Plastica-nemico acqua

La plastica nemico numero uno dell’acqua

Ogni anno finiscono nelle acque di tutto il mondo 8 milioni di tonnellate di rifiuti plastici. Senza le misure necessarie, nel 2050 nei mari e negli oceani ci sarà più plastica che pesci.


Una situazione drammatica

Si stima che ogni anno finiscano nelle acque di tutto il mondo circa 8 milioni di tonnellate di rifiuti plastici, di cui solo 8 mila tonnellate vengono recuperate da associazioni e gruppi di volontari. Questo è quanto sostiene il recente dossier del Word Economic Forum (WEF) dal titolo "The New Plastics Economy”, che sottolinea come l’"usa e getta” dei materiali plastici provochi una perdita per l’economia mondiale pari a 80-120 miliardi di dollari l’anno, equivalente al 95% del valore materiale degli imballaggi in plastica. Secondo il WEF, le migliori ricerche oggi disponibili stimano che vi siano circa 150 milioni di tonnellate di plastica negli oceani. In uno scenario business as usual, cioè senza modifiche al sistema produttivo, entro il 2025 si pensa che per ogni tre tonnellate di pesci vi sarà una tonnellata di plastica. Di recente, i ricercatori dell’Università della Tasmania, in collaborazione con la Royal Society, hanno riportato che sulla Henderson Island, una piccola isola situata nel Pacifico meridionale, si troverebbero quasi 18 tonnellate di materiale plastico, il 68% del quale è composto da frammenti invisibili. L’impressionante concentrazione di questi rifiuti raggiunge i 4.500 pezzi per metro quadro, fino ad una profondità di 10 cm. 

Figura 1. Henderson Island nell'Oceano Pacifico 

 

Questi rifiuti, tra i quali si stima la parte maggiore dovuta all’industria del packaging, una volta in acqua, assumono dimensioni sempre più piccole e vengono inghiottiti da numerose specie marine entrando nel circolo della catena alimentare (di cui fa parte anche l’uomo quando consuma il pesce). Purtroppo, il fenomeno non riguarda solamente le specie che abitano le acque. Secondo uno studio pubblicato nel 2016 sulla rivista internazionale “Proceedings of the National Academy of Sciences” sono stati trovati residui di plastica nelle viscere del 90% degli uccelli marini (gli uccelli che si alimentano di ciò che offrono mari e oceani). 

 

La ricerca presentata a Milano

Il tema dell’inquinamento delle acque da plastica è stato affrontato lo scorso 22 settembre presso la sede del WWF a Milano dove si è tenuto il convegno internazionale “Problem Plastic – l’inquinamento della plastica attraverso gli occhi della scienza” organizzato da WWF Milano Hub in collaborazione con Bio-on, azienda italiana che opera nel settore della chimica ecosostenibile.

Nel corso del convegno i ricercatori Nikolai Maximenko e Jan Hafner del Centro Internazionale di ricerca sul Pacifico dell’Università delle Hawaii hanno presentato la drammatica situazione nella quale si trovano le acque del pianeta. I due ricercatori hanno illustrato modelli matematici per descrivere le cosiddette “rotte della plastica”, cioè i molteplici percorsi che seguono i rifiuti plastici una volta in acqua. In particolare, la ricerca si è avvalsa dell’utilizzo di mezzi sofisticati e di grande precisione come satelliti, boe galleggianti per le osservazioni in mare aperto, la costruzione delle mappe per seguire le correnti marine, le maree e i venti. In particolare, questi ultimi creano molte difficoltà quando si vogliono sviluppare dei modelli per lo studio dei movimenti delle microplastiche in acqua, come hanno evidenziato i due ricercatori dell’Università delle Hawaii. La costruzione di modelli matematici per analizzare il fenomeno dell’inquinamento da plastica degli oceani e dei mari è nato da pochi anni e si trova ancora nella sua fase iniziale, ma dopo il catastrofico tsunami che ha colpito il Giappone nel 2011 (causando la morte di oltre 15 mila persone), ha conosciuto una forte accelerazione grazie all’osservazione di un’elevata quantità di detriti che hanno attraversato l'Oceano Pacifico e raggiunto le Hawaii e il Nord America. 

