6.3. Gli allevamenti a basso impatto ambientale

Durante il progetto BATFarm sono state analizzate diverse realtà europee esistenti e quindi sono state delineate le Pratiche Migliori (Best Available Practice – BAT) nelle realtà agricole (Farm).

Il progetto ha risposto alle richieste della Comunità europea che dal 1991 mira a ridurre l’impatto ambientale delle attività agricole, a regolare le emissioni di gas in atmosfera e a contenere la diffusione nel terreno e nell’acqua di inquinanti o di elementi che comunque hanno un impatto ambientale negativo quando rilasciati in quantità eccessive.
Nella scelta della miglior pratica il fattore economico è ritenuto importante, pertanto è stato tenuto in considerazione.
L’Istituto Basco per la Ricerca e lo Sviluppo in Agricoltura (Neiker Tecnalia) ha coordinato il progetto.
L’allevamento intensivo è una pratica agricola comune e largamente diffusa in quanto consente un buon rientro economico, ma pone diversi problemi ambientali, come le emissioni di gas inquinanti (ammoniaca, ossido d’azoto e metano) in atmosfera e il rilascio di nitrati nel suolo e nell’acqua.
Le pratiche studiate comprendevano il tipo di suolo negli allevamenti a terra, l’impiego di additivi nello stoccaggio dei reflui, l’impiego e la rotazione del letame, contenitori flessibili per lo stoccaggio collettivo dei reflui, depuratori di gas all’esterno dei capannoni, e l’impiego dei reflui.
Data la diversità delle realtà presenti in tutta Europa, non è possibile creare un unico manuale di migliori pratiche bensì è stato creato un software capace di analizzare ogni singola situazione e fornire quindi le soluzioni più idonee. Ogni specifica realtà si può pertanto muovere al fine di rilasciare meno elementi nutritivi nell’ambiente (azoto, potassio, fosforo, rame e zinco) e diminuire la propria produzione di ammoniaca, metano e ossido nitroso durante tutte le fasi di produzione (alloggiamento, stoccaggio dei rifiuti, gestione dei reflui e applicazioni sul terreno).
Dal progetto emerge pure l’efficacia dei sistemi di raccolta collettivi per il trattamento dei rifiuti, elemento che si è rivelato ottimale per tutte le realtà agricole.
Il software messo a punto sarà disponibile a breve sul sito web di tutte le istituzioni partecipanti.

 

6.2. Un nuovo metodo efficace per la gestione dei reflui di allevamento

Innovazioni tecnologiche che possono consentire di migliorare la gestione dei reflui zootecnici vengono dalla Finlandia. Una ricercatrice dell’Istituto Finlandese per le Risorse Naturali, Dipartimento Ricerche Agroalimentari, ha sviluppato dei nuovi metodi per il trattamento dei reflui che consentono di:

  • aumentare il quantitativo di nutrienti riciclati;
  • diminuire la carica batterica;
  • ridurre lo sviluppo di odori sgradevoli.

L’impianto pilota messo a punto all’interno di questa ricerca prevede un sistema di trattamento a stadi.
Il fosforo viene separato con la frazione solida dei liquami.
La separazione dell’azoto invece avviene a stadi. Innanzitutto il letame viene sottoposto ad una areazione biologica in un reattore opportunamente creato a tale scopo. Dopo il trattamento biologico, si procede con la separazione dell’ammoniaca con il metodo dello strippaggio. La prima fase è di fondamentale importanza in quanto proprio durante il trattamento biologico il valore del pH dei reflui aumenta naturalmente e questo facilita la successiva fase di separazione dell’azoto. L’aumento del pH fa sì che si possa procedere allo strippaggio dell’ammoniaca limitando notevolmente l’aggiunta di altri reagenti chimici pur mantenendo lo strippaggio efficace. In particolare, lo strippaggio dell’ammoniaca può essere condotto senza l’aggiunta di basi forti quali l’idrossido di sodio (soda caustica).
La carica batterica e gli odori vengono abbattuti nella fase di trattamento biologico. In tale fase, i reflui di allevamenti di suini e bovini vengono confluiti in reattori areati dove è presente del materiale di semina microbica. Nel reattore i reflui rimangono quattro giorni e al termine del trattamento risultano praticamente inodori e presentano una riduzione del quantitativo di batteri fecali di oltre il 90%.

Fonte: Tesi di dottorato Anni Alitalo

Il reattore messo a punto nella ricerca risulta stabile ed efficiente sia in fase pilota sia nelle sperimentazioni su campo. Il trattamento dei reflui da allevamenti di suini, infatti, ha già superato la fase pilota ed è già stato sperimentato in alcune aziende agricole. Tuttavia, non è ancora noto se e quando si passerà alla fase di commercializzazione in quanto non sono ancora state individuate le fonti di finanziamento. 

