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Quali adempimenti per essere in regola con il PAN

Il Piano d’Azione Nazionale (PAN) è entrato in vigore in Italia con il decreto interministeriale del 22-1-2014 e attua la direttiva europea sull’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari n. 128 del 2009.

Il 2014 è stato un anno di transizione; dal 2015 inizieranno i controlli e potrebbero scattare eventuali sanzioni per coloro che non adempiano i nuovi obblighi. Le sanzioni potrebbero essere analoghe alle infrazioni conseguenti al mancato rispetto delle etichette.

Il PAN contiene obblighi per le pubbliche amministrazioni, per le aziende agricole e per tutti gli operatori collegati (consulenti, distributori di prodotti ad uso agricolo…).

È compito della pubblica amministrazione (Ministero e Regioni) fornire agli operatori tutte le informazioni necessarie affinché questi ultimi possano applicare i principi della difesa integrata e adeguarsi agli adempimenti richiesti. In particolare, saranno a disposizione degli operatori del settore:

  • manuali e materiale informativo sulle tecniche della produzione integrata;
  • reti meteorologiche efficienti;
  • reti di monitoraggio sullo sviluppo epidemiologico delle principali avversità;
  • modelli previsionali sullo sviluppo delle avversità;
  • rilascio di bollettini periodici che forniscano informazioni sull’applicazione della difesa integrata;
  • i vincoli e i divieti per l’uso di fitofarmaci (FT) nelle aree sensibili.

Le aziende agricole dal canto loro dovranno adempiere ai seguenti obblighi:

  • dal 01/01/2014: aderire obbligatoriamente alla difesa integrata di base, oppure aderire volontariamente ad un sistema di difesa integrata più restrittiva e in linea con quanto stabilito dai disciplinari o ad un sistema di coltura biologica.
  • entro il 01/01/2015: rispettare gli obblighi previsti dall’allegato IV per una corretta manipolazione/stoccaggio/smaltimento dei prodotti fitosanitari;
  • entro il 26/11/2015: possedere il patentino o il certificato di abilitazione per l’acquisto e l’utilizzo di prodotti fitosanitari destinati ad utilizzatori professionali;
  • obbligatoriamente segnalare il trattamento in prossimità di aree potenzialmente frequentate da persone, quando espressamente riportato in etichetta o quando previsto da specifiche norme;
  • entro il 26/11/2016: sottoporre le macchine irroratrici a controlli funzionali periodici, almeno una volta presso un Centro Prova autorizzato dalla Regione;
  • eseguire almeno una volta l’anno, in autonomia o presso Centri Prova autorizzati, la manutenzione delle attrezzature al fine di regolare e tarare le stesse alle specifiche realtà colturali aziendali e di definire il corretto volume di miscela da distribuire;
  • dimostrare di conoscere le principali avversità aziendali;
  • dimostrare di disporre del collegamento o poter ricevere dati meteorologici dettagliati per il territorio sul quale sono insediate le aziende;
  • realizzare autonomamente o partecipare ai monitoraggi comprensoriali;
  • conoscere eventuali soglie di intervento delle avversità oggetto dei monitoraggi;
  • conoscere le strategie anti-resistenza, tenere il registro dei trattamenti.

Le aziende agricole potranno inoltre iscriversi al registro elettronico dei trattamenti. Le aziende che accedono al servizio potranno:

  • acquisire in automatico dal fascicolo aziendale le superfici oggetto dei trattamenti;
  • visionare il profilo, la composizione e la pendenza dei propri terreni;
  • verificare la presenza di corpi idrici e di eventuali vincoli normativi e fitosanitari;
  • fruire della banca dati aggiornata in tempo reale per la ricerca dei prodotti e relative registrazioni gestita da ICPS;
  • accedere alle norme tecniche di difesa e diserbo e alle deroghe emesse dal Servizio fitosanitario regionale;
  • verificare se rientrano nelle aree individuate per gli usi eccezionali;
  • verificare le registrazioni per i prodotti da utilizzare in agricoltura biologica;
  • consultare i bollettini meteo e fitosanitari;
  • accedere al sito nazionale sull’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari.

