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I negoziati della COP23 procedono lentamente. Nel frattempo, crescono gli investimenti nella finanza sostenibile

Alcuni timidi passi in avanti, poche decisioni e molti rinvii. Così si è conclusa la ventitreesima edizione della Conferenza mondiale sul clima della Nazioni Unite (Cop23). Dopo sei anni di discussione l’agricoltura entra a far parte dei negoziati. A due anni dalla Cop21, Parigi ospita il One Planet Summit. Nel frattempo, crescono gli investimenti nella finanza sostenibile.


Le Isole Fiji lanciano il “Dialogo di Talanoa”

La ventitreesima edizione della Conferenza mondiale sul clima della Nazioni Unite (Cop23) si è conclusa da alcune settimane ma il dialogo verso un’intesa globale nella lotta al cambiamento climatico prosegue. I lavori della Cop23 – presieduta dalle Isole Fiji, ma ospitata per ragioni logistiche a Bonn, in Germania – si sono ufficialmente conclusa la mattina del 18 novembre dopo dieci giorni di negoziati internazionali, da alcuni – i più scettici – definiti un vero e proprio omaggio ai riti dell’”eco-diplomazia”. Alla Cop23 è stato riconosciuto che gli impegni presi finora verso l’attuazione dell’Accordo di Parigi, tra i quali quello di mantenere il riscaldamento globale al di sotto dei 2 °C dai livelli preindustriali (prima del 1850), non sono sufficienti. Nonostante le misure auspicate, infatti, sostiene l’Unep (Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente), le emissioni antropiche porteranno comunque il pianeta verso un aumento della temperatura globale tra i 2,9 e 3,4 °C entro fine secolo, con conseguenze ambientali disastrose: ondate di calore, inondazioni e periodi di siccità più frequenti e intensi, impatti sulle specie animali e vegetali, una maggiore diffusione delle malattie e un notevole aumento dei decessi. Ad accelerare le “infinite” trattative della Conferenza sono state le Isole Fiji, che hanno lanciato il Fiji Momentum for Implementation, un documento volto a far accelerare il percorso di attuazione degli impegni presi in vista dell’Accordo di Parigi. Tra i principali obiettivi del documento compaiono:

  • Linee guida di carattere generale al fine di accelerare gli impegni presi per contrastare il cambiamento climatico e completare il programma di lavoro dell’Accordo di Parigi entro il 2018;
  • Disposizioni per rafforzare l’implementazione e le ambizioni per i piani da attuare prima del 2020, anno in cui sarà operativo l’Accordo di Parigi;
  • Delineamento del Facilitative Dialogue 2018, conosciuto anche con il nome di “Dialogo di Talanoa” per fare periodicamente il punto sugli sforzi e i progressi verso gli obiettivi dall’Accordo di Parigi.

Il termine “Talanoa” nella lingua fijiana significa “parliamoci con il cuore” ed è proprio questo l’appello che fanno le Isole Fiji, uno dei paesi più vulnerabili al mondo di fronte ai cambiamenti climatici, ai paesi che hanno firmato l’Accordo mondiale sul clima. Il Dialogo avrà inizio a gennaio 2018 e si concluderà a novembre dello stesso anno nel corso della Cop24 di Katowice. Nei dieci mesi che precederanno la Cop24, i Paesi che hanno aderito all’Accordo di Parigi lavoreranno in un processo decisionale collettivo che dovrà portare avanti l’”agenda del clima globale”. 

 

Alcuni timidi passi in avanti

Sugli impegni da adottare di qui al 2020, le decisioni sono state poche e i rinvii molti. Per quanto riguarda le azioni di riduzione delle emissioni di CO2 da implementare prima del 2020, nel corso della Cop23, è stato stabilito che entro maggio 2018 i paesi firmatari dovranno rendere conto delle loro politiche climatiche, con una valutazione finale (stocktake) che dovranno presentare alla Cop25 nel 2019 – ancora non è nota la città che la ospiterà – oltre alla redazione di report sugli impegni finanziari. In particolare, durante la Conferenza di Bonn, si è discusso circa il Green Climate Fund (di cui si parla già da alcuni anni), cioè il fondo di 100 miliardi di dollari annui dedicato ai Paesi più poveri e vulnerabili ai cambiamenti climatici, previsti dal 2011, ribaditi nell’Accordo di Parigi, ma finora mai stanziati integralmente.

