3.3. L’agricoltura urbana

Una delle soluzioni per fronteggiare la scarsa disponibilità futura di suolo ad uso agricolo e la crescente domanda di prodotti agricoli di qualità è la creazione di fattorie verticali o fattorie indoor. Queste fattorie hanno il pregio di occupare poco spazio e di potersi sviluppare in edifici creati appositamente o ricavati da altri già esistenti e magari in attuale stato di abbandono. Fattore importante è la possibilità di creare tali strutture anche all’interno delle città, con un impatto positivo sull’ambiente perché si può produrre e distribuire i prodotti direttamente là dove c’è maggior richiesta, i luoghi maggiormente popolati.

L’agricoltura urbana porta a innovazioni sia a piccola che a grande scale. Infatti, partendo proprio dal funzionamento delle strutture esistenti, si stanno studiando nuovi modelli che prevedono un investimento iniziale minore e la possibilità di espansione negli anni. I benefici riguardano pure la possibilità di affrontare la scarsità alimentare a livello mondiale, il riavvicinamento dell’uomo alla natura, la vivibilità delle città stesse.

Attualmente esistono parecchi progetti funzionanti. Diversi, innovativi, sono nella vicina Svizzera, mentre in Asia e negli Stati Uniti sono nati altri progetti, basilari per altre innovazioni possibili su larga scala.

.Alcuni esempi di agricoltura ubana in funzione sono:

  • Urban Farmers a Basilea (Svizzera). Questo progetto è attivo dal 2012 e consiste nella realizzazione di una serra funzionante con un sistema acquaponico. 

La serra, costruita sul tetto della stazione merci di Dreispitz, è collegata ad un allevamento di pesci. Le sostanze di scarto dei pesci servono per concimare le piante e le radici depurano l’acqua delle vasche. In questo modo il sistema risulta a ciclo chiuso. Il progetto è stato riprodotto a Berlino e Zurigo.


  • A Suwon (Corea del Sud) il professore Choi Kyu Hong ha realizzato una fattoria verticale urbana. Si tratta di uno stabile di tre piani con pannelli solari sul tetto per fornire l’energia necessaria al sistema.

Questo orto non necessita di terreno ma solo di energia. 


A San Diego, Mark DeMitchell e Mike Tarzian hanno inventato un sistema di orto idroponico in verticale. Si tratta di una struttura in legno intorno a cui vengono fissati per formare una serpentina dei tubi in pvc provvisti di buchi per porre a dimora le piantine

L’acqua per innaffiare l’orto scorre all’interno della serpentina e rientra in un sistema di riciclo e riutilizzo. Questa attenzione permette di risparmiare circa l’80% di acqua rispetto a un’aiuola coltivata in modo tradizionale.

  • A Singapore, il progetto Sky Green è un esempio di agricoltura urbana verticale a basse emissioni di carbonio con un impiego minimo di terra e di risorse idriche ed energetiche.

Una delle particolarità di questo sistema consiste nella rotazione alla velocità di un millimetro al secondo della serra per consentire l’illuminazione solare di tutte le piante. Questo sistema in un futuro potrebbe arrivare a sopperire fino al 10% del fabbisogno orticolo di Singapore.
 


Altre innovazioni si fanno avanti con alcuni prototipi fruibili su larga scala ed altri invece che coinvolgono direttamente il singolo cittadino e il proprio balcone. Tra queste citiamo:

  • Peperoncini in verticale e i fiori commestibili salva-ambiente, lanciati dall’azienda Carmazzi di Torre del Lago (LU) al Forum della Green Economy organizzato dalla Coldiretti Toscana a giugno scorso. L’azienda ha sviluppato una tecnica di "muri verticali" adatti ad ogni ambiente, dal balcone alla finestra, dove poter coltivare i peperoncini, ortaggi e fiori.
  • Lo Studio OVA (Hong Kong) propone una versione modulare di serre verticali. La struttura base è composta da un modulo di calcestruzzo inserito all’interno di un grande telaio di acciaio. Si andrebbe poi a creare una griglia contenente diverse celle aperte dove container attrezzati potrebbero introdursi per fornire tutti i servizi necessari, a seconda delle esigenze.
     

Lo Studio OVA (Hong Kong) propone una versione modulare di serre verticali. La struttura base è composta da un modulo di calcestruzzo inserito all’interno di un grande telaio di acciaio. Si andrebbe poi a creare una griglia contenente diverse celle aperte dove container attrezzati potrebbero introdursi per fornire tutti i servizi necessari, a seconda delle esigenze.

