Articoli da inserire nella Newsletter del PSR Lombardia

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Etichette biodegradabili sui frutti: un successo italiano

A “K 2013” (Düsseldorf  16 – 23 ottobre 2013) e ad “Ecomondo” (Rimini 5 – 8 novembre 2013), sono stati presentati prodotti e applicazioni della III e IV generazione di bioplastiche, biodegradabili e compostabili. Questo è un settore di successo tutto italiano. L’Italia infatti si pone tra i paesi leader nel settore, complici una ricerca innovativa e mirata e una politica lungimirante nel settore.
È stato pubblicato di recente il volume “Bioplastiche: un caso studio di Bioeconomia in Italia”, promosso da "Kyoto Club" come contributo al dibattito legato alla pubblicazione del Libro Verde della Commissione Europea sui rifiuti plastici.
Sono considerati materiali bioplastici i materiali che soddisfano i seguenti requisiti:

  • una percentuale di rinnovabilità di C14 superiore al valore soglia del 50%;
  • emissioni di gas serra, durante il ciclo di vita, per chilo di prodotto sensibilmente inferiori a quelle delle plastiche tradizionali;
  • riciclabilità secondo gli standard dei Consorzi di riciclo nazionali; rispetto di determinati standard per la biodegradazione marina;
  • biodegradabilità in compostaggio conformemente allo standard EN 13432;
  • utilizzo di biomasse sostenibili per la sua produzione.

L’Italia, in occasione delle due fiere internazionali citate, ha presentato diversi materiali innovativi.
A Düsseldorf, è stata presentata una selezione dei primi bioprodotti da fonte rinnovabile realizzati dalla bioraffineria di Porto Torres che saranno disponibili sul mercato a partire dal 2014. Questi bioprodotti saranno impiegati in lubrificanti, polimeri, cosmetici e farmaci. La bioraffineria è il risultato del progetto Matrìca, nato nel 2011 con la joint venture tra Novamont e Eni Versalis.

Da Novamont arriva una nuova evoluzione di Mater-Bi® per teli pacciamanti trasparenti, resistenti alle radiazioni UV e biodegradabili in suolo. Questo telo rappresenta un’innovazione in quanto composto da un polimero biodegradabile contenente stabilizzanti UV naturali e anch’essi biodegradabili che non alterano le proprietà iniziali del prodotto e che, una volta in campo, mantiene la performance per tempi confrontabili al telo tradizionale.

Ottimi risultati arrivano anche sui sacchetti per la spesa di Mater-Bi®. Da uno studio sviluppato da Novamont in collaborazione con Hydra Institute for Marine Sciences nel progetto Openbio, finanziato dalla Commissione Europea per supportare la ricerca sulla biodegradazione dei materiali rinnovabili, risulta che detti sacchetti risultano biodegradabili per il 90% in ambiente marino, ovvero in un ambiente dove i sacchetti tendono tipicamente ad accumularsi. Questo risultato ha un'importante valenza dato che i sacchetti usa e getta per la spesa rappresentano una delle fonti principali dell’inquinamento da plastica dell’ecosistema marino.

Anche i bollini adesivi, per l’applicazione sulla frutta dei marchi di produzione, sono disponibili in materiale biodegradabile e compostabile. Questo è il risultato di un network d’imprese italiane tra cui Polycart e Gpt (Gruppo Poligrafico Tiberino). Dello stesso materiale possono essere fabbricate le etichette per le bilance elettroniche dei punti vendita alimentari e per i sacchetti biodegradabili destinati al consumo di prodotti sfusi. In questo modo tutto l’imballaggio può essere avviato al compostaggio. Il materiale di base rimane il Mater-Bi® con però inchiostro e adesivo anch’essi biodegradabili.

