Articoli da inserire nella Newsletter del PSR Lombardia

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Neonicotinoidi e api: binomio imperfetto

Secondo uno studio di pubblicato su PlosOne lo scorso gennaio, in oltre metà delle nazioni europee non sono presenti api da miele sufficienti a impollinare le colture e bisogna fare sempre più affidamento sugli impollinatori selvatici. Anche se dopo un forte declino le colonie di api negli ultimi cinque anni sono aumentate, le colture legate ai biocarburanti che hanno bisogno di impollinatori sono cresciute molto più velocemente. Facendo un bilancio, mancano in Europa all’incirca 7 miliardi di api. La situazione può essere meno tragica del previsto se si considera la presenza di impollinatori selvatici, quali bombi, api solitarie e sirfidi. Tuttavia poco si sa sul numero di impollinatori selvatici effettivamente disponibili, i quali dimostrano una resilienza molto minore di quella delle api nei confronti dei cambiamenti dell’habitat.
La situazione più grave è quella della Gran Bretagna, ma anche in Italia la situazione è delicata; a darne l’allarme è l’Università di Trento.
A complicare la situazione c’è anche l’aumento, a seguito dei sussidi erogati, della coltivazione di piante oleaginose che necessitano di impollinatori.

Ci sono molte ricerche in corso sui neonicotinoidi e sulla loro reale o presunta relazione con la moria di api. Molte sono effettuate in laboratorio e altre sul campo. I risultati ottenuti dagli esperimenti di laboratorio però spesso differiscono diametralmente da quelli ottenuti sul campo.

Gli studi in laboratorio danno sicuramente risultati riproducibili in condizioni controllate che però non sempre rispecchiano in modo efficace le realtà sul campo. Tutti gli studi in laboratorio hanno provato una relazione tra il malessere delle api e la presenza di neonicotinoidi. In generale cambiano la comunicazione sociale tra le api, le modalità di ricerca di cibo, la capacità di rientrare nell’alveare e si abbassano le loro difese immunitarie, per cui le api sono più vulnerabili a virus e altre malattie.

Le prove su campo, invece, non sempre dimostrano una tale correlazione diretta. Infatti spesso le api sembrano non essere alterate in maniera determinante dai neonicotinoidi.

Per fare il punto sulla situazione si è tenuto a Londra, dal 22 al 24 gennaio 2014, un Joint Meeting dal titolo “The Impact of Pesticides on Bee Health”. In tali giornate si sono incontrati esperti provenienti da tutto il mondo. L’Italia ha partecipato attivamente.
Tutti gli studi presentati su ricerche in laboratorio confermano, come già detto prima, la correlazione tra il malessere delle api e l’impiego di neonicotinoidi, con l’aggiunta che il malessere si estende anche agli impollinatori selvatici. Uno studio statunitense aggiunge i fungicidi tra le concause, infatti è stato trovato che le api si ammalano più facilmente di nosemiasi se consumano polline con alte concentrazioni di fungicida.
Altri studi ancora hanno dimostrato come le api siano sensibili all’odore del imidachloprid; non è però ancora chiaro come venga recepito e come alteri la percezione di altri odori.
In ogni caso, gli studi sottolineano come gli effetti si notino più chiaramente a distanza di tempo, ovvero quando l’esposizione ai neonicotinoidi perdura negli anni.

Alcuni degli studi effettuati sul campo e presentati al convegno, nonché uno studio sempre su campo portato avanti dagli istituti finlandesi per la ricerca in agricoltura MTT e l’autorità per la sicurezza alimentare EVIRA, suggeriscono invece che gli insetticidi non provochino un danno rilevante e diretto sulle api. Il progetto finlandese non ha registrato correlazioni tra i trattamenti chimici e la sofferenza delle colonie durante il primo anno di osservazione.

Le differenze e le controversie negli studi sono principalmente dovute alla difficoltà di riprodurre in laboratorio tutte le condizioni ambientali; comunque gli esperimenti svolti sul campo hanno una maggior difficoltà a essere riprodotti anche perché alcuni insetticidi sono impiegati fino alla fioritura e irrorati con nebulizzazione. Questo comporta alte variabilità nella valutazione dell’esposizione delle api a tali pesticidi.