Il vantaggio di questo prototipo sta nella sua la struttura modulare, che gli permette di adattarsi a luoghi e alla disponibilità economica (si possono prevedere espansioni in momenti successivi).


Infine, la Svizzera si fa protagonista con progetti che mirano ad educare sia il consumatore sia il ristoratore. Particolarmente interessante è il progetto Beelong che ha permesso la creazione di una etichetta, del tipo di quella che siamo già abituati a vedere per il consumo energetico, che indica la sostenibilità dei menù dei ristoranti. L’etichetta tiene conto di diversi criteri: provenienza degli alimenti, modo di produzione, stagionalità, grado di trasformazione, emissioni di CO2. Il bilancio totale è riassunto in una lettera, dalla A alla G. Si fornisce così una rapida ed efficace informazione sul bilancio ecologico di ciascun ingrediente e il  ristoratore può adattare il menu magari sostituendo alcuni piatti o semplicemente qualche ingrediente. La fase pilota terminerà a fine anno 2014.


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3.2.2. Jellyfish Barge: una serra galleggiante completamente sostenibile

Un team tutto italiano, che comprende anche botanici e architetti, ha trovato una soluzione innovativa creando una serra agricola galleggiante denominata: Jellyfish Barge.

che è prodotta da Pnat srl, società spin-off dell’Università di Firenze, coordinata da Stefano Mancuso, direttore del Laboratorio Internazionale di Neurobiologia Vegetale (LINV) dell’Università di Firenze; vi fanno parte anche alcuni ricercatori del LINV e due architetti di Studiomobile.
Il prototipo funzionante, realizzato dal LINV (Università di Firenze) grazie al contributo della Fondazione Ente Cassa di Risparmio di Firenze e della Regione Toscana, è installato nel canale Navicelli, tra Pisa e Livorno ed è stato inaugurato venerdì 31 ottobre 2014.

Fonte: Matteo de Mayda

Pensata per comunità vulnerabili alla scarsità di acqua e di cibo, la Jellyfish Barge è costruita con tecnologie semplici e con materiali riciclati e a basso costo.


Innanzitutto, Jellyfish Barge è una serra modulare costruita su piattaforma galleggiante in grado di garantire sicurezza idrica e alimentare fornendo acqua e cibo senza pesare sulle risorse esistenti. La struttura impiega materiali a basso costo, assemblati con tecnologie semplici e facilmente realizzabili, ed è così composta:

  • un basamento in legno di circa 70 mq che galleggia su dei fusti in plastica riciclati;
  • una serra in vetro sorretta da una struttura in legno.

L’acqua dolce viene fornita da dei dissalatori solari disposti lungo il perimetro. Questi sono in grado di produrre fino a 150 litri al giorno di acqua dolce e pulita da acqua salata, salmastra o inquinata. La distillazione solare è un fenomeno naturale: nei mari, l’energia del sole fa evaporare l’acqua, che poi ricade come acqua piovana. In Jellyfish Barge il sistema di dissalazione replica questo fenomeno naturale in piccola scala, risucchiando l’aria umida e facendola condensare in dei fusti a contatto con la superficie fredda del mare.
La poca energia necessaria a far funzionare le ventole e le pompe viene fornita da sistemi che sfruttano le energie rinnovabili, integrati nella struttura.
La serra incorpora un innovativo sistema di coltivazione idroponica che consente un risparmio di acqua fino al 70% rispetto alle culture tradizionali, grazie anche al riuso continuo dell’acqua.
Jellyfish Barge in più utilizza circa il 15% di acqua di mare che viene mescolata con l’acqua distillata, garantendo un’efficienza idrica ancora maggiore.
Il complesso funzionamento del sistema colturale è garantito da un impianto di automazione con monitoraggio e controllo remoto.


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3.2.1. Gli “Orti di Nemo” in Liguria

Il progetto battezzato "l’Orto di Nemo" ha portato alla costruzione di un piccolo orto subacqueo a circa otto – dieci metri di profondità davanti alle coste di Noli, a non più di un centinaio di metri dalla linea di costa.

Due biosfere, due piccole serre subacquee ancorate sul fondale sabbioso del ponente ligure sono state il campo di prova di questo progetto sperimentale sviluppato con grande successo durante tutta l’estate. I molti dettagli attentamente curati si sono rivelati vincenti, aprendo le porte a nuove e affascinanti possibilità. A partire dagli ancoraggi al fondo, che sono simili a delle grosse viti avviate nella sabbia fin sotto il primo strato molto mobile, questo ha evitato quindi di introdurre in ambiente materiale estraneo e potenzialmente disperdibile come blocchi di calcestruzzo, riducendo così anche l’impatto ambientale della struttura che nel suo complesso era comunque di dimensioni ridotte, completamente amovibile e sprovvista di vernici o coperture capaci di contaminare le acque circostanti.