Per saperne di più:
Libro Bioplastica
Matrìca
Teli pacciamanti trasparenti
Risultati progetto Openbio
Etichette biodegradabili

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Mora e lampone contro l’infiammazione gastrica

I piccoli frutti sono al centro di una ricerca che vede la collaborazione dell’Università degli Studi di Milano con la Fondazione Edmund Mach di San Michele all’Adige. Ad agosto su PLOS One sono stati pubblicati i risultati ottenuti su mora e lampone.
Gli esperimenti si sono svolti in parte presso le strutture di San Michele all’Adige e in parte a Milano. In particolare, la coltivazione, l’isolamento e la caratterizzazione dei principi attivi sono state curate dalla Fondazione Edmund Mach sotto la guida del prof. Fulvio Mattivi, mentre la parte biologica, con le sperimentazioni in vitro e in vivo, è stata realizzata presso il Laboratorio di Farmacognosia dell’Università degli Studi di Milano, diretto dal prof.Mario Dell'Agli.
Le more (varietà Lochness) e i lamponi (varietà Tulameen) sono state coltivate presso i campi sperimentali di Vigalzano (TN) di proprietà della fondazione stessa. Le varietà sono state selezionate semplicemente in base alla loro diffusione e commercializzazione.
Questi piccoli frutti contengono ellagitannini, antiossidanti presenti in pochissimi alimenti. Infatti oltre a more e lamponi, si trovano in fragole, nelle parti non edibili dei melograni e in alcune varietà di uva e noci. L’estrazione e la caratterizzazione degli ellagitannini è stata possibile grazie all’impiego di strumentazione all’avanguardia come la piattaforma di metabolomica di proprietà della Fondazione E. Mach. La piattaforma metabolomica consiste in un insieme di strumentazioni sofisticate in grado di analizzare nel dettaglio e in velocità i composti bioattivi presenti negli alimenti. Questa piattaforma è in grado di realizzare in pochi mesi, con livelli di accuratezza elevatissimi,analisi che prima richiedevano alcuni anni.
L’estratto è stato testato per le sue presunte proprietà antinfiammatorie ed antiossidanti presso l’Università di Milano. La sperimentazione ha visto una prima fase in vitro, su cellule, e una seconda in vivo, su topo.
Si è quindi scoperto che a livello gastrico le condizioni di acidità e gli enzimi gastrici non sono in grado di idrolizzare gli ellagitannini. Questi antiossidanti sono invece idrolizzati nell’intestino con il rilascio di acido ellagico. Ma è proprio a livello gastrico che si sono riscontrati i benefici, ovvero quando gli ellagitannini non hanno subito nessuna modifica strutturale. In questo contesto, infatti, sono in grado di proteggere lo stomaco da lesioni (ulcere e gastrici) provocate dall’etanolo.
L’effetto anti-ulcera misurato in laboratorio risulta essere più elevato per le more rispetto ai lamponi. Questo è imputabile al fatto che la concentrazione di ellagitannini è più elevata nelle more (343 mg/100 g di frutta fresca) che nei lamponi (155 mg/100 g di frutta fresca).
In conclusione, si può dire che una dose stimabile attorno ai 150 g/dì di more e/o lamponi, ovvero il quantitativo normalmente presente nelle vaschette in commercio, è sufficiente per contrastare problemi di infiammazione gastrica. La stima è ovviamente approssimativa, in quanto dipende dal tipo di piccolo frutto e dal suo grado di maturazione.
I risultati di questo studio hanno aperto la strada a ulteriori ricerche. In particolare si studia la fragola, che di fatto è il piccolo frutto maggiormente consumato in Europa, e si vuole investigare sulle proprietà degli ellagitannini per le ulcere provocate da Helicobacter pylori.