 

Gli effetti devastanti dello tsunami 

Maximenko e Hafner hanno presentato un modello creato per scoprire dove siano finiti i detriti  trasportati dallo tsunami che ha colpito il Giappone l’11 marzo del 2011. Tra le ipotesi formulate circa il possibile percorso seguito dai detriti, la più attendibile sembra essere quella dell’“atollo Midway”. Nel settembre del 2011 una nave russa ha scoperto nelle acque a largo dell’atollo, a ovest delle isole Hawaii, un peschereccio giapponese. Secondo i dati elaborati dai due ricercatori, lo tsunami ha trasportato 1,5 milioni di tonnellate di materiale plastico sino alle coste del Canada e degli Stati Uniti. In seguito, è stato rinvenuto sulle coste dello Stato dell’Oregon un intero blocco della banchina del porto di Misawa (Giappone) sulla quale, fanno sapere i ricercatori, hanno viaggiato oltre cento specie di animali e vegetali.

 

Figura 2. Tsunami in Giappone

 

Maximenko e Hafner hanno poi sottolineato come molte specie viventi, che hanno colonizzato i detriti plastici dispersi in mare, siano in grado di sopravvivervi anche per anni, un tempo sufficiente per raggiungere terre lontane e invadere ecosistemi marini di altre aree del mondo. I due ricercatori sono riusciti ad identificare quali specie aliene potrebbero arrivare in una nuova area, mediante modelli probabilistici. Maximenko e Hafner hanno annunciato che i loro studi verranno presto estesi a tutte le aree del mondo, con particolare attenzione per il mar Mediterraneo grazie anche al contributo della società Bio-on, organizzatore insieme con il WWF del convegno tenuto a Milano. Per quanto riguarda le soluzioni da adottare contro il fenomeno dell’inquinamento da plastica, il World Economic Forum (WEF) sostiene la necessità di avviare velocemente soluzioni verso l’economia circolare per contrastare non soltanto il degrado ambientale ma anche per evitare gli enormi sprechi di energia dell’industria della plastica. Il WEF sottolinea, infatti, che la produzione di plastica, che è aumentata dai 15 milioni di tonnellate degli anni sessanta ai 311 milioni di tonnellate nel 2014, potrebbe arrivare a una quantità tripla entro il 2050, con un consumo di energia che, secondo le stime del WEF, costituirebbe il 20% dell’impiego mondiale di fonti fossili.

 

Una foto che fa riflettere

Una delle foto finaliste del concorso internazionale "Wildlife photographer of the year 2017”, che rappresenta uno dei più prestigiosi premi al mondo sulla fotografia naturalistica, mostra quello che è stato definito lo “stridente abbraccio” tra un cavalluccio marino e un cotton fioc

 

Figura 3. Foto finalista al concorso internazionale "Wildelife photographer of the year 2017" (foto: Justin Hofman)

 

La foto, scattata a largo dell’Indonesia dal fotografo Justin Hoffman, sta facendo il giro del mondo in questi giorni e sembra che sia diventata il simbolo  "mare di plastica" che invade e inquina le nostre acque. Una foto che deve far riflettere sulla gravità del problema. Secondo uno studio realizzato dalla Fondazione MacArthur insieme con il Centro Studi McKinsey, e presentato al Forum economico di Davos nel 2016, nel 2050 nei nostri mari e oceani ci saranno più plastica che pesci. In altre parole, se non si prenderanno provvedimenti al più presto, nel giro di circa trent’anni, sacchetti, bottiglie, reti ed altri oggetti di plastica sostituiranno i pesci presenti nelle acque di tutto il mondo. È ormai più che evidente che occorrono misure urgenti da parte dei governi di tutto il mondo per impedire che continui il fenomeno dell’inquinamento da plastica, con interventi immediati sul quadro legislativo, produttivo e sulla gestione dei rifiuti.