Cosa contiene il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici
di Francesco Suman
Un articolo di Francesco Suman pubblicato il 15 gennaio 2024 su Il Bo Live dell’Università di Padova
I dati rilasciati dal sistema di monitoraggio europeo Copernicus a inizio gennaio hanno confermato che il 2023 è stato l’anno più caldo che la civiltà umana abbia mai vissuto. Temperature più alte si sono esperite solo più di 125.000 anni fa. La media si è assestata a +1,48°C rispetto al periodo pre-industriale, ma pressoché tutta la seconda metà dell’anno ha superato 1,5°C, sforando addirittura i 2°C a metà novembre. Tutti i giorni dell’anno sono invece stati stabilmente al di sopra di 1°C: non era mai successo da quanto si monitora il clima.
Carlo Buontempo, direttore di Copernicus, ha commentato che “gli eventi estremi osservati negli ultimi mesi forniscono una testimonianza drammatica di quanto lontano siamo dal clima in cui la nostra civiltà si è sviluppata”. L’accordo di Parigi richiede agli Stati di ridurre le emissioni per restare al di sotto di 2°C, possibilmente 1,5°C, soglie oltre le quali il funzionamento di società ed ecosistemi verrebbe compromesso da un clima a cui semplicemente non sono adattati.
Secondo il World Economic Forum, i primi quattro posti dei maggiori rischi che il mondo corre nei prossimi 10 anni sono occupati da eventi meteorologici estremi, impatto del cambiamento climatico sul sistema Terra, perdita di biodiversità e collasso ecosistemico, carenza di risorse naturali. Ogni Paese dovrà fare la propria parte non solo per mitigare il riscaldamento globale, ma anche per adattarsi ai cambiamenti già avvenuti e ormai irreversibili.
Dopo anni di attesa, a inizio gennaio il Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica (Mase) ha approvato il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (Pnacc). Il testo è puntuale sull’analisi scientifica dell’andamento climatico in Italia, passato e futuro, ma non lo è altrettanto sul fronte operativo: in particolare mancano indicazioni precise sui fondi da destinare alle oltre 360 misure elencate.
Per questo occorrerà attendere l’attivazione della struttura di governance, l’Osservatorio nazionale sull’adattamento ai cambiamenti climatici, la cui nascita è prevista entro tre mesi dall’approvazione del Pnacc e che dovrà definire ruoli, responsabilità e priorità delle azioni, oltre ai finanziamenti che le supportano.
Sono tante, dettagliate e fortemente interconnesse tra loro le misure di adattamento di cui l’Italia ha bisogno. Città, trasporti, infrastrutture, patrimonio culturale, produzione energetica (specialmente quella idro e termoelettrica), agricola, ittica, turismo, salute, e ancora foreste, suolo, biodiversità, acque dolci e di mare: non c’è ambito che non venga interessato dai cambiamenti climatici e che dunque deve adattarsi.
“L’Italia, tra i paesi dell’Unione Europea, detiene il triste primato del valore economico delle perdite subite, tra i 74 e i 90 miliardi di euro negli ultimi 40 anni, e tra i 1500 e i 2000 euro pro capite” si legge nel Piano. A fronte di un aumento dei fenomeni meteorologici estremi come alluvioni e siccità che si affiancano agli impatti di lungo termine, con le sue caratteristiche morfologiche peculiari, 8.000 km di costa e una straordinaria biodiversità, l’Italia “rischia di pagare un prezzo altissimo in termini di capacità produttiva, perdita di Pil e di posti di lavoro”. Servono “azioni sistemiche”, riporta il documento, “maggiori incentivi, anche fiscali, per i sistemi di produzione innovativi, sostenibili ed a impatto climalterante ridotto”.
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