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Festa del Cinema di Roma, John Travolta protagonista della sesta giornata

John Travolta vola a Roma per presentare il suo ultimo film, “The Fanatic”. Il divo di Hollywood ripercorre la sua carriera in un incontro ravvicinato con il pubblico nel corso del quale confessa: “I tre film di cui vado più orgoglioso sono ‘La febbre del sabato sera’, ‘Grease’ e ‘Pulp Fiction’”.


John Travolta vola a Roma pilotando il suo jet personale – come ha tenuto a precisare in un incontro ravvicinato con il pubblico – per presentare il suo ultimo film, “The Fanatic” (2019), un thriller diretto dal regista Fred Durst, dove interpreta la parte di Moose. che da fan diventa stalker e inizia a perseguitare un attore di film d’azione. “Fanatic è un piccolo film, è costato poco ma ha un grande protagonista ed è il mio ruolo preferito di sempre”, spiega Travolta. “Tuttavia – prosegue – ci sono tre film di cui vado molto orgoglioso: 'La febbre del sabato sera' (1977), 'Grease' (1978) e 'Pulp Fiction' (1994)". Ma la collaborazione – che Travolta definisce viaggio – più interessante è stata quella con Quentin Tarantino. “Quentin allora era giovane, pieno di idee, un regista nuovo ma ispirato allo stesso tempo dai grandi maestri del cinema. Mi ha sempre dato grande libertà. Ad esempio, l’idea del taglio di capelli del personaggio di Vincent Vega è stata mia: avevo vissuto così come il personaggio del film per un paio di anni ad Amsterdam e lì avevo visto capigliature simili, perciò lo proposi a Quentin e lui, dapprima esitante, poi si convinse e mi rispose: ‘Sai che c’è, funziona!’”.

Nel corso dell’incontro ravvicinato Travolta si apre con il pubblico, racconta che all’età di 17 anni fu bocciato per la parte di Gesù nel musical “Jesus Christ Superstar”. “Il produttore – rivela Travolta – mi rifiutò perché ero troppo giovane per la parte, ma scrisse su un pezzetto di carta ‘è troppo giovane ma tenetelo d’occhio perché diventerà grande’ e poi, anni dopo, me lo mostrò quando mi scelse per “La febbre del sabato sera” e per “Grease”. Mentre in sala si passano in rassegna le clip di alcune delle sue migliori performance il pubblico applaude, alcuni fan cantano, battono le mani al ritmo di musica, altri gli gridano “I love you” e lui risponde senza esitazioni “I  love you too”, spiegando che, diversamente da quanto accade al personaggio del suo ultimo film, non ha mai avuto a che fare con gli stalker e che ha sempre avuto un ottimo rapporto con i suoi fan. Poi Travolta racconta al pubblico che è diventato attore grazie alla madre, regista e attrice, che lo ha introdotto al mondo dello spettacolo. “Mia madre mi ha insegnato ad essere un professionista, un attore profondo, a costruire il personaggio in modo completo”, racconta Travolta. Poi arriva il momento della clip tratta dal film “Blow out” (1982) di Brian De Palma e Travolta racconta di aver avuto un ottimo rapporto con il regista. “Era entusiasta e si fidava delle mie scelte tanto da farmi decidere. Io gli chiedevo: ‘Brian, preferisci che faccia questo o quello?’ e lui mi rispondeva: ‘Io sono il regista, recitare è il tuo lavoro, devi essere tu a scegliere’. Ma Travolta è stato anche Bill Clinton in “I colori della vittoria” (1998) di Mike Nichols. “Per interpretare la parte del presidente degli Stati Uniti ho studiato approfonditamente l’organizzazione di governo e l’amministrazione americana – spiega Travolta – perché queste cose un presidente le deve conoscere”.

 

John Travolta si racconta in un incontro ravvicinato con il pubblico in compagnia del direttore artistico della Festa del Cinema Antonio Monda (foto: ©Andrea Campiotti)

 

Poi arriva il momento di parlare dei film che ha rifiutato nel corso della carriera. Si tratta di quattro film: “I giorni del cielo” (1978) di Terence Malick, “American gigolò” di Paul Schrader (1980), “Soldato gentiluomo” (1983) di Taylor Hackford e infine “Chicago” (2002) di Rob Marshall. Quattro parti da protagonista che sono andate tutte ad un altro attore di Hollywood, Richard Gere che, peraltro, – come ha spiegato Travolta – non lo ha neanche mai ringraziato del favore. Dei rifiuti che hanno favorito la carriera a Gere Travolta non si pente perché – spiega – erano tutti motivati da impegni precedenti, eccezion fatta per “Chicago” che ha rifiutato per motivi personali. “Io sono cresciuto in un’era cinematografica nella quale le donne amavano gli uomini – chiarisce Travolta – e il testo teatrale dell’opera, dove le donne odiavano gli uomini, non mi è piaciuto. Poi ho visto il film e mi sono reso conto che avevano cambiato i personaggi e le protagoniste avevano più cuore”. “Colpa mia – confessa – che quando mi hanno offerto la parte non ho chiesto un incontro con il regista per capire come volevano modificare il testo teatrale”. Un rifiuto in particolare, però, lo ha condizionato. Dopo aver visto una clip del film “La sottile linea rossa” (1998) di Terence Malick, dove interpreta la parte del generale Quintard, Travolta racconta di essere ancora dispiaciuto per aver rifiutato (per motivi contrattuali) di lavorare in “I giorni del cielo”. “Diciassette anni dopo Terence mi confessò che il mio rifiuto gli aveva spezzato il cuore e che aveva smesso di girare film a causa mia”. L’ultima frase che Travolta avrebbe voluto sentirsi dire, dal momento che – come ha spiegato durante l’incontro – da bambino insieme alla famiglia aveva visto morire Giulietta Masina ne “La strada” (1954) di Federico Fellini e, colpito dalla scena, aveva chiesto la ragione della morte al padre. Il padre gli spiegò che Giulietta era morta di crepacuore. “Da quel momento giurai a me stesso che non avrei mai spezzato il cuore a nessuno”, spiega Travolta a conclusione dell’incontro, prima di ricevere dal direttore della Festa del Cinema Antonio Monda il “Premio speciale” per l’interpretazione in “The Fanatic”.


Di Andrea Campiotti, inviato del Centro Studi l'Uomo e l'Ambiente alla Festa del Cinema di Roma

Foto nell'articolo: Andrea Campiotti

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