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Approdata a Modena, cimice asiatica è minaccia alle colture

E' stata rilevata nel modenese, da qualche mese, una cimice asiatica, Halyomorpha halys (Heteroptera Pentatomidae) potenzialmente molto dannosa per le colture ortofrutticole, per cui è stato attivato un servizio di allerta chiedendo  la collaborazione di tutti per individuare eventuali zone colpite, in modo da circoscriverne la diffusione.

Il commercio internazionale, negli ultimi decenni, ha provocato la diffusione di specie animali, in particolare insetti, spesso dannose in diversi settori ma in particolare in quello agroforestale. Ricordiamo ad esempio il caso del il bruco americano (Hyphantria cunea), approdato in Italia nel 1984, che ha impegnato e, in alcune aree italiane ancora impegna pubblico e privato nella lotta al parassita che danneggia notevolmente svariate specie arboree e arbustive. Potrebbe accadere anche per Halyomorpha halys.

Sono stati alcuni studenti del corso di laurea in Scienze e Tecnologie Agrarie e degli Alimenti dell’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia a individuarla, per la prima volta in Italia, proprio nel territorio modenese; si tratta di un insetto esotico potenzialmente assai pericoloso.
La scoperta è avvenuta grazie a raccolte didattiche di insetti da parte di studenti universitari, effettuate nell’ambito del corso di Entomologia, tenuto dalla ricercatrice Lara Maistrello.
Si tratta di una cimice marmorizzata nei toni del grigio e del marrone, lunga da 12 a 17 mm di origine asiatica: Cina, Corea, Giappone e Taiwan. Negli Sati Uniti, dove è approdata alcuni anni fa ed è stata scoperta quando era oramai proliferata, sta tuttora producendo gravi danni alle colture ortofrutticole.
Questo insetto, infatti, è dotato di un apparato succhiatore con il quale sottrae linfa alle piante e alla frutta. Notevoli danni vengono infatti prodotti ad esempio alle pomacee (mele e pere) che reagiscono alla “puntura” ispessendo il tessuto che diviene legnoso e sgradevole. La specie è polifaga e attacca molte specie arboree, arbustive, ornamentali e orticole.
Oltre ai potenziali danni al settore agricolo si aggiunge la fastidiosa abitudine, comune a tutte le cimici, di svernare in massa dentro gli edifici, dove penetrano nel periodo autunnale; come le altre cimici, non è dannosa dal punto di vista umano: l’insetto infatti non è pericoloso, non punge e non trasmette malattie.

Attualmente, grazie al contributo degli studenti e di appassionati di entomologia, sono stati rinvenuti diversi esemplari in un’area di 20 km a sud della città di Modena.
La Halyomorpha halys è inserita nella lista d’allerta dell’EPPO (l’Organizzazione Euro-mediterranea di Protezione delle Piante) e, considerata la sua potenziale pericolosità, il Servizio Fitosanitario Regionale, in accordo col Consorzio Fitosanitario Provinciale di Modena da maggio ha attivato nel territorio un sistema di monitoraggio, con lo scopo di delimitare la zona di presenza del fitofago e individuare le principali specie ospiti, in modo da contenerne la potenziale incidenza economica.

Il coordinamento del monitoraggio è affidato a Lara Maistrello del Dipartimento di Scienze della Vita dell’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, da cui viene un appello alla collaborazione, rivolto a colleghi, studenti, cittadini e/o agricoltori perché – in caso di rinvenimento di cimici “sospette” – effettuino segnalazioni (anche tramite foto macro) e, possibilmente, siano consegnati gli insetti catturati, indicando il luogo (e l’eventuale pianta su cui si rinviene), la data, e il numero di individui. Per mettere in atto misure di contenimento è essenziale, infatti, conoscere con precisione le aree di diffusione e le specie invase.

Per saperne di più:
Coordinatrice per il monitoraggio: Dott.ssa Lara Maistrello
Agricoltura
Agronotizie

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Trattare il legno sottovuoto per farlo durare a lungo

Ancora una volta la collaborazione tra il mondo della scienza e quello della produzione mettono a disposizione del mercato un processo innovativo che permette di migliorare la conservazione del legno per un ambiente più salubre. Si tratta del metodo TERMOVUOTO® messo a punto dall’Istituto per la Valorizzazione del Legno e delle Specie Arboree del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR-IVALSA) di San Michele all’Adige (Trento) insieme alla ditta WDE Maspell di Terni.

