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Abstract e Global warming...

Verso la biofissazione della CO2

Opportunotà della biofissazione della CO2…

Un'applicazione per le aree densamente popolate: il BioBosco Urbano

Le note

Note

 


[1] In effetti, dai tempi della rivoluzione industriale (ovvero dal 1860, anche perché corrisponde ad una datazione a partire dalla quale sono disponibili dati attendibili) la temperatura media della Terra è aumentata di 0,6°C e, in termini di durata e di ampiezza del fenomeno, il riscaldamento durante il 1900 sembra essere stato il più importante negli ultimi mille anni.

[2] Come enfatizzato e amplificato dai mass-media occidentali, il persistente e intenso impiego di fonti primarie d’origine fossile sono riconosciuti quali fenomeni principalmente responsabili dell’insostenibilità dell’attuale sistema energetico e dello stesso global warming

[3] L'aumento della concentrazione di GHG sta causando drammatici cambiamenti climatici (aumento della temperatura, cambiamenti nella distribuzione, intensità e andamento delle precipitazioni, innalzamento del livello del mare, inondazioni, siccità e aumento dei fenomeni climatici estremi) a causa di noto fenomeno global warming. La temperatura del pianeta è aumentata di 0,85°C dal 1880 al 2012 ed è stato previsto che entro la fine di questo secolo si assisterà a un aumento di 1,4-5,8°C. La concentrazione di CO2, il più importante GHG e il maggior contributore al riscaldamento globale, ha raggiunto livelli formidabili. Corrispondente a un aumento del 32%, da circa 280 ppm a 400 ppm, dalla rivoluzione industriale. Le cause principali sono l'uso irrazionale dei combustibili fossili e il cambiamento nel modello di utilizzo del suolo. Non solo il riscaldamento globale, l'aumento della concentrazione di CO2 nell'atmosfera ha anche portato ad un aumento del 30% dell'acidità degli oceani, che a sua volta sta influenzando negativamente la biodiversità.

[4] L’effetto serra è un fenomeno naturale, determinato dalla capacità dell’atmosfera di trattenere, sotto forma di calore, parte dell’energia che proviene dal Sole; ciò è dovuto alla presenza nell’atmosfera di alcuni gas, detti “gas serra”, che “intrappolano” la radiazione termica che viene emessa dalla superficie terrestre riscaldata dal Sole.

[5] La concentrazione del protossido di azoto è cresciuta moltissimo negli ultimi decenni, passando da 275 ppb del periodo pre-industriale ai 312 ppb del 1994. La maggior parte del protossido di azoto in atmosfera deriva da processi microbiologici. Nei terreni e nelle acque, le maggiori fonti di emissione di N2O sono i processi di nitrificazione e denitrificazione, quest'ultimo è il principale responsabile delle emissioni di N2O in ambienti sotterranei. Si sono osservati anche fenomeni di assorbimento del protossido di azoto da parte degli oceani, ma ad oggi la conoscenza su come il suolo e i sistemi marini fungano da pozzi di assorbimento per questo gas è troppo ridotta per considerare la loro importanza su scala globale

[6] Nel 1987, siglando il Protocollo di Montréal, le nazioni del mondo hanno stretto un accordo per ridurre drasticamente l'uso di questi gas perché considerati lesivi dell'ozono atmosferico. I CFC sono stati in gran parte sostituiti dagli HCFC, meno dannosi per l'ozono ma comunque nocivi per l'effetto serra poiché contribuiscono al riscaldamento globale. Così mentre la concentrazione di CFC diminuisce, quella degli altri gas aumenta. Oltre ad essere molto potenti, questi gas permangono in aria per periodi molto lunghi, fino a 400 anni

[7] E’ opinione condivisa che la CO2 sia il principale gas ad effetto serra, per cui quando si parla di riduzione emissiva si fa sempre riferimento a valori espressi in termini di CO2eq (CO2 equivalente). Attenzione, però, se valutiamo l’indicatore di Global Warming Potential (GWP), non tutti i gas determinano lo stesso effetto serra, come illustra la tabella di seguito riportata. 

GHG

CO2

CH4 fossile

CH4

HFCs

PFC

SF6

N2O

NF3

GWP

1

30

28

4–12.400

6.630–11.100

23.500

265

16.100

Fonte: elaborazione su raccolta dati dell’autore.
Il GWP è una misura relativa di quanto calore intrappola nell’atmosfera una determinata massa di gas afferente al cluster GHG, in confronto al calore intrappolato dalla stessa massa di CO2.