Un rapporto dell’Ocse pubblicato ad ottobre 2016, indicava in 58 miliardi di dollari la cifra raggiunta in cinque anni da tutti i paesi aderenti all’iniziativa. Tuttavia, dal rapporto emerge che solamente il 16% del totale dei finanziamenti è stato stanziato per i programmi di adattamento. Per quanto riguarda i combustibili fossili, durante la Conferenza, circa una ventina di paesi – tra i quali anche l’Italia – hanno annunciato di voler stringere un’alleanza internazionale per il superamento dell’uso del carbone al 2030 (Power past coal alliance). A tal proposito, l’Italia ha già presentato la nuova Strategia Energetica Nazionale (SEN) in cui viene – secondo le stime – anticipata l’uscita dal carbone al 2025, per arrivare a un taglio definitivo delle emissioni di CO2 derivanti dall’estrazione di carbone entro il 2050. L’obiettivo dell’Alleanza è quello di arrivare a cinquanta adesioni prima dell’apertura della Cop24 di Katowice. 

 

L’agricoltura tra i temi chiave dei negoziati

Altro avanzamento importante si è avuto per quanto riguarda il settore dell’agricoltura. Da ormai sei anni si discuteva circa l’attuazione di un programma di lavoro che riguardasse l’agricoltura e la sicurezza alimentare e che andasse a implementare l’Accordo di Parigi. Nel corso della Conferenza di Bonn, il tema dell’agricoltura è entrato a pieno titolo nei negoziati internazionali. Finora, infatti, i paesi in via di sviluppo si erano sempre mostrati restii a concordare obblighi di riduzione delle emissioni di CO2 derivanti dall’agricoltura – settore fondamentale per l’economia di molti dei paesi più poveri – e, allo stesso tempo, i paesi industrializzati non avevano mai espresso in modo chiaro la volontà di sovvenzionare programmi di sviluppo nei paesi in via di sviluppo. Secondo un recente rapporto della FAO, pubblicato in concomitanza con i lavori della Cop23, agricoltura, silvicoltura e cambiamenti nell’uso del suolo (ILUC) sono responsabili di oltre il 20% delle emissioni di CO2 globali. Inoltre, sottolinea la FAO, oltre un quarto delle perdite e dei danni causati da disastri climatici – che oggi colpiscono soprattutto i paesi del Sud del mondo – interessa l’agricoltura, tasso che sale all’80% se si tiene conto degli effetti più lenti, come le siccità. Si stima che il settore agricolo, inclusi forestazione e altri usi del suolo, contribuisce per circa il 21% alle emissioni globali di gas serra (GHG) di origine antropogenetica, soprattutto metano (CH4), protossito di azoto (N2O) e anidride carbonica (CO2). In particolare, le attività zootecniche, ci dice la FAO (Tackling climate change through livestock, 2013) sono responsabili per circa il 14,5% delle emissioni GHG (7,1 Gt di CO2per anno). Contemporaneamente, l’agricoltura ha il potenziale di mitigare tra le 5,5 e le 6 Gt di CO2ogni anno attraverso il sequestro di carbonio nel suolo. In Italia, il 7% delle emissioni di CO2 (circa 420 milioni di tonnellate di CO2 equivalente, secondo il rapporto ISPRA 2014) deriva dal settore agricoltura. La FAO ricorda che buone pratiche e tecnologie innovative e sostenibili per gestire gli allevamenti e i reflui potrebbero diminuire significativamente le emissioni GHG provenienti dal comparto zootecnico (Figura 1). 

 

Figura 1. Contributo degli allevamenti animali alle emissioni GHG (fonte: FAO’s Work on Climate Change, United Nations, Conference 2017)

 

Altro settore di interesse è rappresentato dal degrado del suolo che, secondo la FAO,  ha finora favorito il rilascio in atmosfera di circa 78 miliardi di tonnellate di carbonio. La Figura 2 mostra la quantità di carbonio presente nei primi 30 cm di profondità del suolo, in tonnellate per ettaro nei diversi paesi del mondo. La FAO riporta che la rigenerazione dei suoli degradati e l’impiego di tecniche di agricoltura conservativa possono rimuovere dall’atmosfera fino a 51 miliardi di tonnellate di carbonio che potrebbero essere sequestrati (accumulati) nel suolo con benefici in termini di aumento della produzione annuale dei prodotti agricoli di oltre 17 milioni di tonnellate. 

