6.3. La fertilizzazione fogliare

Una ricerca spagnola condotta da alcuni ricercatori dell’Università di Alcalà e del Politecnico di Madrid e pubblicata sulla rivista Environmental and Experimental Botany ha provato come sia possibile effettuare efficacemente la fertilizzazione fogliare. Questo metodo di fertilizzazione viene applicato direttamente sulle foglie e serve da complemento al metodo di fertilizzazione tradizionale (via apparato radicale). Le piante cresciute impiegando questo metodo risultano essere di alta qualità e particolarmente idonee per la forestazione.

Lo studio ha preso in esame quattro diversi fertilizzanti a base di azoto (urea, nitrati, ammonio e glicina) e due specie mediterranee usate in genere nella reintegrazione boschiva: il leccio (Quercus ilex L.) e il pino d’Aleppo (Pinus halepensis Mill.). Negli esperimenti si è provveduto ad effettuare la fertilizzazione direttamente sulle foglie.
L’alimentazione fogliare è usata in agricoltura per avere un controllo rapido e preciso della nutrizione della pianta. Questa tecnica, però, non era mai stata testata su questo tipo di piante e sui boschi.
Per poter studiare l’effetto e l’efficacia nell’adsorbimento di ciascun fertilizzante, i ricercatori hanno impiegato fertilizzanti marchiati con l’isotopo stabile dell’azoto, e quindi hanno analizzato il comportamento di entrambe le specie arboree.

 Fasi della ricerca di fertilizzazione fogliare

Dai risultati ottenuti, i ricercatori hanno osservato che l’urea ha il miglior quoziente di assorbimento, seguita da ammoniaca, glicina e quindi nitrati. Queste differenze tra i quattro fertilizzanti si possono spiegare attraverso un’analisi delle proprietà fisico-chimiche di ciascuno di essi, in particolare la differenza tra loro in polarità, igroscopicità e solubilità.

Tra le due specie arboree si è visto un adsorbimento fogliare maggiore per il leccio rispetto al pino. Anche in questo caso, la differenza di comportamento è spiegabile attraverso le diverse proprietà anatomiche a livello fogliare quali, ad esempio, la densità degli stomi.
I ricercatori hanno inoltre evidenziato che, all’interno in ciascuna specie, esiste una correlazione tra la permeabilità cuticolare e l’adsorbimento fogliare, e questa relazione può variare a seconda del tipo di fertilizzante impiegato.
Interessanti sono anche i dati ottenuti con l’impiego della fonte organica di azoto (la glicina). Al momento, infatti, non ci sono molti dati in letteratura a questo proposito.

I risultati ottenuti evidenziano come la fertilizzazione fogliare porti ad un aumento del contenuto di azoto nella pianta, sia del leccio come nel pino. Tutti i prodotti impiegati hanno riportato un risultato positivo. L’analisi dettagliata dei risultati mostra due aspetti molto importanti:

  • l’urea risulta essere il fertilizzante più efficiente
  • entrambe le specie studiate possono adsorbire la glicina intatta per via fogliare.

Inoltre, le differenze osservate sulla velocità di adsorbimento tra le due specie consente ai ricercatori di sviluppare dei modelli per poter prevedere il comportamento di altre specie arboree.
Questo metodo di fertilizzazione risulta essere uno strumento efficace per completare il regime di fertilizzazione soprattutto in presenza di suoli poveri di nutrienti o aridi. Le specie arboree così trattate presentano un miglioramento qualitativo.
Questo tipo di fertilizzazione può trovare largo impiego nei vivai, nelle aree boschive e in zone in cui l’adsorbimento per via radicale risulta difficile. 

 

6.2.1. La nuova normativa sul digestato

La digestione anaerobica è assimilabile ad una biotecnologia in quanto determina delle modificazioni chimico fisiche del refluo/ ingestato e può essere impiagata per produrre energia rinnovabilee fertilizzanti. Il processo è virtuoso in quanto da rifiuti che devono essere smaltiti si  arriva a fertilizzanti utilizzabili in agricoltura consentendo una forte sostenibilità economica e ambientale.

Tuttavia la normativa sui nitrati ha posto delle limitazioni al riutilizzo dei reflui zootecnici in agricoltura, ma il decreto di dicembre 2014 con il riconoscimento di un valore fertilizzante per una parte di digestato apre la porta a nuove possibilità future ed ad un utilizzo virtuoso dei reflui zootecnici.

 

6.2. Progetto LIFE+ RESAFE

Il progetto Life+ RESAFE ha come obiettivo principale il determinare uso di un innovativo fertilizzante che consentirà di ridurre l’impiego di fertilizzanti chimici e minerali in agricoltura, dal momento che i nutrienti necessari per l’azione fertilizzante saranno ottenuti in maniera naturale dai rifiuti organici urbani (UOW), residui organici agricoli (FOR) e dal bio-char grazie all’impiego di una complessa miscela enzimatica.

L’uso di ognuno di questi tre componenti ha un valore ambientale significativo:

  • UOW è prodotto in maniera costante da tutte le attività umane, il che lo rende una fonte di nutrienti ecologica e di qualità. Il suo uso consentirà di diminuire la quantità di rifiuti destinati alle discariche.
  • FOR presenta le stesse caratteristiche e il suo smaltimento, essendo complesso e costoso, rappresenta spesso un problema per gli agricoltori europei.
  • bio-char è un carbone di legna ottenuto dalla pirolisi della biomassa.

L’utilizzo del bio-char può ridurre in maniera consistente l’impatto globale del settore agricolo: quando usato come componente fertilizzante migliora la qualità dell’acqua, accresce la fertilità del suolo e aumenta la produttività agricola. Per queste ragioni il bio-char favorisce in maniera significativa la crescita delle piante e aumenta l’efficacia dei fertilizzanti a base di azoto. Inoltre i suoli arricchiti con il bio-char presentano migliori caratteristiche chimiche (porosità e grandezza delle particelle), maggiore fertilità e produttività e possono supportare una produzione agricola più consistente.

Bio-Char (Crediti immagine: KisOrganics)

Il principale fattore limitante ad un largo uso di fertilizzanti organici è spesso legato ad un uso incorretto dei materiali grezzi che determina una scarsa qualità del prodotto finale. RESAFE è nato proprio con lo scopo di migliorare tutta la catena di produzione, cominciando dal trattamento separato del UOW, FOR e Bio-char.

Il progetto vuole arrivare alla produzione di un fertilizzante caratterizzato da una ridotta salinità, basato su rifiuti organici urbani, bio-char e residui organici agricoli, per rimpiazzare i fertilizzanti chimici e minerali. Inoltre il nuovo prodotto dovrebbe accrescere il potenziale del suolo di contrastare l’azione dei patogeni.

Il progetto LIFE+ RESAFE studia la realtà locale per potersi meglio inserire e offrire pertanto delle soluzioni altamente sostenibili. Vengono quindi analizzate le sostanze organiche di scarto presenti nel contesto territoriale, quali rifiuti urbani, rifiuti derivanti da attività agricole e allevamenti, e biochar (residui della combustione di legno in impianti di produzione di energia elettrica) per poi arrivare alla progettazione di un percorso di produzione di fertilizzanti.

Il processo di compostaggio studiato in collaborazione con diversi enti universitari permette di massimizzare la ritenzione di azoto nel concime, di migliorare le caratteristiche igienico-sanitario del fertilizzante e di ottimizzare l’efficacia sul suolo.