[8] Il biossido di carbonio o anidride carbonica, CO2, è un gas normalmente presente nell’atmosfera che deriva dalla combustione di materiale organico in presenza di ossigeno. La CO2 viene inoltre prodotta da numerosi microrganismi attraverso la fermentazione e la respirazione cellulare. Le piante utilizzano la CO2 durante la fotosintesi, usando sia il carbonio che l’ossigeno per costruire i carboidrati. Inoltre, rilasciando ossigeno nell’atmosfera, e mettendolo a disposizione per la respirazione di organismi eterotrofi, formano a tutti gli effetti un ciclo. Il carbonio delle piante è detto ‘carbonio fissato’. Durante la decomposizione biologica dei tessuti vegetali, che avviene soprattutto in autunno e in inverno, il biossido di carbonio precedentemente utilizzato viene restituito. Si sospetta che la velocità della fotosintesi aumenti all’aumentare del livello di CO2 e della temperatura dell’aria e che la formazione di una massa maggiore di carbonio fissato rappresenti un’importante forma di deposito di questo gas. In effetti, l’aumento della biomassa delle foreste delle zone nordiche temperate potrebbe rappresentare la forma più efficiente di diminuzione ciclica della concentrazione di CO2. Infatti, le immissioni di CO2 collegate alle attività umane rappresentano solo il 4% della totalità del gas prodotto in natura; perciò, piccole variazioni dell’efficienza di fissazione del biossido di carbonio nella biomassa possono avere effetti rilevanti sulla quantità di CO2 residua che si accumula nell’atmosfera.

[9] L’attività di CCS è considerata una linea strategica importantissima nell’ambito della politica energetica europea afferente al Green New Deal, in quanto tecnologia della “transizione verso la decarbonizzazione”, che potrà contribuire a mitigare i cambiamenti climatici permettendo, secondo stime preliminari, la riduzione, entro il 2020, del 20% delle emissioni di gas ad effetto serra, rispetto ai livelli del 1990. La Commissione Europea, infatti, si è posta l’obiettivo di facilitare la realizzazione di impianti termoelettrici dotati di tecnologie di CCS geologico della CO2 emanando la direttiva 2009/31/CE quale nel “Pacchetto Clima – Energia”, con lo scopo di definire un quadro giuridico comune a livello europeo per lo stoccaggio geologico ambientalmente sicuro del biossido di carbonio, ovviamente allocando ingenti risorse per l’incentivazione ed il contributo pubblico in tale direzione. Al di là degli slogan, in questi campi all’ordine del giorno, si potrebbe dire: giusto e razionale

[10] In Europa ad oggi le nazioni che includono CCS nei loro programmi di decarbonizzazione, e quindi più attive nella promozione di CCS sono la Norvegia, Inghilterra e Olanda. Aree densamente industrializzate possono godere di infrastrutture condivise per il trasporto e lo stoccaggio della CO2(CCS clusters). CCS è particolarmente interessante per l’industria siderurgica, petrolifera e del cemento.

[11] CCS è una tecnologia necessaria per raggiungere gli obiettivi che si sono sottoscritti nei noti Accordi di Parigi. In effetti, senza CCS, i costi di aggiustamento alla strategia della transazione aumentano del 140% e la probabilità di stare sotto i 2°C è molto bassa, posto che 140 Gt/CO2 dovranno essere catturate da oggi al 2060 (I.E.A.) e, oggi, sono catturati circa 38 Mt annui

[12] È facile dimostrare che l'energia catturata dal complesso fotosintetico per la raccolta della luce (LHC) è 95% efficiente perché la struttura consente la coerenza quantistica per il trasferimento di energia tra i cromofori contenuti all'interno. La comprensione di tali processi offre molto per i progressi tecnologici di ispirazione biologica

[13] Per secoli molte aree montane e collinari sono state oggetto di deforestazione per creare spazio per l'agricoltura e il pascolo, anche se l'abbandono dell'agricoltura tradizionale di montagna ha prodotto un recupero naturale delle foreste in molte regioni del mondo. Tra i problemi ecologici causati dal rimboschimento naturale, uno di grande interesse è la riduzione degli spazi aperti con conseguente perdita di eterogeneità del paesaggio. Piantumare sic-et-simpliciter in modo non corretto può creare danni enormi agli ecosistemi, alle riserve di acqua, all’agricoltura e financo alle persone. Foreste artificiali (con una sola o con poche specie non autoctone) impoveriscono la biodiversità locale, trasfigurano interi ecosistemi e mettono a rischio le riserve idriche di intere regioni. Infine, piantumazioni massive di alberi in grandi terreni possono innescare addirittura una sorta di conflitto tra gli alberi e l’agricoltura, ovvero fra sostenibilità ambientale e sociale; ancora, piantumare nuovi alberi non deve distogliere l’attenzione da altre priorità come la protezione delle foreste esistenti, la conservazione e il ripristino di altri ecosistemi naturali

[14] Secondo un studio della cinese Nanjing University, questa capacità di assorbimento pare stia rallentando in maniera sensibile in questi anni, rispetto a quanto previsto dai modelli teorici, in ragione del degrado biologico forestale. Secondo l’ultimo studio di Nature Climate Change in Brasile, solo nell’ultimo decennio, la foresta Amazzonica ha rilasciato più CO2 di quanta ne abbia assorbita, emettendone nell’ultimo decennio 16,6 miliardi di tonnellate e assorbendone 13,9.

