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Rapporto ISPRA 2018: cresce il consumo di suolo in Italia

Presentato il rapporto annuale dell’ISPRA sul consumo di suolo in Italia: persi altri 52 km quadrati di territorio, con una velocità di 2 metri quadrati ogni secondo. Senza una legge nazionale sul contenimento del consumo di suolo, avverte l’ISPRA, entro il 2050 verranno cancellati oltre 1.600 chilometri quadrati di suolo. 


Il consumo di suolo in Italia ha continuato ad aumentare nel 2017. Nuove coperture artificiali hanno interessato altri 52 km quadrati di territorio, ovvero, in media, circa 15 ettari al giorno (2 metri quadrati di suolo persi ogni secondo). Il consumo di suolo è in aumento nelle regioni in ripresa economica, soprattutto nel Nord-Est del Paese, e riguarda aree protette e a rischio idrogeologico, in particolare lungo le coste e i corsi d’acqua. Il costo stimato per far fronte alla perdita di capacità di stoccaggio di carbonio, di produzione agricola e legnosa e dei servizi ecosistemici offerti dal suolo supera i due miliardi di euro all’anno. Questo è quanto emerge dall’ultimo rapporto sul consumo di suolo in Italia, la quinta edizione dedicata a questo tema, pubblicato da ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) insieme con SNPA (Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente) e le Agenzie per la Protezione dell’Ambiente delle Regioni e delle Province autonome. Nel 2017, secondo il rapporto, c’è stato un aumento del suolo consumato rispetto al 2016, sia pure minimo: 5400 ettari in più. In particolare, nel 2016 i km quadrati consumati erano 23.010 mentre nel 2017 si è arrivati a quota 23.062, con un aumento dello 0,23% in un anno (Tabella 1). 

 

 

2016

2017

Diff. 2016 – 2017

Consumo di suolo (% sul territorio nazionale)

7,63

7,65

 

Consumo di suolo (% sul territorio nazionale, esclusi i corpi idrici)

7,73

7,75

 

Consumo di suolo (km2)

23.010,4

23.062,5

 

Consumo di suolo netto (km2)

 

 

52,1

Tabella 1. Stima del consumo di suolo a livello nazionale, in percentuale sulla superficie territoriale e in chilometri quadrati (fonte: rapporto ISPRA sul consumo di suolo in Italia, 2018)

 

La media nazionale si attesta al 7,75 di suolo consumato a livello nazionale (era 7,73% nel 2016). Il rapporto sottolinea inoltre che circa il 25% del nuovo consumo di suolo netto registrato tra il 2016 e il 2017 è avvenuto all’interno di aree soggette a vincoli paesaggistici (coste, fiumi, laghi, vulcani e montagne), in particolare lungo la fascia costiera e i corpi idrici, dove il cemento ricopre ormai più di 350 mila ettari a livello nazionale, ovvero l’8% della loro estensione totale. Di questo, il 64% si deve alla presenza di cantieri e ad altre aree in terra battuta destinate soprattutto alla realizzazione di nuove infrastrutture, fabbricati o altre coperture permanenti. Per quanto riguarda poi le regioni, il rapporto indica che il consumo del suolo è cresciuto in ben 15 regioni italiane di oltre il 5%, con punte del 13% in Lombardia e del 12,35% in Veneto, mentre la Campania con il 10,36% è la prima regione del Mezzogiorno per consumo di suolo. Seguono Emilia-Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Puglia e Liguria, con valori compresi tra l’8 e il 10%. La Valle d’Aosta risulta l’unica regione italiana rimasta sotto la soglia del 3%. I maggiori incrementi si sono verificati invece in Veneto (1.134 ettari consumati in più), Lombardia (+ 603 ettari) ed Emilia-Romagna (+ 456 ettari), con la Puglia (+ 409 ettari) quale regione del Meridione dove si sono consumati nell’ultimo anno più ettari di suolo. Lo sprawl urbano, dovuto sia alla pressione antropica legata all’urbanizzazione che crea la necessità di nuove abitazioni, industrie, sedi per la localizzazione di imprese e infrastrutture di trasporto, sia all’inquinamento, all’acidificazione delle piogge, alla cattiva gestione del ciclo dei rifiuti che spesso producono degrado dei suoli e inquinamento delle falde acquifere, rappresenta la principale causa dell’impermeabilizzazione dei suoli urbani.