Per saperne di più:
PlosOne  (EN)
MTT  (EN)

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Progetto REFERTIL: pronta la bozza sulla standardizzazione del biochar

Biochar e compost sono fertilizzanti e ammendanti naturali che derivano dalla degradazione di materiale organico. Entrambi i processi infatti, portano alla possibile riutilizzazione di azoto, potassio e fosforo da parte delle piante e, avendo un alto contenuto di materia organica, risultano essere dei buoni ammendanti per il suolo. La differenza sostanziale tra i due prodotti sta nella tipologia di processo di degradazione a cui viene sottoposto il materiale organico.
Il biochar si ottiene sottoponendo la materia organica a un trattamento di pirolisi, ovvero a una combustione ad alta temperatura (450-600°C) e in assenza d’aria, mentre nel compost la materia organica viene degradata a temperature di 45-70°C.
L’Unione Europea ha finanziato un progetto all’interno del settimo programma quadro che vuole sviluppare un sistema avanzato e completo per il trattamento dei rifiuti organici e il recupero dei nutrienti con impatto zero sul livello delle emissioni, dando vita a un ciclo virtuoso di elementi nutritivi sicuri, economici, ecologici, forniti al terreno con fertilizzanti e ammendanti, standardizzati, a base di compost combinato a biochar.
Il progetto, denominato REFERTIL, a cui partecipa anche l’Italia con Agroinnova (Università di Torino) e il Comune di Grugliasco, ha avuto inizio il primo di ottobre 2011, ha durata quadriennale e un budget totale di tre milioni di Euro.

I partner del progetto hanno lavorato per riuscire ad ottenere un prodotto standardizzabile e omogeneo, condizione necessaria per poter essere impiegato in maniera produttiva in campo agricolo. Infatti, soltanto attraverso una standardizzazione e omogeneizzazione del prodotto si può conoscere esattamente il suo valore di fertilizzazione e quindi fornire indicazioni precise sul suo utilizzo. Al tempo stesso si rende possibile la formulazione di leggi e norme adeguate all’impiego del biochar stesso.
I progressi effettuati finora hanno portato alla formulazione di una bozza sulla standardizzazione del biochar da sottoporre agli Stati membri.

La produzione di biochar prevede l’impiego di materiale organico, come rifiuti organici urbani, residui agricoli e agroindustriali, successivamente sottoposto a un processo avanzato di carbonizzazione, utile ad aumentarne il valore aggiunto, quindi ad una trasformazione energeticamente efficiente, e infine ad un processo integrato di compostaggio per recuperare gli elementi nutritivi. Anche le ossa di animali da macello possono essere impiegate, e in questo caso si parla di biochar ABC (Animal Bone bioChar). Quest’ultimo tipo di biochar risulta essere particolarmente ricco di fosforo.
I prodotti che si ottengono sono di alta qualità e potranno essere utilizzati per ridurre l’impiego di fertilizzanti di sintesi in agricoltura. In questo modo si promuove la sostenibilità ambientale, ecologica ed economica delle filiere produttive, si riduce l’impronta ambientale negativa delle città e si contribuisce alla mitigazione dei cambiamenti climatici.

A beneficiare dei risultati del progetto saranno soprattutto gli agricoltori titolari di piccole e medie aziende agricole, anche di tipo biologico, che potranno accedere a prodotti sicuri, a basso impatto ambientale e biologici.
Il progetto può determinare anche un indotto positivo sull’occupazione in quanto, per ottimizzare costi e impatto ambientale, si prevede una produzione a livello regionale dove produttori di materia organica e fruitori del prodotto finale si alleano in associazioni e/o cooperative. Si dovrebbero creare così dei nuovi posti di lavoro “verde” a supporto di un’economia a basse emissioni di carbonio.

