3.2.2. Jellyfish Barge: una serra galleggiante completamente sostenibile

Un team tutto italiano, che comprende anche botanici e architetti, ha trovato una soluzione innovativa creando una serra agricola galleggiante denominata: Jellyfish Barge.

che è prodotta da Pnat srl, società spin-off dell’Università di Firenze, coordinata da Stefano Mancuso, direttore del Laboratorio Internazionale di Neurobiologia Vegetale (LINV) dell’Università di Firenze; vi fanno parte anche alcuni ricercatori del LINV e due architetti di Studiomobile.
Il prototipo funzionante, realizzato dal LINV (Università di Firenze) grazie al contributo della Fondazione Ente Cassa di Risparmio di Firenze e della Regione Toscana, è installato nel canale Navicelli, tra Pisa e Livorno ed è stato inaugurato venerdì 31 ottobre 2014.

Fonte: Matteo de Mayda

Pensata per comunità vulnerabili alla scarsità di acqua e di cibo, la Jellyfish Barge è costruita con tecnologie semplici e con materiali riciclati e a basso costo.


Innanzitutto, Jellyfish Barge è una serra modulare costruita su piattaforma galleggiante in grado di garantire sicurezza idrica e alimentare fornendo acqua e cibo senza pesare sulle risorse esistenti. La struttura impiega materiali a basso costo, assemblati con tecnologie semplici e facilmente realizzabili, ed è così composta:

  • un basamento in legno di circa 70 mq che galleggia su dei fusti in plastica riciclati;
  • una serra in vetro sorretta da una struttura in legno.

L’acqua dolce viene fornita da dei dissalatori solari disposti lungo il perimetro. Questi sono in grado di produrre fino a 150 litri al giorno di acqua dolce e pulita da acqua salata, salmastra o inquinata. La distillazione solare è un fenomeno naturale: nei mari, l’energia del sole fa evaporare l’acqua, che poi ricade come acqua piovana. In Jellyfish Barge il sistema di dissalazione replica questo fenomeno naturale in piccola scala, risucchiando l’aria umida e facendola condensare in dei fusti a contatto con la superficie fredda del mare.
La poca energia necessaria a far funzionare le ventole e le pompe viene fornita da sistemi che sfruttano le energie rinnovabili, integrati nella struttura.
La serra incorpora un innovativo sistema di coltivazione idroponica che consente un risparmio di acqua fino al 70% rispetto alle culture tradizionali, grazie anche al riuso continuo dell’acqua.
Jellyfish Barge in più utilizza circa il 15% di acqua di mare che viene mescolata con l’acqua distillata, garantendo un’efficienza idrica ancora maggiore.
Il complesso funzionamento del sistema colturale è garantito da un impianto di automazione con monitoraggio e controllo remoto.


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3.2.1. Gli “Orti di Nemo” in Liguria

Il progetto battezzato "l’Orto di Nemo" ha portato alla costruzione di un piccolo orto subacqueo a circa otto – dieci metri di profondità davanti alle coste di Noli, a non più di un centinaio di metri dalla linea di costa.

Due biosfere, due piccole serre subacquee ancorate sul fondale sabbioso del ponente ligure sono state il campo di prova di questo progetto sperimentale sviluppato con grande successo durante tutta l’estate. I molti dettagli attentamente curati si sono rivelati vincenti, aprendo le porte a nuove e affascinanti possibilità. A partire dagli ancoraggi al fondo, che sono simili a delle grosse viti avviate nella sabbia fin sotto il primo strato molto mobile, questo ha evitato quindi di introdurre in ambiente materiale estraneo e potenzialmente disperdibile come blocchi di calcestruzzo, riducendo così anche l’impatto ambientale della struttura che nel suo complesso era comunque di dimensioni ridotte, completamente amovibile e sprovvista di vernici o coperture capaci di contaminare le acque circostanti.

Le due biosfere in materiale vinilico trasparente avevano:

  • un volume di circa 800litri;
  • una struttura flessibile che era in grado di movimenti del mare con piccole fluttuazioni;
  • possedevano dei piani d’appoggio per consentire l’appoggio degli attrezzi dei moderni "contadini subacquei" e dei contenitori del terreno;
  • una base basculante per permettere al subacqueo agricolo di mettersi in piedi per svolgere i vari lavori all’interno della biosfera;
  • una valvola di sovra-pressione per consentire lo sfogo dell’aria che si trovava in eccesso quando, lavorando, si respirava nella biosfera.

