Controstoria dell’alpinismo di Andrea Zannini

Edizioni Laterza, Roma –Bari, pag. 183

Realizzato in collaborazione con il Club Alpino Italiano

Prima edizione Febbraio 2024

Prezzo di copertina € 18.00

EAN       9788858153772

Conquista, conquistare, una terminologia usata comunemente da chi arrampica o anche semplicemente sale. Ma cosa significa arrampicare? E chi può pensare che possa far rima con conquistare? Per quanti amano salire a quote alte forse il termine più adeguato è raggiungere. La conquista implica un impossessarsi, ma gli stambecchi, i camosci e anche i nostri progenitori non prendevano possesso delle vette. Forse piace pensare che godevano della bellezza dei paesaggi e a partire dal secolo dei lumi le montagne diventano meta di botanici, geologi, fisici che osservano, registrano dati, raccolgono campioni e non lo fanno per sport ma per conoscere.

Questo testo fornisce una ricostruzione storica puntuale, dettagliata del salire “a quote alte”. Quanti si definiscono o si sentono alpinisti hanno modo di rileggere la storia del loro sport preferito, definito tale solo negli ultimi due secoli. L’autore, fin dal titolo esplicita il suo intento: dare al salire in alto la supremazia a chi davvero ce l’ha. I cacciatori raccoglitori neandertalensi si avvicinano alle Alpi trentamila anni fa, spinti dal bisogno o dal desiderio semplicemente di vedere cosa c’è oltre. E i valligiani che qualche secolo fa risalivano i ripidi pendii per cacciare o raccogliere o semplicemente, ancora una volta, per vedere oltre.

Particolare è il legame tra la tonaca e la cima, sì certo i religiosi già alla fine del 1700 salivano per diletto e curiosità e per essere più vicini a Dio e magari raggiungerlo scomparendo in qualche seracco. Zannini da eccellente storico descrive ascensioni più o meno veritiere sottolineando quanta parte abbiano due elementi: la mancanza di fonti credibili, vedi ascensione del Petrarca al Ventoux e la dubbia scalata in artificiale del monte Aiguille e la mistificazione operata in alcune ascensioni tra le più importanti delle Alpi come quella al Monte Bianco o ai vari 8000 del pianeta.

Fondamentali sono gli aspetti scientifici che l’autore non manca di ricostruire, come le ascensioni con specifico scopo di misurare l’altezza in modo dettagliato attraverso i barometri e l’elemento “catena montuosa” come confine di nazione. Ne sono un esempio le Alpi e il loro ruolo durante la grande guerra. Ecco quindi che gli alpinisti sono militari, soldati, topografi che lasciano la loro vita alle alte quote per un confine.

Le prerogative dello storico si spingono anche a livello sociale ed economico con sottolineature molto efficaci sulla supremazia dei ricchi, potenti, nobili che raggiungevano le alte vette solo grazie ai silenziosi e, invisibili alle cronache, portatori guide locali. Hillary non sarebbe certo arrivato sull’Everest senza Tenzing Norgay, uno dei pochi portatori che ha avuto un giusto riconoscimento.

La ri-costruzione della storia dell’alpinismo può davvero contribuire a cambiare il modo di approcciarsi a quell’ambiente così affascinate e fragile rappresentato dalle alte quote, a cambiare anche il modo di definire il raggiungimento di una vetta, a considerare una camminata in montagna non solo una fatica sportiva un superamento dei limiti personali? Può contribuire a sostituire il temine conquistare con raggiungere? Può aumentare il rispetto per l’ambiente montano in generale? Piace pensare che oggi possa essere così e che lo sport del salire, da quando è diventato tale, non sia solo la ricerca di un primato personale o addirittura globale.

Per coloro, come chi sta scrivendo, che salgono per respirare il silenzio, soffermarsi ad annusare una nigritella, osservare le rocce, individuarne l’origine, viene spontaneo valorizzare il volume come strumento di vera e propria conoscenza di una lunga storia ricostruita attraverso le fonti e non attraverso dispute e leggende.

Alberta