Il responsabile del laboratorio LABESS (Laboratorio di essicazione del legno e trattamenti igrotermici) di CNR-IVALSA, nonché della parte scientifica del progetto, Ottaviano Allegretti, spiega come il TERMOVUOTO®, processo di essiccazione sottovuoto ad alta efficienza energetica in concomitanza con un trattamento termico, raggiunga l’obiettivo di offrire un prodotto ecologico, a basso impatto ambientale, conveniente e di alta qualità. I dati forniti dimostrano come legni di abete bianco (Abies Alba Mill) e abete rosso (Picea excelsa Lam), quest’ultima specie dominante in Trentino e in tutto l’arco alpino, dopo il trattamento citato possiedano le caratteristiche tipiche dei legni tropicali in quanto ad estetica e durabilità. Sono questi due fattori, infatti, che fanno prediligere l’importazione di legni tropicali a scapito dei nostrani, che, di fatto, arrivano a possedere queste stesse caratteristiche soltanto se trattati. Il legno sottoposto al trattamento TERMOVUOTO® si dimostra idoneo anche per l’impiego in esterno, come per infissi, facciate, arredi esterni e guard-rail, e risulta essere competitivo non solo con il legno trattato in modo tradizionale, ma anche con altri materiali, quali la plastica.
Il sistema, di fatto, permette di produrre una nuova generazione di legno termicamente modificato con alto valore aggiunto ed eccezionali proprietà di resistenza e durabilità che esclude l’utilizzo di qualsiasi sostanza chimica.

I risultati della ricerca sono stati pubblicati su Bio Resources del NC State University.
Questo nuovo processo è il frutto di cinque anni di attività di ricerca del Cnr-Ivalsa di San Michele all’Adige, finanziato da alcune imprese private, dalla Provincia autonoma di Trento e dallo stesso Cnr.
Un ulteriore progetto è stato presentato nell’ambito di un invito europeo a presentare proposte su temi ambientali da un pool di aziende italiane e francesi, insieme col Consorzio Servizi Legno Sughero (CONLEGNO) e l’Università di Uppsala in Svezia; è stato valutato dalla Commissione Europea così favorevolmente da essere considerato strategico per l’alto contributo che esso può rendere all’ambiente, al sistema economico e occupazionale in Italia e in Europa.
I vantaggi ambientali di tale trattamento sono notevoli e vanno dalla riduzione dell’impatto ambientale ed economico dovuto al trasporto su gomma, allo sfruttamento eccessivo delle foreste tropicali, al mancato uso di sostanze nocive per l’ambiente nella fase di trattamento tradizionale del legno. La quantificazione del risparmio in termini di impatto ambientale del legno trattato con TERMOVUOTO® rispetto a quello trattato in modo tradizionale o importato dai paesi tropicali, è il tema di una delle ricerche attualmente in corso. All’interno della valutazione di impatto ambientale si analizzerà anche la quantità le emissioni di composti organi volatili (VOC), sostanze normalmente emesse dal legno trattato in modo tradizionale, trattamento che risulta essere necessario per l’applicazione del legno nel settore dell’arredamento di interni.
I composti organici volatili, diversi da un punto di vista molecolare e con comportamenti fisici e chimici diversi, presentano tutti un certo intervallo di volatilità e quindi in grado di disperdersi facilmente negli ambienti. Tali composti risultano essere nocivi per l’essere umano.
Il trattamento TERMOVUOTO® è commercializzato dalla WDE Maspell, ditta attiva nel settore dell’essicazione del legno già da alcuni decenni. Il marchio e i brevetti sono di proprietà della stessa WDE Maspell.