 

6.1. Evaporazione sotto vuoto del digestato per abbassare i volumi dei reflui.

I vincoli stringenti sullo spandimento in campo dei liquami, stanno forzando gli allevatori a trovare metodi alternativi, anche perché esiste una presenza diffusa di allevamenti “senza terra” o con un’insufficiente dotazione di terreni dove poter spandere il liquame.

Si è quindi incominciato a trattare i reflui zootecnici (sia liquidi sia solidi) con metodi che possono essere di tipo:

  • Conservativo: il contenuto di azoto rimane inalterato. L’azoto quindi è semplicemente concentrato o trasformato qualitativamente.
  • Riduttivo: il contenuto di azoto viene ridotto. Una parte di azoto viene allontanato come azoto gassoso.

Attualmente le soluzioni maggiormente diffuse per il trattamento dei reflui solidi consistono nel trattamento distruttivo di combustione e nei trattamenti conservativi di stoccaggio, compostaggio / biostabilizzazione aerobia, a cui si possono aggiungere processi di rifinitura come la pellettizzazione. In aziende zootecniche di grandi dimensioni si usa la digestione anaerobica con produzione di biogas che viene poi impiegato per la produzione di energia elettrica e termica.

Gli effluenti liquidi sono trattati con sistemi conservativi (separazione solido/liquido (S/L), filtrazione su membrane, evaporazione sotto-vuoto, strippaggio, digestione anaerobica) o riduttivi (rimozione biologica dell’azoto).
Tra i metodi conservativi, solo la digestione anaerobica lascia invariata concentrazione di azoto e volume dell’effluente. Tutti gli altri processi conservativi ripartiscono l’azoto in due frazioni, di cui una a volume ridotto e a maggiore concentrazione in nutrienti. Questa frazione può essere utilizzata tal quale sui terreni (utilizzo agronomico diretto), oppure valorizzata, immettendola sul mercato come concime o ammendante organico (utilizzo agronomico indiretto); in entrambi i casi con il vantaggio di aver ridotto il volume e di conseguenza i costi di trasporto e distribuzione.

Esempio di processo conservativo Fonte: ERSAV

Nei processi riduttivi, in generale, si trasforma l’azoto in azoto molecolare gassoso, lasciando invariato il volume dell’effluente.

Esempio di processo riduttivo con estrazione dell’azoto via strippaggio dell’ammoniaca. Fonte:ERSAV

La riduzione del fosforo contenuto negli effluenti zootecnici può invece avvenire unicamente nella frazione solida separata, a volume ridotto.

Una tecnica sviluppata in un progetto portato avanti dall’Università di Padova, Dipartimento per il Territorio e Sistemi Agro-Forestali TESAV, è quella dell’evaporazione sotto vuoto del digestato.
Il meccanismo prevede una digestione anaerobica del refluo. L’energia liberata nel processo di autoconsumo viene impiegata per il successivo riscaldamento in fase di evaporazione sotto vuoto. L’evaporazione comporta il riscaldamento del liquido all’interno di una caldaia a cui viene applicato il vuoto. L’applicazione del vuoto artificiale permette di evaporare il liquido ad una temperatura più bassa, ovvero a circa 37°C al posto di 100°C.


Evaporatore sotto vuoto sviluppato dall’Università di Padova in collaborazione con Saita

Le sperimentazioni effettuate hanno messo in evidenza che con l’evaporatore è possibile ottenere un concentrato al 10-14% di secco, con una riduzione volumetrica del 50-60%. L’evaporatore ottimale ha una tipologia a parete raschiata. Il concentrato ottenuto ha come destinazione finale primaria la distribuzione agronomica, ma grazie al volume ridotto, può essere trasportato anche a distanze maggiori dal centro aziendale a condizioni economiche accettabili; tuttavia, grazie alle elevate concentrazioni in nutrienti, si presta ad essere valorizzato nell’industria dei fertilizzanti.

Il distillato presenta una concentrazione di azoto di circa 2700mg/l e in gran parte in forma ammoniacale, con solidi (sospesi e totali) e fosforo solo in tracce. A causa della alta concentrazione in azoto ammoniacale, il distillato non è direttamente scaricabile né in acque superficiali né in fognatura. Bisogna quindi prevedere un ulteriore trattamento che comporti un’ulteriore separazione tra un liquido concentrato in sali d’ammonio valorizzabile nell’industria dei fertilizzanti e un liquido a basso contenuto di azoto scaricabile in modo da ridurre il costo di stoccaggio e di trasporto per la distribuzione agronomica.


 

Fonte: Tesi di dottorato Clelia Rumor
 


La sperimentazione dell’Università di Padova, è iniziata nell’ambito del progetto Metadistretto della zootecnia del Veneto, e quindi ha proseguito con il Progetto RiduCaReflui, promosso dalla Regione Veneto. A sperimentazione terminata, le prove si stanno portando avanti su un impianto pilota in collaborazione con la ditta Saita srl e potrebbero essere commercializzate a breve.