La biodiversità si può salvaguardare anche con le coltivazioni intensive
In generale, l’intensificazione dell’uso delle terre agricole è sempre stato considerato come un rischio per la biodiversità. Finora tutti gli studi condotti hanno considerato soltanto singoli organismi o piccoli gruppi, tuttavia, ogni specie può rispondere in modo diverso alla modalità di utilizzo del terreno, pertanto l’impatto totale sulla biodiversità da parte del tipo di coltivazione non è sempre chiaro. Inoltre, non sono mai stati prese in considerazione le variazioni temporali, come ad esempio le variazioni annuali della coltivazione. Questo fattore può avere un forte impatto sulla biodiversità come sostenuto da alcuni ricercatori dell’Università di Berna che hanno di recente pubblicato sul “Proceedings of the National Academy of Science” la loro ricerca.
I proff. Eric Allan e Markus Fisher hanno coordinato un gruppo di ricerca formato da 58 scienziati svizzeri e tedeschi impegnati a raccogliere dati sulla biodiversità in 150 siti sparsi in tre regioni con diverse tipologie di coltivazione: non intensiva, mediamente intensiva e molto intensiva con largo uso di fertilizzanti.
Sono stati studiati molteplici organismi, dai batteri ai funghi fino a piante e animali. I risultati raccolti sono stati inseriti in un unico database.
Gli organismi sono stati raggruppati in 49 gruppi tassonomici e per misurare la biodiversità totale dell’ecosistema è stato introdotto il concetto di “multidiversità”.
Dallo studio emerge che la multidiversità diminuisce moltissimo con l’aumento dell’intensità di coltivazione e questo è particolarmente vero per le specie rare, quali cavallette e farfalle. Tuttavia, i cambiamenti temporali nell’intensità di coltivazione comportano un aumento di multidiversità.
Questo apre a possibili soluzioni fattibili e attuabili dagli agricoltori per proteggere la biodiversità mantenendo alta la produzione.
Si è visto che la diversità delle specie rare in terreni coltivati in modo intensivo e statico è pari al 18% della diversità possibile massima, mentre cresce al 31% quando la coltivazione, anche se intensiva, subisce delle variazioni. Sono soprattutto le specie rare a beneficiare di un alto livello di variazione interannuale nell’intensità di coltivazione.
Le variazioni che si possono apportare negli anni sono molteplici e possono consistere in: tipo e quantità di bestiame da pascolo, tipo di pascolo, frequenza delle falciature/anno, tipo di fertilizzazione (kg (N)/ha).
Dato che gli organismi presenti sulla superficie del terreno sono in genere più sensibili alla coltivazione intensiva rispetto agli organismi del sottosuolo, l’effetto delle variazioni interannuali sull’intensità di coltivazione è diverso per i due ecosistemi. Diversamente reagiscono anche gli organismi più comuni ed abbondanti, in genere poco sensibili alle coltivazioni intensive, rispetto a quelli rari, maggiormente colpiti da una coltivazioni intensiva dato il bisogno di un habitat più specifico. Ovviamente, esistendo una stretta correlazione tra l’ecosistema superficiale e quello del sottosuolo, l’effetto della variazione dell’intensità di coltivazione anche se non ha gli stessi effetti diretti sui diversi habitat e organismi, stimola la capacità di creare delle nicchie che consentono a tutte le specie di coesistere stabilmente.
Dallo studio emerge che ditteri, funghi micorrizici e pipistrelli non subiscono una diminuzione di biodiversità, mentre alcune piante e licheni come pure alcuni ortotteri, aracnidi e lepidotteri subiscono un rapido declino.
Inoltre, la frequenza di falciatura influisce molto di più sulla diminuzione della biodiversità rispetto all’impiego di fertilizzanti.
L’impiego del nuovo indice di multidiversità fornisce un supporto estremamente utile per la coltivazione intensiva dando indicazioni importanti su come ottimizzare la coltivazione conservando la biodiversità, aumentando di conseguenza la produzione di foraggio e la molteplicità di impollinatori capaci di promuove l’impollinazione delle coltivazioni vicine.
Per saperne di più:
Università di Berna
Articolo completo su Proceedings of the National Academy of Science