Storia delle nostre paure alimentari

Come l’alimentazione ha modellato l’identità culturale

Edizioni Aboca giugno 2023

EAN 9788855232326

Parte dalla preistoria il percorso dell’autore. Per vivere-sopravvivere è necessario nutrirsi ma il cibo deve essere buono, non avere elementi che danneggino l’organismo o porti addirittura alla morte. E allora come tutti i viventi animali, anche l’uomo, usa i 5 sensi per valutare bontà o meno di un alimento. La vista è senza dubbio il primo che si mette in gioco, l’olfatto certamente, il gusto solo per ultimo quando potrebbe essere già tardi. Ma l’esperienza ha guidato la capacità di valutazione di buono-cattivo. E non sono solo i Sapiens a usare la prudenza, altri mammiferi che vivono in gruppo, ad esempio i ratti, sembra proprio che abbiano un assaggiatore che verifica l’utilizzazione o meno di un qualsiasi cibo.

La differenza, fin dall’inizio, la fa la scoperta del fuoco e della cottura dei cibi che diventano più digeribili e assimilabili. Nel capitolo “la cottura fa rima con cultura” viene argomentata proprio l’importanza della lavorazione e cottura dei cibi e del consumo comunitario che diventa occasione di scambio e crescita sociale.

Dalle prime civiltà fino ai nostri giorni ciò che provoca più paure è il “nuovo” ciò che non si conosce o che viene da lontano. Possiamo fare solo alcuni esempi con i prodotti provenienti dalle Americhe come, pomodoro, patate, grano turco. Che poi con il tempo diventano alimenti indispensabili per la sopravvivenza dei contadini. Si pensi alla polenta nel Veneto, alle patate nel nord Europa.

Lo sviluppo delle città, i cui abitanti crescono di numero, necessita di approvvigionamenti notevoli con caratteristiche qualitative precise. Si provvede pertanto a stabilire norme sui prodotti in ingresso, la lavorazione e le caratteristiche di ciascun alimento proveniente dalla campagna. Il pane doveva essere bianco, la carne fresca appena macellata. Gli animali dovevano essere ben in salute per poter avere accesso al macello. Diventa necessario dotarsi di istituzioni sempre più complesse per evitare di morire di fame o ricevere cibo pericoloso. Nel medioevo e fino anche al 1700, le epidemie colpivano soprattutto le aree cittadine molto abitate dove le norme igieniche erano poco conosciute e meno ancora praticate; sostanzialmente i pregiudizi e la medicina praticata dai cerusici era in bilico tra Ippocrate e Galeno.

Il contadini si nutrono con quanto resta dopo le forniture alle aree cittadine. Rimane per secoli, si potrebbe dire anche ai nostri tempi in alcune aree del pianeta, un’alimentazione monotona, basata su quanto cresce bene in una certa regione. Ne sono esempi alcuni cereali come il sorgo, il sesamo, il riso che continuano ad essere la base della dieta di chi vive fuori dalle città.

L’influenza della religione precede di certo il cattolicesimo, basti pensare alle tradizioni ebraiche. Ma la chiesa entra davvero nei costumi alimentari nel nostro paese. La quaresima, le vigilie e i venerdì erano votati all’astinenza dalle carni e le macellerie erano rigorosamente chiuse. E non solo. Con l’avvento dei nuovi prodotti come caffè e cioccolato, le autorità religiose alimentarono un dibattito molto vivace in particolare rispetto al cioccolato: è un cibo o è paragonabile a una semplice bevanda quindi concessa anche in quaresima? E il caffè questa bevanda amara con potere eccitante? Sarà il papa Clemente VIII che dopo aver assaggiato una tazza di caffè ne decretò la bontà e i suoi benefici effetti!

Il lettore resta senza dubbio colpito dai numerosi e dettagliati episodi legati all’uso di cibi che per noi sono del tutto comuni. Colpisce il passaggio tra l’uso dello zucchero di canna che viene soppiantato dallo zucchero di barbabietola solo alla metà del 1800. A questo proposito resta in mente un fatto particolarmente truce. Per raffinare e sbiancare lo zucchero si usavano braci ricavate da ossa. A Waterloo, nelle fosse comuni se ne trovavano tante, di uomini e di cavalli. Le ossa di centinaia di soldati hanno avuto dunque un ruolo inaspettato tanto che l’autore con ironia afferma “E’ dolce morire per la patria“.

L’autore conduce il lettore in questa lunga e dettagliata storia che parte da Ippocrate e i suoi quattro umori corporei passa per Galeno e arriva con argomentazioni sempre dettagliate e approfondite fino al rifiuto dell’Hot dog in America, accettato solo dopo il cambio del nome che era frankfurter, nome che richiamava l’origine tedesca, alla diffidenza nei confronti del sushi, alle prese di posizione preconcette nei confronti di OGM, di carne coltivata, ampliate dai mas media, dai Social e da una classe politica impegnata a salvaguardare i diritti di pochi, senza pensare alla necessità di trovare strade per nutrire otto miliardi di persone senza mandare a remengo il pianeta.

Demonizzare la farina di grillo per salvaguardare gli allevamenti intensivi. A chi giova? Ai grilli, forse, certo molto meno ancora al pianeta.

Un percorso storico che impone al lettore delle profonde riflessioni sulle scelte individuali e ai governi un cambiamento di paradigma su quanto viene definito buono e sano. Con particolare riguardo a quei governi che si riempiono la bocca di parole come sovranità alimentare e tipicità.

Alberta