In rete sono reperibili moltissime informazioni e alcuni siti mettono a disposizioni delle check list per gli utenti registrati che aiutano ad effettuare un’auto-analisi aziendale.

Per saperne di più:

MiPAAF
Regione Emilia Romagna
Agricoltura Responsabile
LG Italia

 

12_05peste suina

La peste suina spaventa l’Europa

Una peste suina dall’alto potenziale distruttivo denominata “febbre suina africana” si sta avvicinando pericolosamente ai confini orientali dell’Europa e inquieta gli allevatori. La febbre suina africana (African Swine Fever – ASF) è una malattia virale con un tasso di mortalità del 100%. Alcuni virologi hanno trovato dei collegamenti tra questo virus e l’ebola.

Il virus è arrivato in Georgia nel 2007 all’interno di carne di maiale infetta proveniente dall’Africa dell’est. L’impiego di tale carne infetta nella preparazione di mangimi per altri maiali allevati in Georgia ha fatto sì che la malattia si diffondesse nel paese. Dalla Giorgia il virus si è poi diffuso in Russia, Bielorussia e di recente è comparso in diverse località di Lituania, Lettonia, Estonia e Polonia.

L’Unione Europea sta reagendo a questo pericolo potenziale finanziando un progetto denominato ASFORCE, che vede la collaborazione di 18 partner di tutto il mondo, tra cui: l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Umbria e delle Marche, il Royal Veterinary College (Londra – UK) e l’Helmholtz Centre for Environmental Research (Leipzig – Germania). Lo scopo principale del progetto è proprio quello di approfondire le ricerche sulla modalità di diffusione di tale virus, creare dei modelli previsionali relativi ad una possibile diffusione e, soprattutto, trovare vaccini o trattamenti efficaci.

L’ASF è molto diffusa in Africa, può infettare animali selvatici, come i facoceri, senza però ucciderli. Invece causa febbre emorragiche mortali nei suini di allevamento. Sfortunatamente questo virus è abbastanza resistente e sopravvive non solo nelle carne di maiale fresca, stagionata o affumicata, ma anche nei luoghi che sono venuti a contatto con la carne infetta, quali contenitori, ruote dei veicoli o perfino il camice del veterinario. Questo comporta difficoltà notevoli nel controllo e restrizione della diffusione del virus.
Al momento non sono disponibili né vaccini né trattamenti, e data l’alta contagiosità del virus l’unica soluzione consiste in un’allerta precoce da parte dell’allevatore a cui segue l’isolamento del capo infetto e la restrizione di movimenti di persone, animali e veicoli che possono essere entrati in contatto con il virus.
Il virus attacca e uccide anche i cinghiali selvatici nel giro di qualche giorno; ma anche se questi non possono fungere da immagazzinatori del virus, tuttavia possono comunque favorirne la diffusione non solo per via diretta, perché gli animali infetti sono comunque liberi di muoversi, ma anche per via indiretta, in quanto possibili prede di cacciatori che inconsapevolmente possono contribuire alla diffusione del virus. Il divieto di caccia è necessario in tutte le zone che potrebbero essere contaminate.
Il comportamento umano incide molto sulla diffusione della malattia visto che il virus resiste anche sui veicoli e sui vestiti di chi ne viene in contatto; perciò è da evitare lo spostamento di animali infetti anche da morti.
È per questo che la presenza di animali malati al confine Russia-Polonia e nei Paesi baltici risulta molto preoccupante per gli allevatori europei.

Chris Oura, esperto virologo dell’Università di “West Indies” a S. Augustine in Trinidad e Tobago, paragona il virus della febbre suina africana all’ebola. Infatti la peste suina causa rapidi danni interni alle cellule dei rivestimenti dei vasi sanguigni dei maiali e causa anche lesioni interne catastrofiche agli organi. Al momento oggetto di studio del progetto è come il virus si trasmetta tra i maiali e a che velocità; si cerca anche di capire meglio l’epidemiologia della malattia per creare dei modelli previsionali sull’impatto di tale virus se si diffondesse all’interno dell’Unione Europea. La partecipazione dell’Italia è molto importante visto che rappresenta un’ottima fonte di informazioni essendo il virus già comparso anni addietro in Sardegna.