Le due biosfere in materiale vinilico trasparente avevano:

  • un volume di circa 800litri;
  • una struttura flessibile che era in grado di movimenti del mare con piccole fluttuazioni;
  • possedevano dei piani d’appoggio per consentire l’appoggio degli attrezzi dei moderni "contadini subacquei" e dei contenitori del terreno;
  • una base basculante per permettere al subacqueo agricolo di mettersi in piedi per svolgere i vari lavori all’interno della biosfera;
  • una valvola di sovra-pressione per consentire lo sfogo dell’aria che si trovava in eccesso quando, lavorando, si respirava nella biosfera.

I contenitori impiegati erano tutti a tenuta stagna e sono stati aperti direttamente dentro le biosfere, per evitare contaminazione con acqua salata durante il loro trasporto.
La semina è avvenuta direttamente dentro alla biosfera impiegando semi locali.
L’aria atmosferica intrappolata al momento dell’immersione della biosfera si è arricchita di vapore grazie alla trasparenza della biosfera, che alla profondità di posa era bene illuminata e quindi ha innescato un "ciclo dell’acqua" in miniatura: il sole ha scaldato la superficie dell’acqua che lambisce il fondo della biosfera, questo ha portato a fare evaporare l’acqua, l’acqua evaporata si è accumulata nell’aria della biosfera condensando sul terreno e tenendolo così sempre umido.
In tre giorni sono spuntati i primi germogli di basilico e la reazione di fotosintesi clorofilliana portata avanti da queste piante ha contribuito a regolare l’atmosfera all’interno della biosfera, assorbendo anidride carbonica e rilasciando ossigeno mentre i piccoli germogli crescevano. 

Una delle due biosfera è stata irrimediabilmente danneggiata da una mareggiata, ma ha dato l’opportunità di verificare che le grosse viti di ancoraggio non hanno recato danni al fondale. Infatti, la struttura flessibile della biosfera le ha permesso non rompersi ma bensì di oscillare fino al punto di allagarsi e dopo la mareggiata si è potuto recuperare completamente il materiale, evitando una dispersione di rifiuti in mare.

Nella biosfera che invece ha retto alla mareggiata i numeri sono fondamentalmente questi:

  • 62 giorni di operatività subacquea
  • 48 ore è il tempo passato dalla semina alla germinazione delle prime piantine
  • 52 i giorni passati dalla semina al primo raccolto
  • 85% è stato il tasso medio di umidità nelle biosfere, che quindi erano pressoché sature di umidità;
  • 20% è stato il tasso di illuminazione (rispetto all’illuminazione atmosferica) medio rilevato all’interno delle biosfere
  • 12  le persone coinvolte nel progetto.

Il raccolto è stato oggetto di analisi e confronti con delle semine fatte contestualmente a terra, e i primi dati ottenuti sono interessanti ma ancora in fase di valutazione.
I risultati analitici hanno messo in evidenza al momento i seguenti dati:

  • una freschezza e corposità aromatica sia dell’olio essenziale sia dello “spazio di testa”;
  • il contenuto in Alfa bergamottene in media con i valori tipici del basilico ligure;
  • il contenuto di Metil‐4‐Metoxy‐Cinnammato in quantità significativamente elevate rispetto sia ai campioni “test” coltivati al suolo sia ai valori medi del basilico normalmente coltivato nel bacino del Mediterraneo.

Fattori decisamente favorevoli per lo sviluppo del progetto sono stati la stabilità termica all’interno della serra e l’impossibilità per parassiti terricoli di arrivare a colpire queste colture.
L’implementazione di coltivazioni di tipo idroponico potrebbero far ulteriormente evolvere il progetto riducendo il quantitativo di terriccio necessario, materiale estraneo all’ambienta acquatico, e di conseguenza possibili inquinanti/contaminanti presenti nel terriccio.

Il campo di sperimentazione subacquea è stato costantemente monitorato da un innovativo sistema di videocomunicazione subacquea che consente un controllo video costante. Inoltre, un nuovo sistema di comunicazione "wi fi" ad ultrasuoni ha permesso ai coltivatori subacquei di comunicare tra di loro e con la superficie grazie a maschere subacquee "granfacciali" munite di microfoni e auricolari.
Al progetto ancora in fase di sperimentazione è interessata l’Arabia Saudita.