 

Figura 2. Mappa GSOC – Global Soil Organic Carbon (Fonti: FAO, ITPS, Global soil partnership, 2017)

 

La mappa GSOC rappresenta uno strumento di informazione per monitorare le condizioni dei suoli, identificare le aree degradate, stabilire i livelli di ristrutturazione, esplorare i potenziali del sequestro di SOC (Soil Organic Carbon), sostenere i rapporti sulle emissioni di gas serra nell’ambito dell’Unfccc e di evidenziare le decisioni per combattere il cambiamento climatico in termini di mitigazione e/o adattamento. Inoltre, non è secondario sottolineare, come già riportato nel rapporto dell'Oxfam “Disuguaglianza climatica”, che il 10% della popolazione più ricca della Terra è responsabile del 50% delle emissioni di anidride carbonica in atmosfera, mentre la metà più povera della popolazione mondiale, circa 3,5 miliardi di persone, ne produce solo il 10%, ma è la prima vittima di alluvioni, siccità e altri cataclismi legati agli effetti del cambiamento climatico.In aggiunta a ciò, non è secondario sottolineare che lo spreco di cibo, quantificabile annualmente in circa 1,6 miliardi di tonnellate, genera l’8 % del totale annuale di emissioni GHG, con un costo complessivo di 2600 miliardi di dollari ogni anno, di cui 700 miliardi per costi ambientali e 900 miliardi per costi sociali (FAO’s Work on Climate Change, United Nations, Conference 2017).

 

Non c’è un pianeta B. Crescono gli investimenti nella finanza sostenibile

A due anni esatti dalla firma dell’Accordo di Parigi – era il 12 dicembre 2015 – i governi di tutto il mondo si sono ritrovati nuovamente a Parigi. La mattina del 12 dicembre si è tenuto nella capitale francese il One Planet Summit, vertice internazionale con l’obiettivo di raccogliere finanziamenti sia pubblici che privati per la lotta al cambiamento climatico. 

 

Figura 3. One Planet Summit, Parigi, 12 dicembre 2017

 

Al summit – al quale hanno preso parte capi di stato, gruppi bancari, rappresentanti di Ong e investitori di tutto il mondo – le notizie positive non sono mancate. La Banca Mondiale, tra gli organizzatori del summit, ha dichiarato che non finanzierà più, a partire dal 2017, l’esplorazione e l'estrazione di petrolio e gas, tranne che in casi particolari nei paesi in via di sviluppo, e ha annunciato di voler fare maggiore trasparenza sulle emissioni di gas ad effetto serra prodotte dai progetti finanziati, già dall’anno prossimo.

Nel corso del summit, inoltre, è giunta la notizia che uno dei più grandi fondi pensioni del Giappone, un colosso da 1275 miliardi di dollari di attivi, ha cominciato a diversificare e a investire nei green bonds e nelle quote dei cosiddetti fondi ISR (Investissement Social et Résponsable), partendo da una cifra iniziale di 10 miliardi di dollari. Anche l’italiana Enel, insieme con altre otto grandi aziende, ha promesso di sostenere la diffusione delle emissioni di titoli verdi per un valore di 26 miliardi di dollari. Sul “carro dei green” sono poi saliti BnpParibas, il primo gruppo bancario francese, che ha deciso di non investire più nelle aziende petrolifere e di spostare risorse nella finanza sostenibile, oltre all’Edf – Electricité de France, l’azienda energetica nazionale. Quest’ultima ha annunciato di voler realizzare circa 30 mila ettari di campi fotovoltaici (per la produzione di 30 gigawatt) entro il 2035, e l’AXA, un’importante compagnia assicurativa francese, che si è data l’obiettivo di investire fino a 12 miliardi di euro, entro il 2020, nella finanza sostenibile ma anche di disinvestire almeno 3 miliardi di euro dalle aziende che producono energia da fonti inquinanti quali carbone e sabbie bituminose.

