Un’applicazione per le aree densamente popolate: il BioBosco Urbano

 


Un’importante e troppo spesso banalizzata questione concerne la concretizzazione delle strategie generali del rimboschimento, in particolare laddove si menzionano aree all’interno di città densamente popolate. Il concetto stesso di “Bosco Urbano” è un concetto complesso non sempre adeguatamente rappresentato, anzi sovente confuso con la nozione di verde urbano di solito associata, nella pianificazione, alla definizione quantitativa degli standard urbanistici. Alberi e popolamenti forestali nel continuum rurale-urbano possono certamente svolgere un ruolo peculiare di carattere ambientale, sociale, economico, specie in ragione dell’aumento della popolazione urbanizzata in Europa.
L’indubbia meritorietà del fine di potenziare la capacità di fissazione/assorbimento della CO2 delle essenze vegetali eventualmente piantumate pone un problema di razionalità ed efficacia. Le aree urbane sono tipicamente caratterizzate da scarsità di superfici libere e, quindi, da valorizzazioni elevate sul piano economico, determinando un elevato costo-opportunità della “CO2 urbana” fissabile nel processo fotosintetico.
Richiamando le indicazioni dello stesso Rapporto Brundtland (che enuncia per la prima volta il concetto di sviluppo sostenibile), laddove si indica nell’implementazione di nuove tecnologie in grado di efficientare al massimo l’impiego inevitabile di risorse naturali scarse, quali la qualità dell’aria, la ricerca applicata è già in grado di fornire indicazioni utili allo sviluppo razionale della ratio del rimboscamento a fini Carbon Capture in aree cittadine densamente popolate: la coltivazione di colonie microalgali in funzionali devices allo scopo progettati, nell’ambito di un arredo urbano green e complementare alla tradizionale piantumazione arborea.
Allo scopo, l'evoluzione del cosiddetto BioBosco Urbano punta alla diffusione di devices dedicati allo sfruttamento della proprietà delle microalghe, ivi contenute, di fissare la CO2 in ambiti urbani, ovvero in grado di fornire risposte al problema dell’inquinamento urbano. Il BioBosco Urbano, peraltro, si realizza impiegando materie prime sostenibili, e in grado di fissare la CO2 nelle aree urbane attraverso modalità ovviamente naturali ed efficienti, oltre ad avviare il percorso della circolarità alla biomassa prodotta.

La possibilità tecnologica di organizzare e sfruttare gli effetti derivanti dalla coltivazione stimolata e accelerata delle microalghe nelle aree urbane si pone costruttivamente a disposizione del pianificatore urbano votato ad obiettivi di sostenibilità locale, ovviamente laddove non è materialmente possibile piantare alberi per mancanza di spazio.
Poiché l'efficienza fotosintetica delle microalghe consente di fissare elevate quantità di C02 in un piccolo spazio e di valorizzare la biomassa prodotta, a mero titolo d’esempio si consideri l’opportunità derivante dall’introduzione di Technological Green Devices, quali la prototipizzata Pensilina Biotecnologica, strutturata attorno all’idea fondante della coltivazione di micro-alghe in aree urbane, di dimensioni standardizzate in 16 mq. Essa consentirebbe di fissare tanta CO2 quanto quella assorbibile, in media, da circa 80 alberi, risparmiando circa 1.650m2 di terreno, ovvero determinando il venir meno d’un costo collaterale di policy di piantumazione in aree cittadine, peraltro sovente semplicemente impossibile.

La biomassa algale prodotta dai devices di coltivazione microalgale nei cosiddetti “BioBoschi Urbani”, può razionalmente esser raccolta e re-impiegata nei settori alimentare, nutraceutico, cosmetico, ma anche agricolo, ad esempio, nel campo dei fertilizzanti agricoli, per la produzione biofertilizzanti agricoli, biofissazione della CO2 con produzione di oli vegetali (“distaccanti di processo”), facendo rientrare a pieno titolo tali devices nell’ambito dell’economia circolare sostenibile.  Si ritiene, quindi, che soluzioni technological based, quali l’esempio del “BioBosco Urbano”, rappresentino soluzioni corrette e razionali alle problematiche della riforestazione in aree urbane, poiché il rapporto fra spazio di un biobosco tecnologico e quello di un equivalente bosco naturale è circa di 1 a 200; inoltre, si determinino le seguenti concatenazioni logiche e motivazionali:

  1. l’urbanizzazione toglie spazi alla risposta naturale all’impatto antropico sulla qualità dell’aria (per il 60%, a causa del riscaldamento di abitazioni, negozi ed uffici);
  2. l’urbanizzazione concentra le emissioni di CO2 nei bassi strati della biosfera cittadina;
  3. la qualità dell’aria peggiora, diventando, ormai, una delle principali cause di morte e di spesa sanitaria indotta nelle aree metropolitane;
  4. il BioBosco urbano è in grado di fungere da “fissatore” di CO2 in aree cittadine prive di spazi significativi da adibire a Verde Pubblico Clima-Mitigante;
  5. il “BioBosco Urbano” potrebbe esser in grado di arrivare a fissare tanta CO2, in pochi mq e con l’opportunità di arricchire l’area di altri device ICT, quanto un boschetto di 70/90 alberi;
  6. l’introduzione e la diffusione di “BioBoschi Urbani” potrebbe perseguire sia l’obiettivo della mitigazione degli effetti negativi della concentrazione antropica in aree urbane, sia quello della diffusione della sensibilità e cultura della sostenibilità [19] in aree metropolitane.

 

È, infine, evidente anche il portato comunicativo e divulgativo dell’opzione tecnica illustrata nell’ambito di un più generale progetto politico di miglioramento degli indici ambientali, primo tra tutti la CO2 sequestrata per metro quadrato di territorio o meglio dire, la CO2 equivalente risparmiata rispetto ad iniziative paragonabili.

 

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