Aumentano le conoscenze sulla diffusione delle specie aliene invasive
La Fondazione Edmund Mach coordinerà un grande progetto di ricerca internazionale, denominato Lexem, che si propone di approfondire la conoscenza sulla biologia di alcuni insetti, in particolare zanzara tigre, zanzara coreana e Drosophila suzukii, e di individuare metodi appropriati per il controllarne la diffusione.
Partito ufficialmente a metà gennaio con un meeting a San Michele all’Adige, il progetto può contare su un finanziamento della Provincia autonoma di Trento, sulla collaborazione di diversi enti tra cui l’Organizzazione Mondiale della Sanità e il Centro europeo per il controllo delle malattie e di parecchi enti di ricerca sia in Italia sia all’estero.
La Lombardia è presente con l’Università Bocconi, il Politecnico di Milano e l’Istituto Zooprofilattico.
In Europa ci sono più di mille specie considerate invasive e tra queste specie ci sono numerosi insetti di interesse sia sanitario (ad esempio la zanzara tigre e la zanzara coreana) sia agricolo (ad esempio la Drosophila suzukii). Il nord Italia sta affrontando l’invasione di queste specie che, per definizione, sono quelle intenzionalmente o accidentalmente trasportate dall’uomo al di fuori del loro areale biogeografico e si sono dimostrate invasive.
Le specie si dicono invasive quando, superato il periodo di acclimatazione, mostrano capacità di espansione nel nuovo ambiente e provocano danni ecologici, economici e/o alla salute pubblica.
Per prevedere la diffusione di una specie in un nuovo habitat gli ecologisti fino ad oggi hanno impiegato un modello matematico sviluppato nel 1937. Tuttavia questo modello ha da sempre dimostrato i suoi limiti in quanto non essendo mai stato testato in condizioni controllate era incapace di riprodurre la variabilità della velocità di propagazione che era invece visibile in pratica. A mettere mano sul modello e ad apportare le necessarie modifiche ci hanno pensato dei ricercatori di Eawag (Swiss Federal Institute of Aquatic Science and Technology) e di EPFL (École Polytechnique Fédérale de Lausanne) che hanno da poco pubblicato i loro risultati sul PNAS (Proceedings of the National Academy of Sciences).
I ricercatori svizzeri sono riusciti a modificare il modello e a verificare le loro predizioni in laboratorio.
Innanzitutto hanno preso in considerazione il fatto che il processo demografico delle popolazioni è soggetto a delle variazioni che non dipendono direttamente dai fattori ecologici, infatti non tutti gli individui si riproducono allo stesso modo nonostante vivano nelle stesse condizioni. I ricercatori sono riusciti a descrivere tale fattore impiegando un calcolo delle probabilità applicato ad una funzione che permette di quantificare le differenze aleatorie e individuali a livello della riproduzione.
Ai calcoli del modello sono seguite le osservazioni sperimentali.
Per i loro esperimenti i ricercatori hanno utilizzato un tubo di plexiglas di due metri di lunghezza riempito di soluzioni nutritive in cui hanno introdotto degli organismi, ciliati unicellulari, ad una delle estremità.
La velocità di propagazione sperimentale calcolata in base ai dati è stata confrontata con quella predetta dal modello. I risultati sperimentali si allineano molto bene con il modello teorico proposto che quindi risulta essere valido.
Gli autori di questa ricerca auspicano l’impiego di questo modello anche per organizzare la ripopolazione di specie minacciate o in pericolo di estinzione; infatti la conoscenza della diffusione di una specie può aiutare sia a limitarne sia a incentivarne la propagazione.
Operazioni di questo tipo sono già state applicate negli Stati Uniti e hanno portato a un’ottimizzazione delle misure di protezione per le specie animali minacciate.
Per saperne di più:
Fondazione E. Mach
EAWAG (Swiss Federal Institute of Aquatic Science and Technology)