Diminuire l’uso di antibiotici negli allevamenti. È possibile?
In Europa ogni anno muoiono 25.000 persone a causa di infezioni provocate da batteri antibiotico-resistenti. Il problema si è presentato negli ultimi anni a causa di un uso eccessivo di antibiotici sia tra gli esseri umani sia tra gli animali. La soluzione immediata è sembrata quella di sintetizzare nuovi antibiotici, ma ovviamente i batteri riescono a sviluppare resistenze anche ai nuovi ceppi di antibiotici. L’INRA (Istituto Nazionale Francese per la Ricerca in Agricoltura) ha iniziato uno studio nel 2011 a seguito dell’approvazione in Francia del piano nazionale “Ecoantibio2017” che mira a ridurre del 25% l’uso di antibiotici entro il 2017. L’istituto ha quindi iniziato uno studio multidisciplinare che comprende le seguenti ricerche:
- studi microbiologici per esaminare il meccanismo che porta alla resistenza agli antibiotici;
- studi sociali per capire perché gli allevatori tendano a sopravvalutare i rischi di malattia nei loro animali;
- studi zootecnici per strutturare gli allevamenti in modo che gli animali siano più robusti e resistenti;
- studi farmaceutici per ottenere antibiotici ad azione mirata in modo da non attaccare batteri non patogeni.
In campo microbiologico i ricercatori hanno trovato come si creano e sviluppano batteri antibiotico-resistenti. L’occasione è stata data da un’epidemia di salmonella, nel 2000, resistente a ben 5 ceppi di antibiotici differenti. In questa occasione i ricercatori hanno potuto individuare la presenza all’interno del batterio di un’isola genomica responsabile di trasmettere geneticamente la resistenza agli antibiotici. Quest’isola genomica è in grado di muoversi tra i batteri e si integra al nuovo batterio passando così le informazioni su come resistere agli antibiotici. Ad oggi rimane ancora da capire nei dettagli come avvenga l’integrazione delle isole genomiche all’interno del genoma del batterio ricevente. Data la naturale capacità di adattarsi agli stress ambientali dei batteri, è molto difficile creare antibiotici che non provochino fenomeni di resistenza, tuttavia è possibile arrivare a produrne alcuni in grado di rallentare o inibire in parte lo sviluppo di una resistenza.
Nel campo sociale, gli studiosi hanno analizzato le abitudini di allevatori, veterinari e tecnici consulenti fin dal 1950, periodo in cui gli antibiotici sono entrati negli allevamenti. In quegli anni gli antibiotici venivano mescolati agli alimenti in quanto capaci di aumentare e velocizzare la crescita del capo. Questa pratica fu vietata in Europa a partire del 2006, essendosi notata l’insorgenza di una resistenza batterica agli antibiotici. Il consumo di antibiotici rimane comunque abbastanza alto perché spesso sono usati in maniera preventiva su tutti i capi. Secondo le ricerche dell’INRA, diversi allevatori, veterinari e tecnici tendono spesso a sopravvalutare i rischi di malattia e iniziano i trattamenti antibiotici con eccessiva facilità. Le ricerche hanno però anche evidenziato l’esistenza di allevamenti in cui pur impiegando bassissime quantità di antibiotici, si mantengono alte le rese. Risulta quindi di particolare rilevanza la divulgazione e diffusione di queste ultime metodologie per ottenere un allevamento più sostenibile.
Nel campo zootecnico si è studiato l’impatto sull’animale degli antibiotici: efficacia del trattamento e impatto sul metabolismo dell’animale.
I trattamenti analizzati vanno da quelli preventivi a quelli applicati alla comparsa dei sintomi e a loro volta si dividono in precoci o tardivi. Inoltre sono stati esaminati i trattamenti personalizzati, (applicati solo al capo infetto), ristretti (applicati a tutti i capi in diretto contatto con quello infetto) o di massa (applicato indistintamente a tutti i capi dell’allevamento).
Le ricerche hanno evidenziato come in genere il trattamento precoce e personalizzato sia la miglior risposta in termini di efficacia della cura e di inibizione, per lo sviluppo di batteri antibiotico-resistenti. Un uso tardivo richiede dosi maggiori di antibiotici con un conseguente aumento delle possibilità di sviluppare batteri antibiotico-resistenti e una diminuzione delle possibilità di salvare capo. Un impiego massiccio e preventivo incrementa notevolmente la possibilità di sviluppare batteri antibiotico-resistenti. La somministrazione preventiva di antibiotici a tutti i capi in contatto con quello malato ha i suoi pro e contro e molto dipende dall’estensione dell’infezione.
Le sperimentazioni effettuate con casi di polmonite hanno comunque dimostrato che il trattamento precoce e personalizzato consegue i risultati nettamente migliori.
Gli studiosi hanno anche analizzato l’impatto degli antibiotici sulla flora intestinale dell’animale. Trattamenti massicci portano alla creazione dei geni della resistenza che possono essere ospitati anche da batteri non patogeni. Questi batteri possono tranquillamente trasmettere tali geni all’ambiente (suolo, acqua …), agli alimenti (verdure, carne …) e quindi in via indiretta all’uomo.
Gli studi farmacologici si concentrano sulla creazione di farmaci inoffensivi a livello di flora intestinale. Purtroppo non ci sono ancora dei risultati degni di nota.
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