Sempre sul fronte delle aziende, a Parigi è stato lanciato il Climate action 100+, un’iniziativa che permette di mettere in relazione i maggiori gruppi di investimento del pianeta, con un patrimonio complessivo valutato in 26 trilioni di dollari (1 trilione equivale a circa 1000 miliardi). Queste scelte si allineano con un trend positivo degli investimenti fatti nella finanza sostenibile. Nel corso del 2017, fa sapere la Climate Bond Iniziative, sono stati investiti circa 150 miliardi di dollari in green bonds (contro gli 82 miliardi del 2016) e, secondo le previsioni dell’organizzazione, il valore complessivo degli investimenti potrà salire a 1000 miliardi a livello globale entro il 2020. 

Il One Planet Summit ha rappresentato una “mini-Cop” in vista dei prossimi appuntamenti dedicati al tema dei cambiamenti climatici, primo fra tutti, la prossima Cop24. Gli organizzatori (Governo francese, Nazioni Unite e Banca Mondiale) hanno annunciato che presenteranno un bilancio del summit entro la fine del 2018.

 

La Cop24 si terrà a Katowice, nel cuore carbonifero della Polonia

Sarà la città di Katowice, in Polonia, ad ospitare la prossima Conferenza sul clima delle Nazioni Unite (Cop24), che si terrà dal 3 al 14 dicembre 2018. Si tratterà di un evento cruciale nella lotta ai cambiamenti climatici. A Katowice, infatti, si dovranno rivedere le cosiddette Ndc (Nationally determined contribution), ovvero le promesse avanzate dai vari paesi che hanno aderito all’Accordo di Parigi in materia di riduzione delle emissioni di CO2. La destinazione della prossima Conferenza sul clima è tuttavia singolare: la Polonia è tra i primi dieci paesi al mondo per riserve di carbone, grazie alle quali copre l’80% del fabbisogno energetico nazionale. Secondo una ricerca dell’istituto di ricerca WiseEuropa, la produzione di carbone nel Paese è ancora molto elevata (nel 2016, ad esempio, ha superato le 70 milioni di tonnellate). Katowice si trova in Slesia, la regione più ricca della Polonia e quella dove si trovano le principali riserve carbonifere del paese.

Alla prossima Cop24 sarà necessario stabilire un pacchetto di regole condivise per rendere operativi gli impegni presi a conclusione della Cop21 di Parigi nel 2015 (Rule Book). In particolare: definire una serie di azioni da intraprendere prima del 2020, anno in cui sarà operativo l’Accordo di Parigi; definire la questione dei finanziamenti necessari per lotta ai cambiamenti climatici e di quelli da stanziare per sostenere i paesi più vulnerabili, soprattutto quelli più poveri, alla minaccia climatica.


Nota:

  • CO2-eq (CO2equivalente): è un’unità di misura che permette di valutare le emissioni di gas serra diversi e con differente effetto serra. Ad esempio, una tonnellata di metano ha un potenziale effetto serra 21 volte superiore rispetto alla CO2, e quindi viene contabilizzato come 21 tonnellate di CO2equivalente. Maggiore è il GWP (potenziale climalterante) del gas considerato, più elevato sarà il suo contributo all’effetto serra (Intergovernmental Panel on Climate Change -IPCC).
  • Gt (gigatonnellata): quantità equivalente a 1 miliardo di tonnellate. Per confrontare direttamente le emissioni di CO2 con le concentrazioni di CO2, entrambe le grandezze debbono essere convertite in gigatonnellate (Gt) di CO2. Le emissioni di CO2 sono solitamente espresse in gigatonnellate di carbonio (GtC). Una Gt equivale ad un miliardo di tonnellate, però stiamo considerando soltanto il carbonio della molecola di CO2. La massa atomica del carbonio è 12, mentre quella della CO2 è 44. Pertanto, per convertire una Gt di carbonio in una Gt di CO2, occorre moltiplicare per 44 e dividere per 12. Dunque, una Gt di carbonio equivale a 3,67 Gt di CO2.