensive e monocolture. Infatti le multinazionali inducono le popolazioni autoctone a specializzarsi in monocolture, per es. abbiamo in Costa d’Avorio grandi coltivazioni di cacao, in Etiopia di caffè, in Kenya di the, nel Senegal di arachidi, in Madagascar di biocarburante e soia, in Tanzania di riso, etc. [4], senza considerare le loro esigenze alimentari, manipolando inter alia i prezzi sui mercati mondiali dei prodotti agricoli. Ogni quattro giorni viene venduta a capitali stranieri un’area più grande della città di Roma [5].

Ma, ritornando al problema del riscaldamento globale, buone politiche sarebbero quelle di eliminare le barriere che ostacolano lo sviluppo delle fonti rinnovabili ed abrogare i sussidi alle trivellazioni per gas e petrolio. 
Inoltre, per i territori sottoposti a grandi fenomeni meteorologici, bisogna rafforzare la loro resilienza e metterli in sicurezza; ma anche cambiare paradigma nell’agricoltura è imperativo, per esempio mettere dei paletti all’uso dei pesticidi, dei fertilizzanti chimici e alle pratiche di coltivazioni intensive.
In definitiva, bisogna promuovere uno sviluppo sostenibile e fare entrare nei fatti economici mondiali anche i Paesi del terzo e del quarto mondo.
Infine, per quanto riguarda l’impermeabilizzazione del suolo, o cementificazione, essa inibisce una appropriata organizzazione del territorio e degli ecosistemi in modo irreversibile, causando i grandi disastri ambientali di cui ultimamente siamo a conoscenza.
Tutto questo non è giustificabile con l’abbandono da parte degli agricoltori delle aree agricole, quindi con l’esodo verso le aree urbane. Un esempio eclatante di abbandono delle campagne ci è stato fornito dalla Cina di Deng Xiao Ping, agli inizi degli anni ’80 del secolo scorso quando, con l’apertura ai mercati esteri, si è avuto il boom economico. Assistiamo oramai da un quinquennio al controesodo, dalle città alle campagne, dovuto all’inquinamento ambientale e all’invivibilità delle metropoli industrializzate: l’inquinamento è dovuto principalmente all’anidride solforosa SO2 emessa dalle industrie a carbone e dalla produzione di energia. La Cina ricava dalla combustione del carbone il 70% dell’energia prodotta e consuma circa il 50% del carbone mondiale [6]. Per la concentrazione di polveri sottili PM2.5 di 35 volte superiore ai livelli consentiti dall’O.M.S., la rivista britannica Lancet 2013 ha calcolato 1,2 mln di decessi l’anno, oltre al peggioramento della qualità della vita del 20%. Ed è per questo che l’XI Piano Quinquennale del 2006 della Cina ha imposto l’installazione di impianti di desolforazione in molte centrali elettriche, quelle ritenute più nocive. “La riduzione delle emissioni richiede l’uso di tecnologie prodotte in paesi ad alto reddito. Pertanto, la sfida per la politica climatica è quella di incoraggiare il trasferimento di queste tecnologie rispettose del clima al mondo in via di sviluppo” [7].
Infatti, per il calo dei livelli occupazionali dal 2010 al 2011 le esportazioni si sono dimezzate, ma il governo cinese prende le contromisure mediante grossi investimenti pubblici per quanto riguarda le infrastrutture e l’edilizia abitativa con prezzi molto accessibili.  Inoltre, su scala planetaria, la N.A.S.A. (National Aeronautics and Space Administration) sostiene che nel dicembre 2015 la concentrazione in atmosfera di COha superato la soglia di 400 parti per milione, aumentando il rischio delle migrazioni e della sicurezza (Report I.C.C.P. 4/2016). 

 

 


[1] Nature Communications 2015 (rivista): Dopo il 2007, la diminuzione delle emissioni è avvenuta in gran parte a causa della recessione economica, con i cambiamenti nel mix dei combustibili che hanno svolto un ruolo relativamente minore
[2] V° Assessment Report 2014 – Intergovernmental Panel on Climate Change ( I.P.C.C.)
[3] Global justice now: Associazione britannica che si batte per la giustizia sociale. Nel suo rapporto del 28.11.2016 ha definito questa pratica The new scramble for Africa
[4] www.buongiornoAfrica.it, 2013
[5] International Land Coalition, rapporto del 18.11.2012. Essa è una organizzazione di ricerca internazionale che ha sede presso l’agenzia delle Nazioni Unite, ed ha lo scopo di ridurre la povertà e le diseguaglianze per la dignità e l’inclusione
[6]Alcorn T. (2013). China’ s skies: a complex recipe for pollution with no quick fix,. The Lancet 381
[7]  Review of Environmental Economics and Policy: International technology transfer, climate change, and clean development mechanism, di David Popp, 24 maggio 2011, pag. 131.


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