II 2.5 Irrigazione e salinizzazione del suolo

II.2.5  Irrigazione e salinizzazione del suolo

Tra salinizzazione e irrigazione esiste una stretta correlazione, testimoniata anche da innumerevoli eventi del passato. Il declino della civiltà mesopotamica (4-5.000 a.C.), ad esempio, viene fatto risalire dagli storici, oltre ad altre cause, anche alla salinizzazione dei suoli, conseguente allo sviluppo della pratica irrigua. Il declino di civiltà più recenti, come quella india della bassa valle del Viru in Perù, o della civiltà Harappa delle pianure dell’Indo, in India e Pakistan, o degli Indiani Hohokam della valle del Salt River in Arizona, è una possibile conseguenza dei processi di salinizzazione secondaria del suolo (Tanji, 1990).

Nonostante le esperienze negative, la salinizzazione delle aree irrigue, e talora anche di quelle circostanti, non diminuisce ma, al contrario, aumenta (Szabolcs, 1994). Secondo stime della FAO non recentissime (1971), ogni anno 10 milioni di ettari di territori irrigui vengono abbandonati a causa degli effetti negativi, causati da processi di salinizzazione e/o alcalizzazione secondaria, dovuti alla pratica irrigua.
Gli effetti sfavorevoli, che si determinano sull’ecosistema suolo, non sono uniformemente distribuiti nelle aree irrigue del mondo: in alcuni Paesi sono relativamente insignificanti, in altri assumono proporzioni inimmaginabili, come ad esempio in Pakistan ove su 16 milioni di ettari irrigui, le aree salinizzate ammontano a circa 2,4 milioni di ettari, o come in tutte le aree irrigue alluvionali del Perù, dove i caratteri di salinizzazione ed alcalizzazione secondaria sono molto pronunciati.
Almeno in 75 Paesi del mondo vi sono gravi problemi di salinizzazione secondaria dei suoli (Goudie, 1990) e nulla fa presagire che nel futuro la situazione migliori. Stime proiettate al 2020 sullo sviluppo dell’irrigazione e della conseguente salinizzazione secondaria (Szabolks, 1998) indicano non solo che gli andamenti nell’incremento delle aree irrigue e delle aree salinizzate sono quasi paralleli, ma anche, che i territori con salinizzazione secondaria sono più estesi dei territori irrigui. Ciò avviene sia perché nei primi sono compresi pure i territori affetti da vecchi processi di salinizzazione, sia perché la salinizzazione secondaria influenza, in genere, una superficie maggiore rispetto a quella irrigua (Szabolks, 1998).
La salinizzazione secondaria interessa principalmente i suoli dei Paesi che si affacciano sul bacino del Mediterraneo, in particolare laddove il clima è tendenzialmente caldo-arido. In questi ambienti, infatti, il ricorso all’irrigazione consente di ridurre i rischi legati ai deficit di umidità e di stabilizzare le produzioni e, fatto oltremodo positivo, di ampliare la gamma di scelta delle coltivazioni.
Negli ultimi 25 anni, le aree irrigue in questi Paesi hanno subito un incremento del 20% circa (Pla Sentis, 1996). Sono di solito localizzate in prossimità di zone ad alta concentrazione urbana ed industriale, ove si consuma gran parte dell’acqua di buona qualità. Ne consegue che, per scopi irrigui, si ricorre ad acque di scarsa qualità (principalmente saline), di reflui urbani o di effluenti industriali. A ciò si aggiunga l’eccessivo sfruttamento delle falde lungo le pianure costiere, che conduce frequentemente ad intrusione nell’acquifero di acque marine, e anche l’eccessivo ricorso a fertilizzanti e pesticidi. Questi ultimi, infatti, se usati in grande quantità nell’agricoltura irrigua, possono contaminare le acque superficiali o di falda, impiegate per scopi agricoli (e anche civili).

I cambiamenti climatici globali sono destinati a condizionare in senso negativo il quadro ora descritto. Nell’Europa mediterranea, in particolare, potrebbero provocare un incremento dell’indice di aridità che, influenzando il regime di umidità ed il bilancio salino dei suoli, darebbe luogo ad una minore lisciviazione e ad una maggiore salinizzazione. La conseguenza prevedibile è il raddoppio delle aree affette da salinità nel giro di una quarantina d’anni.
In Italia le aree a maggior rischio sono quelle centro-meridionali e insulari. Nel nostro Paese, pur in assenza di una cartografia dettagliata dei suoli salini, questi risultano prevalentemente distribuiti nella bassa padana, in lunghi tratti del litorale tirrenico e adriatico, nella fascia costiera della Puglia, della Basilicata e della Sardegna e in ampi tratti della Sicilia.


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