[15] Una GI è una rete strategicamente pianificata di aree naturali e semi-naturali che fornisce molteplici funzioni, servizi e benefici sulla stessa area spaziale, per migliorare il benessere umano e la qualità della vita nelle aree urbane, anche sfruttando le forze creative, protettive, di approvvigionamento e di adattamento della natura in modo efficiente in termini di costi, lavorando con la natura e non contro di essa

[16] Le microalghe sono microrganismi unicellulari a crescita rapida che sono in grado di dividere le proprie cellule entro 3-4 ore, ma per lo più si dividono ogni 1-2 giorni in condizioni di crescita favorevoli. Attraverso il processo di fotosintesi, la CO2 viene assorbita dalle cellule delle microalghe per supportare la loro crescita convertendo il carbonio in carboidrati e, successivamente, i carboidrati vengono utilizzati per costruire proteine, acidi nucleici e lipidi

[17] Il termine "microalghe" è generalmente utilizzato sia per le alghe blu-verdi procariotiche (cianobatteri) che per le microalghe eucariotiche, comprese le alghe verdi, le alghe rosse e le diatomee. Le microalghe sono ricercate come allettanti biofabbriche per il sequestro di CO2 e la produzione simultanea di biocarburanti rinnovabili, alimenti, mangimi per animali e acquacoltura e altri prodotti a valore aggiunto come cosmetici, nutraceutici, prodotti farmaceutici, biofertilizzanti, sostanze bioattive.

[18] I gas di combustione delle centrali elettriche a combustibili fossili hanno tipicamente elevate concentrazioni di CO2, che vanno dal 10% al 20%, e contengono anche quantità biologicamente significative di ossidi di azoto e zolfo (NOx e SOx). È stato dimostrato che l'iniezione di gas di scarico delle centrali elettriche negli impianti di coltivazione algale aumenta di tre volte la resa della biomassa algale.  E’ emblematicamente importante, a tal riprova, la sperimentazione effettuata a Venezia dalla locale azienda dei servizi ambientali, Veritas SpA, col  posizionamento all’interno di aree vicine alle ciminiere degli impianti di generazione d’energia elettrica e degli stabilimenti di Porto Marghera, cilindri alti all’incirca due metri di microalghe affinchè possano fissare la CO2. La fotosintesi è stata, poi, stimolata attraverso la luce del giorno e quella artificiale.

[19] Il “richiamo indotto” alla naturale fissazione della CO2 è messaggio potente anche nella cruciale e strategica funzione di “diffusione della cultura della sostenibilità”. Ciò è a tal punto importante da costituire un potenziale intangible asset comunicativo e di Green Marketing per molti operatori di attività e servizi focalizzati in aree urbane (fra i quali spiccano local Utilities, ecc…). 
 


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Verso la biofissazione della CO2

Opportunotà della biofissazione della CO2…

Un'applicazione per le aree densamente popolate: il BioBosco Urbano

Un’applicazione per le aree densamente popolate: il BioBosco Urbano

 