Per saperne di più:
CNR – Istituto per la Valorizzazione del Legno e delle Specie Arboree (IVALSA)
Wood Drying Engeneering (MASPELL)
CNR
Bio Resources: Thermo-vacuum modification of spruce and fir wood
Consorzio Servizi Legno Sughero

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Innovazione tecnologica nella concimazione

La fertilizzazione è una pratica agricola ben collaudata e l’uso di prodotti di sintesi chimica ovvero di fertilizzanti minerali ha reso questa pratica più rapida e meno costosa, ma con alcuni rischi di carattere ambientale; i fertilizzanti di origine organica hanno invece la duplice funzione di apportare nutrimento alle piante e di migliorare la struttura del suolo agricolo.
È importante che la pratica della fertilizzazione tenga sotto controllo gli elementi che possono essere fitotossici per le piante stesse o entrare nella catena alimentare attraverso le piante destinate all’alimentazione umana e/o animale ed essere tossici per gli organismi superiori.
Studi recenti confermano non solo la possibilità di impiegare in agricoltura gli scarti di lavorazione della concia effettuata con gli idrolizzati di cromo ma anche l’alto livello qualitativo del concime da esso derivato.
L’uso di concimi ottenuti dagli scarti del pellame nel processo della concia è stato a lungo evitato proprio per la potenziale tossicità, ma adesso, alla luce delle nuove tecniche di concia, va rivalutato, incrementato e promosso.
La Sezione Centro-Ovest dell’Accademia dei Georgofili in collaborazione con il Centro Scientifico Italiano dei Fertilizzanti (CIEC) ha organizzato a Roma l’11 giugno u.s. una giornata di studio, nella quale è stato fornito un quadro aggiornato e approfondito della materia, attraverso una serie di relazioni tenute da qualificati esperti e professionisti del settore.
Da quando è stata scoperta la possibilità di migliorare la qualità del cuoio e delle pelli mediante la concia, che ne aumenta la resistenza a qualunque deterioramento e pertanto le rende adatta alla produzione di articoli industriali, gli scarti e i reflui di lavorazione hanno rappresentato per anni un problema.
La presenza di cromo, infatti, rendeva inutilizzabili in quanto inquinanti tali scarti e reflui. D’altra parte, il cromo rappresenta uno dei pilastri della concia in quanto si lega alle proteine delle pelli rendendo quest’ultime indefinitamente più stabili e idonee alla lavorazione.
Gli studi effettuati negli ultimi anni hanno messo in evidenza come sia possibile usare nella fase di concia degli idrolizzati di cromo ottenendo risultati analoghi all’impiego tradizionale del cromo ma con grandi vantaggi per gli scarti e reflui di lavorazione. Tali idrolizzati non solo possono essere reimpiegati nella fase di concia, ma gli stessi scarti di lavorazione possono essere trasformati in concimi di alta qualità. Infatti, negli idrolizzati, il cromo mantiene stabili i legami con le sostanze proteiche delle pelli, conferendo ai concimi una capacità di rilascio condizionato alle esigenze vegetali. Tali caratteristiche rendono questi fertilizzanti unici e apprezzati in tutto il mondo.
E utile specificare che il cromo trivalente non rappresenta un pericolo per l’ambiente, al contrario del cromo esavalente. Il cromo III “intrappolato” negli idrolizzati che a loro volta sono legati in modo stabile alle proteine, non è più in grado di ossidarsi e quindi di trasformarsi nel pericoloso cromo VI.
L’impiego in agricoltura risulta quindi possibile e, dato l’alto contenuto proteico di questo concime, i risultati ottenuti sono molto buoni.
Un esempio pratico in Italia è dato dal comprensorio toscano della zona di S. Croce sull’Arno, dove i fanghi prodotti dal processo di concia vengono completamente riutilizzati in agricoltura.

Per saperne di più:

Ilsa group
www.ciec-italia.it
SINAB (Sistema di Innovazione Nazionale sull’Agricoltura Biologica)
Giornata di Studio“I concimi derivanti dal recupero dei residui di lavorazione del cuoio e delle pelli conciate” 
Reutilization of skin fleshing-derived collagen hydrolizate in the re-tanning/ dyeing / fatliquoring phases  
Nuove possibilità per la valorizzazione dei residui solidi della lavorazione del cuoio 
Valorizzazione degli scarti di scarnatura mediante il loro riutilizzo nel ciclo industriale conciario 
Riutilizzo di idrolizzato da collagene derivato da scarti di scarnatura in fase di riconcia / tintura / ingrasso