5.2.2. Controllo biologico dei parassiti nelle serre

Il controllo biologico dei parassiti nelle serre generalmente si basa sul rilascio periodico di nemici naturali di produzione commerciale; tale metodo si è dimostrato efficace per decenni. Tuttavia, in alcuni casi si incontrano difficoltà nell’efficacia del controllo dei parassiti, che possono essere attribuite alla scarsità numerica di nemici naturali. Questi problemi derivano dalla diminuzione della colonia di nemici naturali con il diminuire della parassita combattuto, in particolare quando il nemico naturale è molto selettivo. È necessario, di conseguenza, ricorrere a rilasci successivi con associato aumento dei costi.

Ricercatori di diversi istituti europei, tra i quali, per l’Italia, l’Università di Torino, hanno pubblicato in modo congiunto su Biocontrol di maggio 2014 i risultati delle loro ricerche sui metodi esistenti per il controllo biologico nelle serre, individuandone i punti deboli, i miglioramenti applicabili fin da subito e delineando le linee di ricerca per i progetti futuri.

Il maggior problema del controllo biologico nelle coltivazioni in serra è stata individuato nella necessità di rilasci successivi di predatori naturali. Questa esigenza è dovuta a due fattori principali:

  • l’impiego di predatori efficaci ma troppo selettivi;
  • la percezione e l’uso dei predatori, nemici naturali, alla stregua di bio-pesticidi, senza tenere conto che sono organismi viventi e quindi reagiscono alle condizioni ambientali e di alimentazione, modificando il proprio comportamento.

Per ovviare al primo problema, i ricercatori propongono di ricorrere all’impiego di predatori generici. I predatori generici sono sicuramente meno efficaci e veloci di quelli selettivi, ma offrono il vantaggio di sopravvivere ai parassiti, avendo un’alimentazione più aria, e ne prevengono la ricrescita, stabilendo quindi un regime di controllo biologico conservativo.
L’impiego dei predatori generici è già diffuso in pieno campo, dove è possibile dedicare le cosiddette fasce di rispetto, aree al bordo delle coltivazioni, quali ad esempio filari di specie da fiore alla creazione di habitat idonei per la proliferazione di predatori generici. In serra tale soluzione risulta più difficile soprattutto per l’alto valore del terreno coperto e per il costo di mantenimento. Tuttavia, l’impiego di parassiti generici è una strada consigliabile soprattutto in alcuni specifici casi.
Affinché i predatori generici possano sopravvivere bisogna fornir loro condizioni ambientali favorevoli. Queste condizioni comprendono la disponibilità di risorse alimentari alternative sfruttabili in assenza del parassita da aggredire, oltre a posti per la deposizione delle uova, rifugi per gli adulti, clima idoneo alla proliferazione in serra e limitazione degli effetti collaterali di fitofarmaci.
In alcuni casi la coltura in atto in serra stessa è in grado di fornire tali risorse, ma sono più numerose le colture che non sono in grado di fornire autonomamente risorse addizionali.
La soluzione adottata per il controllo biologico conservativo in pieno campo non è economicamente vantaggiosa all’interno delle serre, pertanto proprio questo è uno dei punti chiave su cui i ricercatori intendono focalizzare le proprie ricerche future.

Monitoraggio all’interno di una serra
Crediti immagine: Hawkweed Biocontrol Consortium

Il secondo problema invece, necessita di un approccio differente. Infatti, la ricerca ha evidenziato come troppo spesso i coltivatori considerino e impieghino i predatori naturali come impiegherebbero bio-pesticidi, quindi non tenendo in dovuta considerazione che sono degli organismi viventi e che, come tali, necessitano di risorse e condizioni specifiche per sopravvivere e riprodursi.

5.2.1 Biocontrollo delle cimici

I ricercatori del Servizio di Ricerca Scientifica (Agricultural Research Service – ARS) del Dipartimento dell’Agricoltura Americano (USDA) sono riusciti a isolare, decodificare e quindi sintetizzare i segnali chimici di richiamo della cimice (Halyomorpha halys).

Cimice Halyomorpha halys
Crediti immagine: Donald H. Gudehus

La scoperta è di notevole valore scientifico in quanto apre la strada alla possibilità di creare trappole veramente efficienti ed efficaci contro questo insetto che provoca danni ingenti a moltissime colture. La cimice, infatti, è un insetto di origine asiatica che si è diffuso in moltissime regioni. Ha una dieta molto varia, infatti al momento si contano ben 300 piante diverse che possono subire l’attacco della cimice. Oltre al fastidio che può provocare all’interno di abitazioni e giardini, a subire danni ingenti sono soprattutto le colture di mele, pesche, mais e soia.
Per riuscire a trovare il ferormone giusto, i ricercatori hanno analizzato i componenti dell’aria emessa dalla cimice. Tra tutti i composti analizzati, hanno potuto notare che c’erano due ferormoni particolarmente interessanti e che venivano emessi solo dai maschi adulti.
Questi due ferormoni sono stati identificati, caratterizzati e quindi riprodotti in laboratorio. Successivamente questi composti sono stati testati come agenti attrattivi e visto i risultati promettenti, i ricercatori hanno proceduto con la creazione di trappole contenenti al loro interno i due ferormoni. Sono state testate trappole contenenti i due composti da soli, come pure trappole contenti miscele dei due ferormoni.
I risultati ottenuti hanno dimostrato che in effetti i ferormoni individuati possiedono delle forti capacità attrattive verso altre cimici senza far differenza di sesso o stato di maturazione dell’insetto. Infatti attraggono indistintamente maschi, femmine e ninfe.
Dalla conta degli esemplari catturati emerge inoltre che i richiami sono più efficaci quando i due ferormoni sono miscelati tra loro rispetto a quando sono impiegati singolarmente.

 Struttura chimica del ferormone di aggregazione della cimice
Crediti immagine: Journal of Natural Products

Questa scoperta risulta di particolare rilievo vista la comprovata inefficace azione delle trappole finora in commercio. 

5.2. Casi pratici di biocontrollo

Il controllo biologico consiste nell’utilizzare una specie – solitamente un parassita, un predatore o un agente patogeno – per limitare il raggio d’azione di un’altra specie problematica. Lo scopo non è distruggere o eradicare la specie bersaglio ma ridurne l’impatto ecologico e economico in modo che non rappresenti più un problema. Il nemico naturale del pesticida bersaglio è noto come agente di controllo biologico (BCA).