Un’importante e troppo spesso banalizzata questione concerne la concretizzazione delle strategie generali del rimboschimento, in particolare laddove si menzionano aree all’interno di città densamente popolate. Il concetto stesso di “Bosco Urbano” è un concetto complesso non sempre adeguatamente rappresentato, anzi sovente confuso con la nozione di verde urbano di solito associata, nella pianificazione, alla definizione quantitativa degli standard urbanistici. Alberi e popolamenti forestali nel continuum rurale-urbano possono certamente svolgere un ruolo peculiare di carattere ambientale, sociale, economico, specie in ragione dell’aumento della popolazione urbanizzata in Europa.
L’indubbia meritorietà del fine di potenziare la capacità di fissazione/assorbimento della CO2 delle essenze vegetali eventualmente piantumate pone un problema di razionalità ed efficacia. Le aree urbane sono tipicamente caratterizzate da scarsità di superfici libere e, quindi, da valorizzazioni elevate sul piano economico, determinando un elevato costo-opportunità della “CO2 urbana” fissabile nel processo fotosintetico.
Richiamando le indicazioni dello stesso Rapporto Brundtland (che enuncia per la prima volta il concetto di sviluppo sostenibile), laddove si indica nell’implementazione di nuove tecnologie in grado di efficientare al massimo l’impiego inevitabile di risorse naturali scarse, quali la qualità dell’aria, la ricerca applicata è già in grado di fornire indicazioni utili allo sviluppo razionale della ratio del rimboscamento a fini Carbon Capture in aree cittadine densamente popolate: la coltivazione di colonie microalgali in funzionali devices allo scopo progettati, nell’ambito di un arredo urbano green e complementare alla tradizionale piantumazione arborea.
Allo scopo, l'evoluzione del cosiddetto BioBosco Urbano punta alla diffusione di devices dedicati allo sfruttamento della proprietà delle microalghe, ivi contenute, di fissare la CO2 in ambiti urbani, ovvero in grado di fornire risposte al problema dell’inquinamento urbano. Il BioBosco Urbano, peraltro, si realizza impiegando materie prime sostenibili, e in grado di fissare la CO2 nelle aree urbane attraverso modalità ovviamente naturali ed efficienti, oltre ad avviare il percorso della circolarità alla biomassa prodotta.

La possibilità tecnologica di organizzare e sfruttare gli effetti derivanti dalla coltivazione stimolata e accelerata delle microalghe nelle aree urbane si pone costruttivamente a disposizione del pianificatore urbano votato ad obiettivi di sostenibilità locale, ovviamente laddove non è materialmente possibile piantare alberi per mancanza di spazio.
Poiché l'efficienza fotosintetica delle microalghe consente di fissare elevate quantità di C02 in un piccolo spazio e di valorizzare la biomassa prodotta, a mero titolo d’esempio si consideri l’opportunità derivante dall’introduzione di Technological Green Devices, quali la prototipizzata Pensilina Biotecnologica, strutturata attorno all’idea fondante della coltivazione di micro-alghe in aree urbane, di dimensioni standardizzate in 16 mq. Essa consentirebbe di fissare tanta CO2 quanto quella assorbibile, in media, da circa 80 alberi, risparmiando circa 1.650m2 di terreno, ovvero determinando il venir meno d’un costo collaterale di policy di piantumazione in aree cittadine, peraltro sovente semplicemente impossibile.

La biomassa algale prodotta dai devices di coltivazione microalgale nei cosiddetti “BioBoschi Urbani”, può razionalmente esser raccolta e re-impiegata nei settori alimentare, nutraceutico, cosmetico, ma anche agricolo, ad esempio, nel campo dei fertilizzanti agricoli, per la produzione biofertilizzanti agricoli, biofissazione della CO2 con produzione di oli vegetali (“distaccanti di processo”), facendo rientrare a pieno titolo tali devices nell’ambito dell’economia circolare sostenibile.  Si ritiene, quindi, che soluzioni technological based, quali l’esempio del “BioBosco Urbano”, rappresentino soluzioni corrette e razionali alle problematiche della riforestazione in aree urbane, poiché il rapporto fra spazio di un biobosco tecnologico e quello di un equivalente bosco naturale è circa di 1 a 200; inoltre, si determinino le seguenti concatenazioni logiche e motivazionali:

  1. l’urbanizzazione toglie spazi alla risposta naturale all’impatto antropico sulla qualità dell’aria (per il 60%, a causa del riscaldamento di abitazioni, negozi ed uffici);
  2. l’urbanizzazione concentra le emissioni di CO2 nei bassi strati della biosfera cittadina;
  3. la qualità dell’aria peggiora, diventando, ormai, una delle principali cause di morte e di spesa sanitaria indotta nelle aree metropolitane;
  4. il BioBosco urbano è in grado di fungere da “fissatore” di CO2 in aree cittadine prive di spazi significativi da adibire a Verde Pubblico Clima-Mitigante;
  5. il “BioBosco Urbano” potrebbe esser in grado di arrivare a fissare tanta CO2, in pochi mq e con l’opportunità di arricchire l’area di altri device ICT, quanto un boschetto di 70/90 alberi;
  6. l’introduzione e la diffusione di “BioBoschi Urbani” potrebbe perseguire sia l’obiettivo della mitigazione degli effetti negativi della concentrazione antropica in aree urbane, sia quello della diffusione della sensibilità e cultura della sostenibilità [19] in aree metropolitane.

 

È, infine, evidente anche il portato comunicativo e divulgativo dell’opzione tecnica illustrata nell’ambito di un più generale progetto politico di miglioramento degli indici ambientali, primo tra tutti la CO2 sequestrata per metro quadrato di territorio o meglio dire, la CO2 equivalente risparmiata rispetto ad iniziative paragonabili.

 

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