I contenitori impiegati erano tutti a tenuta stagna e sono stati aperti direttamente dentro le biosfere, per evitare contaminazione con acqua salata durante il loro trasporto.
La semina è avvenuta direttamente dentro alla biosfera impiegando semi locali.
L’aria atmosferica intrappolata al momento dell’immersione della biosfera si è arricchita di vapore grazie alla trasparenza della biosfera, che alla profondità di posa era bene illuminata e quindi ha innescato un "ciclo dell’acqua" in miniatura: il sole ha scaldato la superficie dell’acqua che lambisce il fondo della biosfera, questo ha portato a fare evaporare l’acqua, l’acqua evaporata si è accumulata nell’aria della biosfera condensando sul terreno e tenendolo così sempre umido.
In tre giorni sono spuntati i primi germogli di basilico e la reazione di fotosintesi clorofilliana portata avanti da queste piante ha contribuito a regolare l’atmosfera all’interno della biosfera, assorbendo anidride carbonica e rilasciando ossigeno mentre i piccoli germogli crescevano. 

Una delle due biosfera è stata irrimediabilmente danneggiata da una mareggiata, ma ha dato l’opportunità di verificare che le grosse viti di ancoraggio non hanno recato danni al fondale. Infatti, la struttura flessibile della biosfera le ha permesso non rompersi ma bensì di oscillare fino al punto di allagarsi e dopo la mareggiata si è potuto recuperare completamente il materiale, evitando una dispersione di rifiuti in mare.

Nella biosfera che invece ha retto alla mareggiata i numeri sono fondamentalmente questi:

  • 62 giorni di operatività subacquea
  • 48 ore è il tempo passato dalla semina alla germinazione delle prime piantine
  • 52 i giorni passati dalla semina al primo raccolto
  • 85% è stato il tasso medio di umidità nelle biosfere, che quindi erano pressoché sature di umidità;
  • 20% è stato il tasso di illuminazione (rispetto all’illuminazione atmosferica) medio rilevato all’interno delle biosfere
  • 12  le persone coinvolte nel progetto.

Il raccolto è stato oggetto di analisi e confronti con delle semine fatte contestualmente a terra, e i primi dati ottenuti sono interessanti ma ancora in fase di valutazione.
I risultati analitici hanno messo in evidenza al momento i seguenti dati:

  • una freschezza e corposità aromatica sia dell’olio essenziale sia dello “spazio di testa”;
  • il contenuto in Alfa bergamottene in media con i valori tipici del basilico ligure;
  • il contenuto di Metil‐4‐Metoxy‐Cinnammato in quantità significativamente elevate rispetto sia ai campioni “test” coltivati al suolo sia ai valori medi del basilico normalmente coltivato nel bacino del Mediterraneo.

Fattori decisamente favorevoli per lo sviluppo del progetto sono stati la stabilità termica all’interno della serra e l’impossibilità per parassiti terricoli di arrivare a colpire queste colture.
L’implementazione di coltivazioni di tipo idroponico potrebbero far ulteriormente evolvere il progetto riducendo il quantitativo di terriccio necessario, materiale estraneo all’ambienta acquatico, e di conseguenza possibili inquinanti/contaminanti presenti nel terriccio.

Il campo di sperimentazione subacquea è stato costantemente monitorato da un innovativo sistema di videocomunicazione subacquea che consente un controllo video costante. Inoltre, un nuovo sistema di comunicazione "wi fi" ad ultrasuoni ha permesso ai coltivatori subacquei di comunicare tra di loro e con la superficie grazie a maschere subacquee "granfacciali" munite di microfoni e auricolari.
Al progetto ancora in fase di sperimentazione è interessata l’Arabia Saudita.

3.2. Le nuove frontiere degli orti

Oltre all’impiego di nuove tecniche e varietà per far fronte ai cambiamenti e all’aumento delle richieste, si fanno strada nuovi metodi di coltivazione e nuovi tipi di allevamenti.

Per esempio si stanno diffondendo le Vertical Farms, ovvero strutture chiuse dove la coltivazione avviene fuori suolo e multi-strato, con illuminazione artificiale e dove si ha un grande risparmio di suolo, si consuma solo il 10% dell’acqua richiesta in pieno campo, i fertilizzanti vengono riciclati e non si necessita di una difesa antiparassitaria perché parassiti ed erbe infestanti non entrano nel sistema. Infine questo tipo di coltura può avvenire all’interno delle città, ovvero a “km zero”. Ad avere accesso a questo tipo di prodotti sarebbe il 60% della popolazione mondiale che già oggi vive in città e che è prevista salire all’85% per il 2050. Tuttavia questo tipo di produzione si adatta bene solo agli ortaggi, mentre il costo energetico per produzioni di questo tipo per colture quali riso, mais, grano e patate è al momento proibitivo.
Le fattorie verticali non rappresentano però la sola alternativa proposta dalla ricerca. Isole sopra o sotto i corsi d’acqua o addirittura sugli oceani sono sperimentate in diverse parti del mondo. Molte soluzioni proposte si presentano a basso impatto ambientale e a km zero.


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