Per saperne di più:
Progetto REFERTIL  (EN)
CommNet (EN)
Agrinnova
Progetto REFERTIL Comune di Grugliasco

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Finanziati nuovi progetti per massimizzare la risorsa idrica

Il 24 gennaio scorso a Bruxelles si è tenuta la manifestazione “Water Innovation in Action” dove sono stati presentati gli 11 nuovi progetti finanziati dalla UE e collegati all’innovazione nella gestione dell’acqua. I progetti coinvolgono la partecipazione di 179 partner comprendenti strutture accademiche e imprenditoriali (70 dei quali sono piccole e medie imprese) provenienti da 19 stati europei.
Il finanziamento totale ammonta a 50 milioni di euro allocati all’interno della call “Ambiente 2013” del Settimo programma quadro per la Ricerca e lo Sviluppo Tecnologico. In tale sede si sono anche esplorate le possibilità offerte da diversi strumenti di finanziamento quali Orizzonte 2020.

Di questi undici progetti, due riguardano l’agricoltura:

· WEAM4i: Water and energy advanced management for irrigation (Gestione avanzata di acqua ed energia per l’irrigazione);

· INAPRO: Innovative model & demonstration based water management for resource efficiency in integrated multitrophic aquaculture and horticulture systems (Modello innovativo e dimostrativo per la gestione efficiente delle acque in un sistema integrato multitrofico di acquacoltura e orticoltura).

Il progetto WEAM4i ha lo scopo di integrare nella gestione dell’irrigazione gli aspetti idrico ed energetico.
Attualmente l’agricoltura in nord Europa assorbe circa il 30% del consumo totale di acqua, mentre nei paesi del bacino mediterraneo può raggiungere il 70%. Le innovazioni per una migliore gestione dell’irrigazione hanno portato ad una maggiore efficienza della risorsa idrica ma hanno implicato un maggiore uso di risorse energetiche. L’energia ha un costo che a volte viene ad incidere in maniera sensibile sulla gestione totale dell’irrigazione. Lo scopo del progetto è proprio quello di creare delle nuove griglie di valutazione dove entrambi gli aspetti siano presi in considerazione e integrati. Si analizzano diversi sistemi di irrigazione e fonti energetiche dando la priorità a quelle rinnovabili, e si incrociano i dati con i relativi costi. Tutti i dati acquisiti devono necessariamente essere inseriti in una piattaforma informatica in grado di elaborare dati in tempo reale in quanto le richieste idriche ed energetiche variano giornalmente. A questa piattaforma avranno ovviamente accesso gli agricoltori che potranno quindi capire come e quando impiegare in maniera ottimale l’impianto di irrigazione già in loro possesso. Non è necessaria, infatti, nessuna dotazione particolare, sarà il software a dare i risultati in base alle richieste formulate.
Il progetto è iniziato il primo gennaio 2013, durerà 42 mesi e ha un budget di 7 milioni di euro.

Il progetto INAPRO ha lo scopo di combinare le produzioni ittiche e vegetali in un sistema acquaponico dove il ciclo dell’acqua deve essere chiuso, le acque reflue ridotte, l’efficienza energetica potenziata, i nutrienti recuperati e le emissioni di CO2 abbassate.
L’approccio innovativo di INAPRO è proprio quello di raggiungere una produzione di cibo sostenibile e ad emissioni quasi zero. Ad esempio un sistema combinato di acquacoltura (allevamento ittico) e idroponico (coltivazione di piante in acqua fuori terra) costituisce un buon esempio di sistema acquaponico. Infatti l’acqua di scarico dell’acquacoltura è impiegata nell’irrigazione delle piante. In questo modo si risparmia acqua, si recuperano materiali e nutrienti dalle acque di scarico dell’acquacoltura, si abbassa l’impronta di carbonio e si minimizzano le richieste d’energia e i costi gestione. Il sistema INAPRO, il cui nome è un acronimo di “Innovative Acquaponic PROduction”, sarà costruito in maniera modulare in modo da potersi meglio adattare a tutte le possibili condizioni locali. Questo aspetto è importante anche perché porterebbe ad una maggior standardizzazione delle procedure. Gli attori coinvolti nel progetto prevedono una ripercussione rilevante sui mercati e sull’occupazione.
Il progetto è iniziato il primo gennaio 2014, durerà 48 mesi e ha un budget di 9 milioni di euro.

Per saperne di più:
Commissione Europea
UT-AGRI
Biblioteca della Commissione Europea