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Biocarburanti di seconda generazione. Arriva il sostegno della Commissione Europea

La Commissione Ambiente del Parlamento Europeo ha recentemente riconsiderato la posizione dei biofuel provenienti da colture alimentari. Tali biocarburanti, detti di prima generazione, di fatto potranno contribuire fino al 6% sul totale dei carburanti usati al 2020. Dai dati presi in esame dalla Commissione risulta che le coltivazioni di materie prime per biofuel hanno diversi effetti secondari negativi quali: una riduzione di cibo disponibile per l’umanità, un aumento del prezzo delle colture e, facendo un calcolo del ciclo di vita completo, una non evidente diminuzione delle emissioni di CO2.

A tale proposito, infatti, dal 2020 cambierà il modo di calcolare le emissioni di anidride carbonica: verrà incluso nel calcolo di impatto ambientale il “fattore Iluc” (Indirect Land Use Change) – effetti indiretti per cambio d’uso del terreno) ovvero l’impatto ambientale dovuto al cambio di destinazione d’uso della superficie agraria e la necessaria messa a coltura di altra superficie per la produzione alimentare. In questo modo si potrà misurare il contributo verde del biocarburante in maniera più realistica e lo si potrà meglio paragonare ai combustibili fossili tradizionali. In alcuni casi, infatti, il beneficio dei biocarburanti non è così elevato.
La Commissione Europea apre quindi verso i biocarburanti di seconda generazione, ovvero ricavati dagli scarti.

Il Prof. Lance Schideman, dell’università dell’Illinois, ha presentato a maggio scorso uno studio  sulla massimizzazione della produzione di bioenergia da scarti provenienti da itticoltura, lavorazione del mais, allevamenti di suini e di polli. Per ottenere un aumento della resa e della velocità di degradazione, agli scarti in fase di digestione anaerobica (rottura del materiale biodegradabile in assenza di ossigeno) è stato aggiunto del materiale recuperato dal trattamento delle acque di scarico civili.
Lo studio presenta una dettagliata analisi di costi, benefici e svantaggi e confronta il metodo di digestione semplice con il metodo innovativo presentato nello studio.
Si nota come il trattamento di digestione anaerobica con l’aggiunta di nutrienti comporti sicuramente un aumento di costi per il trattamento in sé, un impoverimento di nutrienti del materiale di partenza, quindi un minor apporto di nutrienti se gli scarti vengono reimpiegati in agricoltura, ma allo stesso tempo si ha una diminuzione della quantità di ammoniaca, composti organici e composti bioattivi che possono disperdersi nell’ambiente, un aumento di bioenergia recuperata con una diminuzione dei tempi di trasformazione.
Gli scarti agricoli, trattati con digestione anaerobica con l’aggiunta di materiale biologico, presentano una produzione di metano superiore del 20% ed una velocità di reazione aumentata del 40% rispetto al trattamento tradizionale.

L’impianto di digestione innovativo prevede alcune modifiche rispetto a quello tradizionale, ma di fondamentale importanza risulta anche l’impianto di depurazione delle acque di scarico civili da cui si ricava la materia organica (fanghi) necessaria da aggiungere durante la digestione anaerobica. Nello studio sono presi in esame solo gli impianti più “verdi” e innovativi, e viene dimostrato come gli impianti di depurazione a base di alghe conferiscano il risultato migliore sia per resa sia per abbattimento della carica batterica.
Lo studio prevede di andare oltre analizzando la digestione termochimica e la conversione di ammoniaca in azoto e idrogeno.

Per saperne di più:
North Central Regional Center for Rural Development (USA)

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