Newsletter n.5 articolo 2

Innovazione tecnologica nella concimazione

La fertilizzazione è una pratica agricola ben collaudata e l’uso di prodotti di sintesi chimica ovvero di fertilizzanti minerali ha reso questa pratica più rapida e meno costosa, ma con alcuni rischi di carattere ambientale; i fertilizzanti di origine organica hanno invece la duplice funzione di apportare nutrimento alle piante e di migliorare la struttura del suolo agricolo.
È importante che la pratica della fertilizzazione tenga sotto controllo gli elementi che possono essere fitotossici per le piante stesse o entrare nella catena alimentare attraverso le piante destinate all’alimentazione umana e/o animale ed essere tossici per gli organismi superiori.
Studi recenti confermano non solo la possibilità di impiegare in agricoltura gli scarti di lavorazione della concia effettuata con gli idrolizzati di cromo ma anche l’alto livello qualitativo del concime da esso derivato.
L’uso di concimi ottenuti dagli scarti del pellame nel processo della concia è stato a lungo evitato proprio per la potenziale tossicità, ma adesso, alla luce delle nuove tecniche di concia, va rivalutato, incrementato e promosso.
La Sezione Centro-Ovest dell’Accademia dei Georgofili in collaborazione con il Centro Scientifico Italiano dei Fertilizzanti (CIEC) ha organizzato a Roma l’11 giugno u.s. unagiornata di studio, nella quale è stato fornito un quadro aggiornato e approfondito della materia, attraverso una serie di relazioni tenute da qualificati esperti e professionisti del settore.
Da quando è stata scoperta la possibilità di migliorare la qualità del cuoio e delle pelli mediante la concia, che ne aumenta la resistenza a qualunque deterioramento e pertanto le rende adatta alla produzione di articoli industriali, gli scarti e i reflui di lavorazione hanno rappresentato per anni un problema.
La presenza di cromo, infatti, rendeva inutilizzabili in quanto inquinanti tali scarti e reflui. D’altra parte, il cromo rappresenta uno dei pilastri della concia in quanto si lega alle proteine delle pelli rendendo quest’ultime indefinitamente più stabili e idonee alla lavorazione.
Gli studi effettuati negli ultimi anni hanno messo in evidenza come sia possibile usare nella fase di concia degli idrolizzati di cromo ottenendo risultati analoghi all’impiego tradizionale del cromo ma con grandi vantaggi per gli scarti e reflui di lavorazione. Tali idrolizzati non solo possono essere reimpiegati nella fase di concia, ma gli stessi scarti di lavorazione possono essere trasformati in concimi di alta qualità. Infatti, negli idrolizzati, il cromo mantiene stabili i legami con le sostanze proteiche delle pelli, conferendo ai concimi una capacità di rilascio condizionato alle esigenze vegetali. Tali caratteristiche rendono questi fertilizzanti unici e apprezzati in tutto il mondo.
E utile specificare che il cromo trivalente non rappresenta un pericolo per l’ambiente, al contrario del cromo esavalente. Il cromo III “intrappolato” negli idrolizzati che a loro volta sono legati in modo stabile alle proteine, non è più in grado di ossidarsi e quindi di trasformarsi nel pericoloso cromo VI.
L’impiego in agricoltura risulta quindi possibile e, dato l’alto contenuto proteico di questo concime, i risultati ottenuti sono molto buoni.
Un esempio pratico in Italia è dato dal comprensorio toscano della zona di S. Croce sull’Arno, dove i fanghi prodotti dal processo di concia vengono completamente riutilizzati in agricoltura.

Per saperne di più:

Ilsa group
www.ciec-italia.it
SINAB (Sistema di Innovazione Nazionale sull’Agricoltura Biologica)
Giornata di Studio “I concimi derivanti dal recupero dei residui di lavorazione del cuoio e delle pelli conciate” 
Reutilization of skin fleshing-derived collagen hydrolizate in the re-tanning/ dyeing / fatliquoring phases  
Nuove possibilità per la valorizzazione dei residui solidi della lavorazione del cuoio 
Valorizzazione degli scarti di scarnatura mediante il loro riutilizzo nel ciclo industriale conciario 
Riutilizzo di idrolizzato da collagene derivato da scarti di scarnatura in fase di riconcia / tintura / ingrasso 

Inquadramento normativo

I fanghi prodotti dai processi di depurazione sia da acque reflue urbane che da acque reflue domestiche sono rifiuti in base alla parte IV del D.Lgs. n. 152/2006 (come modificato dal D.Lgs. n. 205/2010). Il D.Lgs. n. 152/2006 nella parte terza relativa alla tutela e gestione delle acque alla lettera bb) dell’art. 74, definisce “fanghi” i fanghi residui, trattati o non trattati, provenienti dagli impianti di trattamento delle acque reflue urbane. Gli impianti di trattamento delle acque reflue urbane producono fanghi ai quali viene attribuito il codice CER 190805. Va qui richiamato che il D.Lgs. n. 152/2006 attribuisce altri codici ai fanghi prodotti da impianti di depurazione dal trattamento biologico delle acque reflue di origine industriale, in particolare i codici 190811 e 190812.

Nella tab. 1 viene presentato un elenco riassuntivo delle principali tipologie di fango con l’indicazione dei relativi codici CER; nel merito si ricorda che il D.Lgs. n. 152/2006 individua codici anche per tipologie di fango differenti provenienti da cicli produttivi diversi ovvero prodotti nei trattamenti chimico-fisici di rifiuti industriali (CER 190205/06) come dai processi di potabilizzazione delle acque (CER 190902/03).

Va evidenziato che non devono essere confusi questi fanghi con quelli provenienti dalla pulizia delle fosse settiche cui è attribuito il CER 200304.

Le destinazioni prevalenti dei fanghi di depurazione sono lo smaltimento in discarica di rifiuti speciali (D.Lgs. n. 36/2003) e il recupero mediante compostaggio e digestione anaerobica. Molto meno diffusi sono il recupero mediante utilizzo in agricoltura e il recupero energetico (APAT, 2008). Il D.Lgs. n. 36/2003 pone dei precisi limiti riguardo all’ammissibilità in discarica (DM 27/09/2011 in sostituzione del DM 3/08/2005) dei rifiuti non pericolosi, in particolare per i rifiuti con un elevato contenuto di sostanza organica, di cui i fanghi costituiscono una frazione di tutto rispetto, in particolare quelli civili o prodotti da industrie agroalimentari; si pone quindi la necessità di individuare valide alternative alla discarica per la gestione dei fanghi di depurazione.