Per saperne di più:
ASFORCE
Royal Veterinary College
Helmholtz Centre for Environmental Research

12_04reflui

Nuovo metodo efficace per la gestione dei reflui di allevamento

Recupero e smaltimento dei reflui zootecnici sono un problema per diversi allevamenti. Infatti, allo stato attuale, risulta difficile il recupero dei nutrienti. Soltanto tra il 20 – 40 % del contenuto di azoto presente nei liquami riesce ad essere recuperato e quindi reimpiegato in agricoltura. La percentuale di recupero e il conseguente riciclaggio degli altri nutrienti presenti nei reflui è ancora più bassa. Considerando che nei reflui prodotti annualmente sono presenti circa 100 MTon di azoto e che meno del 50% viene recuperato, si nota con facilità quanto azoto sia annualmente disperso nell’ambiente. Al tempo stesso in agricoltura vengono impiegati fertilizzanti minerali che presentano una concentrazione di fosforo di circa 1,5 volte minore e una di azoto ben 3 volte inferiore a quella presente nei reflui zootecnici; eppure questi ultimi al momento sono solo parzialmente utilizzabili.

Innovazioni tecnologiche che possono consentire di migliorare la gestione dei reflui zootecnici vengono dalla Finlandia. La ricercatrice Anni Alitalo dell’Istituto Finlandese per le Risorse Naturali, Dipartimento Ricerche Agroalimentari, ha sviluppato, infatti, nuovi metodi per il trattamento dei reflui che consentono di:

  • aumentare il quantitativo di nutrienti riciclati;
  • diminuire la carica batterica;
  • ridurre lo sviluppo di odori sgradevoli.

La parte della ricerca che rientra nella tesi di dottorato di Anni Alitalo è stata pubblicata di recente sul sito dell’”Istituto per le Ricerche Agroalimentari” MTT.

L’impianto pilota messo a punto all’interno di questa ricerca prevede un sistema di trattamento a stadi.
La separazione del fosforo non risulta molto complessa, infatti viene separato con la frazione solida dei liquami.
La separazione dell’azoto è molto più complessa e avviene a stadi. Innanzitutto il letame viene sottoposto a una reazione biologica in un reattore opportunamente creato a tale scopo. Dopo il trattamento biologico, si procede con la separazione dell’ammoniaca con il metodo dello strippaggio. La prima fase è di fondamentale importanza in quanto proprio durante il trattamento biologico il valore del pH dei reflui aumenta naturalmente e questo facilita la successiva fase di separazione dell’azoto. L’aumento del pH consente di procedere allo strippaggio dell’ammoniaca limitando notevolmente l’aggiunta di altri reagenti chimici, pur mantenendo lo strippaggio efficace. In particolare, lo strippaggio dell’ammoniaca può essere condotto senza l’aggiunta di basi forti quali l’idrossido di sodio (soda caustica).
La carica batterica e gli odori vengono abbattuti nella fase di trattamento biologico. In tale fase i reflui di allevamenti di suini e bovini vengono confluiti in reattori aerati dove è presente del materiale di semina microbica. Nel reattore i reflui rimangono quattro giorni e al termine del trattamento risultano praticamente inodori e presentano una riduzione del quantitativo di batteri fecali di oltre il 90%.

Il reattore messo a punto nella ricerca risulta stabile ed efficiente sia in fase pilota sia nelle sperimentazioni su campo. Il trattamento dei reflui da allevamenti di suini, infatti, ha già superato la fase pilota ed è già stato sperimentato in alcune aziende agricole. Tuttavia, non è ancora noto se e quando si passerà alla fase di commercializzazione, in quanto non sono ancora state individuate le fonti di finanziamento.

Durante la fase del trattamento biologico si interviene anche per diminuire gli odori e per migliorare le condizioni igieniche dei reflui.

Per saperne di più
Natural Resource Institute Finland
MTT Science