Per saperne di più:
PLOS One
Fondazione Edmund Mach
Università di Milano

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Progressi nella lotta alla batteriosi del Kiwi

Il settore agricolo deve affrontare, per i prossimi anni, alcune sfide tra le quali la necessità di soddisfare la domanda di prodotti alimentari riducendo la pressione sull’ambiente, o le richieste energetiche e di mezzi tecnici.
Vincere queste sfide richiede lo sviluppo di biotecnologie, pratiche agronomiche e tecniche di valorizzazione dei residui in grado di mitigare l’impatto ambientale e proteggere gli habitat naturali e la biodiversità, salvaguardando la redditività del settore.
Il progetto Biogesteca, finanziato con 2,5 milioni di euro dalla Regione Lombardia nell’ambito del “Fondo per la promozione di accordi istituzionali”, vuole fornire una risposta a queste problematiche integrando le conoscenze e le attività di ricerca di numerosi gruppi lombardi, tra cui l’Università di Milano.
Un aspetto peculiare e innovativo del progetto riguarda la realizzazione di un approccio integrato (piattaforma di biotecnologie verdi e di tecniche gestionali) che vede lo studio e la sperimentazione di diverse soluzioni che interagiscono tra di loro con la finalità condivisa della sostenibilità del sistema agricolo. In particolare, la linea di ricerca 6 si concentra sull’utilizzo di reflui e residui per la produzione di energia e fertilizzazione dei terreni.
Il 27-28 giugno 2013 all’interno del Convegno della Rete Italiana LCA organizzato da ENEA, Politecnico di Milano e Rete Italiana LCA, sono stati presentati i risultati della ricerca sulla “Valutazione ambientale della produzione di elettricità da digestione anaerobica di reflui zootecnici”, ricerca sviluppata proprio all’interno del progetto Biogesteca. Questa ricerca mira a determinare il LCA (Life cycle assessment – analisi del ciclo di vita) dei vari reflui zootecnici reimpiegati nella produzione di elettricità. I risultati ottenuti sono estremamente interessanti: l’impiego di reflui bovini permette di ottenere una migliore sostenibilità rispetto ai reflui suini ed entrambe le filiere producono energia con un minor impatto ambientale rispetto a quella da altre fonti presenti nella rete elettrica nazionale.
Le differenze tra i due reflui sono essenzialmente dovute alla più elevata produzione specifica del liquame bovino, caratterizzato da un più elevato tenore di sostanza secca. La convenienza ambientale dell’impiego di refluo bovino rispetto a quello suino non può, tuttavia, prescindere dalla valutazione delle distanze di trasporto che influenzano fortemente il carico ambientale.

Un altro progetto che incentiva proprio la pratica sul terreno di tecnologie innovative per conciliare gli impegni in materia di salvaguardia ambientale con un equilibrato sviluppo dell'agricoltura è il Progetto Biomasse, promosso e finanziato dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali e sviluppato da ENAMA (Ente Nazionale per la Meccanizzazione Agricola), organismo che associa, insieme al Ministero e agli istituti di ricerca, tutte le forze che operano nel settore della meccanizzazione agricola.
Un esempio pratico degli effetti di questo progetto è portato dall’azienda agricola Stassano a Peccioli (PI). L’attività economica principale di quest’azienda è costituita dall’allevamento suinicolo, circa 8.000 capi all’ingrasso ogni anno, al quale vengono affiancate le coltivazioni agricole e la produzione di mangimi nel mangimificio aziendale. In quest’azienda è stato costruito un impianto di biogas che si è integrato perfettamente nelle attività aziendali. Per la produzione di metano vengono utilizzati per circa il 78% in peso effluenti zootecnici (76,5% liquami suini prodotti dall’allevamento e 1,4% pollina di provenienza extra-aziendale), per il 16% in peso sottoprodotti agro-industriali e per il restante 6% colture energetiche di produzione aziendale. Il biogas prodotto viene interamente utilizzato in un cogeneratore per la produzione di energia elettrica e di energia termica, reimpiegata in parte nel funzionamento dell’impianto e in parte venduta alla rete Enel.
Una parte dei liquami suini viene invece reimpiegata come fertilizzante in agricoltura dopo aver subito una digestione anaerobica. Il digestato è un materiale stabilizzato e parzialmente igienizzato, che ha subìto un abbattimento degli odori, una riduzione della sostanza organica e una mineralizzazione della componente azotata.

Per saperne di più:
Progetto BIOGESTECA
Progetto Biomasse
Azienda agricola Stassano