4.6.2. La modificazione genetica dei patogeni

La modificazione genetica del parassita in modo da limitarne la riproduzione è uno dei modi per raggiungere l’obbiettivo di diminuzione nell’uso di pesticidi. Un esempio è dato dallo studio inglese dell’Università di East Anglia (Norwick – UK). I ricercatori hanno infatti messo a punto un nuovo metodo per limitare le colonie di mosca della frutta tramite una modificazione genetica della stessa.

La mosca della frutta rappresenta un grave problema per l’agricoltura in quanto è capace di causare danni ingenti a molteplici colture visto che ne può attaccare oltre 300 tipi diversi.
Il metodo in questione si presenta efficace, economico e rispettoso dell’ambiente.

Mosca della frutta
Crediti immagine: University of West Anglia

Attualmente si può procedere al rilascio di insetti sterilizzati (metodo SIT – Sterile Insect Tecnique), tuttavia questo metodo non si dimostra molto efficace in quanto i maschi sterilizzati sono sottoposti a delle radiazioni che li rendono più deboli e meno competitivi rispetto ai maschi non trattati.

I ricercatori inglesi sono riusciti a modificare la genetica della mosca in modo tale che questa sia in grado di generare solo figli maschi. Le mosche maschio non sono quindi sterili o sterilizzate, ma soltanto geneticamente modificate in modo che possano generare soltanto figli maschi. In questo modo si assiste ad una rapida diminuzione della popolazione femminile con conseguente decrescita della popolazione totale.
Essendo stati geneticamente modificati, i maschi non devono sottostare ad ulteriori trattamenti, ivi compreso quello di sterilizzazione, e quindi sono più sani e robusti di quelli tradizionalmente impiegati nella tecnica SIT e riescono a competere con quelli presenti naturalmente.

Tre esemplari di mosca della frutta: una femmina (wt) e due maschi modificati geneticamente con metodologie differenti. A sinistra le larve sono esposte ad una luce fluorescente, mentre a destra ad una luca normale. Il maschio di destra risulta la selezione migliore in quanto facilmente riconoscibile dalla femmina.
Credito immagine: The Royal Society

La modificazione genetica avviene inserendo un gene specificatamente femminile all’interno dell’insetto. Questo gene interrompe lo sviluppo prima che la femmina raggiunga lo stadio riproduttivo. La creazione di mosche geneticamente modificate di solo sesso maschile avviene in un ambiente controllato in cui è presente una dieta mancante del repressore chimico necessario alle femmine per sopravvivere. I maschi sopravvissuti vengono così rilasciati nell’ambiente. Al momento dell’accoppiamento, il maschio modificato geneticamente passa naturalmente il gene per l’autolimitazione delle femmine alla propria progenie, impedendo quindi la crescita di esemplari femminili.

 

4.6.1 L’autodifesa delle piante

La conoscenza di come le piante cerchino di difendersi dall’attacco dei patogeni può portare alla selezione di varietà naturalmente resistenti. Questo tipo di colture permetterebbe quindi sia di aumentare le rese sia di evitare trattamenti che comunque hanno effetti negativi dal punto di vista ambientale, economico e sanitario. Lo studio portato avanti da ricercatori dell’Università di Hertfordshire (Inghilterra) e di Wageningen (Olanda) punta all’analisi proprio del meccanismo di difesa.

Le scoperte effettuate hanno messo in evidenza la presenza di ricettori posizionati all’interno e all’esterno delle cellule delle piante in grado di captare la presenza di un patogeno e quindi attivare il sistema di difesa.

La presenza di un patogeno viene rilevata dai recettori. Esistono due classi di recettori, entrambi di tipo proteico, in grado di rilevare le diverse molecole patogene.
Qualora sia rilevata la presenza di un patogeno, la pianta attiva diverse forme di difesa a seconda di dove si trovi il l’intruso. Si hanno quindi diverse linee di difesa:

Difesa primaria (Pattern-triggered immunity – PTI): scatta non appena il patogeno tocca la superficie della pianta e si attiva al fine di impedire l’entrata del patogeno nella pianta;

  • Difesa secondaria interna (Effector-triggered immunity – ETI): scatta quando il patogeno è entrato all’interno di una cellula della pianta. Il rilevamento è di tipo genetico dato dall’interazione dei geni della pianta con quelli del patogeno. La difesa immunitaria della pianta in questi casi in genere porta alla morte sia della cellula malata sia del patogeno in essa contenuta.
  • Difesa secondaria esterna (Effector-triggered defence – ETD): scatta quando i patogeni superano la prima linea di difesa, entrano nel sistema della pianta senza però entrare all’interno delle cellule ma posizionandosi negli spazi intracellulari. Agiscono in questo modo diversi patogeni, tra cui molti funghi, e in questo spazio non solo trovano nutrimento ma sono anche in grado di riprodursi sessualmente. Per contrastare il patogeno la pianta attiva delle proteine-recettori del tipo RLP.

 

 Le tre linee di difesa della pianta: primaria (fig. A-C), secondaria interna (fig. D-F) e secondaria esterna (fig. G-H)
Crediti immagine: Trends in Plant Science

 

 

4.6 . Le ricerche genetiche

La conoscenza è alla base per poter sviluppare tecniche di controllo di parassiti e infestanti efficaci. La selezione di varietà resistenti alla comune patologie può infatti comportare un’immediata riduzione dei fitofarmaci da impiegare. Ma lo studio della genetica si spinge oltre cercando di capire come mai alcune piante presentino questa resistenza e facilitando quindi il processo di selezione di varietà resistenti. Un altro ramo della ricerca genetica studia come limitare la proliferazione direttamente dei parassiti. Infine, sempre studi sulla genetica permettono di elaborare nuove procedure per l’analisi e diagnosi precoce delle caratteristiche delle nuove varietà.