 

    

Figura 1. Consumo di suolo a livello regionale (% 2017). In rosso la media nazionale (fonte: elaborazioni ISPRA)

 

Quando la terra è coperta da un materiale impermeabile come il cemento o l’asfalto, necessario per costruire edifici e strade, spesso anche in aree protette, il suolo ne risulta fortemente danneggiato rispetto alle sue funzioni: produzione alimentare, mantenimento della biodiversità, azione regolatrice nei confronti del flusso d’acqua verso le falde, rimozione di sostanze contaminanti. La maggiore impermeabilizzazione del suolo causa la riduzione del tasso di infiltrazione idrica (a basse ed elevate profondità), aumenta lo scorrimento superficiale sui pendii e causa una minore evapotraspirazione che aumenta le isole di calore nelle aree urbane in quanto le superfici costruite assorbono maggiori quantità di radiazione solare.Usuolo pienamente funzionante favorisce gli scambi di energia con l’atmosfera e consente di immagazzinare fino a 3.750 tonnellate per ettaro di acqua di pioggia (un metro cubo di suolo poroso può trattenere tra 100 e 300 litri di acqua).

 

Figura 2. Schema dell’influenza della copertura del suolo sul ciclo idrogeologico (fonte: http://www.coastal.ca.gov/nps/watercyclefacts.pdf)

 

Tra i numerosi problemi ambientali associati all’impermeabilizzazione del suolo, particolare rilievo riveste quello rappresentato dai possibili cambiamenti, nello stato ambientale,dei bacini di raccolta delle acque perché, a causa della impermeabilizzazione del suolo, corrono in superficie senza penetrare nelle falde sotterranee.Altro aspetto determinante e che rappresenta una delle principali funzioni a livello ambientale è la capacità del suolo di agire come deposito di carbonio del pianeta. Se gestito in maniera sostenibile, questa funzione del suolo risulta essenziale nel processo di mitigazione del cambiamento climatico perché è in grado di immagazzinare il carbonio, attraverso un processo chiamato sequestro del carbonio e di determinare così una diminuzione delle emissioni di gas serra nell’atmosfera. Al contrario, una cattiva gestione di questa funzione facilita il rilascio del carbonio del suolo nell’atmosfera sotto forma di emissioni di anidride carbonica (CO2), che in questo modo contribuisce ad aggravare il cambiamento climatico. A questo proposito, la Commissione europea stima che una perdita minima pari allo 0,1% di carbonio emesso in atmosfera dai suoli europei equivale alle emissioni di carbonio prodotte da 100 milioni di auto in più sulle nostre strade – cioè un aumento pari a circa la metà del parco auto esistente (i suoli europei contengono da 73 a 79 miliardi di tonnellate di carbonio, di cui quasi il 50% è sequestrato nelle torbiere di Svezia, Finlandia, Regno Unito e Irlanda). Per questo motivo anche la Politica Agricola Comune (PAC) dell’Unione europea ha riconosciuto la dinamica del carbonio nei suoli tra le principali questioni da affrontare per mantenere l’equilibrio degli ecosistemi e ha sottolineato che è sempre più indispensabile integrare la dimensione ambientale nei sistemi di gestione e di produzione di mercato e di sviluppo rurale. Il carbonio organico costituisce circa il 60% della sostanza organica presente nei suoli e svolge una funzione positiva essenziale su molte proprietà del suolo, concentrandosi, in genere, nei primi 30 centimetri di suolo. Favorisce l’aggregazione e la stabilità delle particelle del terreno con l’effetto di ridurre l’erosione, il compattamento, il crepacciamento e la formazione di croste superficiali. Inoltre, migliora la fertilità del suolo favorendo l’attività microbica e aumentando la disponibilità per le piante di elementi nutritivi come azoto e fosforo. In questo senso si muove il recente regime a sostegno degli agricoltori, introdotto dalla Commissione europea, “condizionato” al rispetto di alcuni criteri di gestione obbligatori in materia di salvaguardia ambientale, volto soprattutto a mantenere il carbonio presente nella sostanza organica nel terreno (fonte: Direttiva quadro sul suolo della Commissione europea). 

Se non verranno messi in atto interventi concreti per contrastare il consumo di suolo, fa sapere l’ISPRA, entro il 2050 verranno cancellati oltre 1.600 chilometri quadrati di suolo. E la situazione potrebbe persino peggiorare, superando gli 8mila chilometri quadrati, nel caso in cui la ripresa economica portasse di nuovo la velocità di trasformazione ai valori medi o massimi registrati negli ultimi decenni. Le previsioni presenti nel rapporto sottolineano l’urgenza di approvare una legge sul contenimento del consumo di suolo, un provvedimento che porterebbe una progressiva riduzione della velocità di trasformazione e ad una perdita di terreno pari a poco più di 800 chilometri quadrati fino al 2050.