2. Caratteristiche, formazione e localizzazione degli idrati di metano

Gli idrati di metano appartengono alla categoria dei clatrati, sistemi solidi costituiti da un reticolo di composti chimici “ospitanti” che ingabbia nelle sue cavità piccole molecole “ospiti”; nel caso specifico, il reticolo è dato da un cristallo di ghiaccio, nel quale le molecole d’acqua sono unite tra loro da legami a idrogeno e nelle cui maglie sono intrappolate, senza stabilire alcun legame chimico con esse, molecole di metano, con un rapporto in peso tra le due sostanze rispettivamente dell’85 e del 15% (figura 1). Tali strutture, di formula CH4.6H2O e densità pari a 913 kg/m3, rappresentano una forma molto concentrata di gas naturale, contenendo per ogni volume di idrato circa 170 volumi di metano.

La scoperta degli idrati di metano risale agli anni trenta, quando nei gasdotti siberiani furono notate delle ostruzioni che impedivano il flusso del gas e che sembravano dovute alla formazione di cristalli di ghiaccio, nonostante la temperatura fosse superiore a zero gradi [01]. Fu Hammerschmidt ad individuare, nel 1934, la reale natura di tali cristalli, confermata quarant’anni più tardi dal primo ritrovamento di un imponente campione sul fondo dell’Oceano Atlantico [02][1].

Il metano incluso negli idrati viene generato dalla trasformazione della materia organica (plancton, fanghi, liquami) attraverso due tipi di processi: termogenico e biogenico. Nel primo caso, le sostanze organiche contenute nelle rocce madri vengono alterate dal progressivo aumento di temperatura che incontrano man mano che le rocce sprofondano nei bacini sedimentari; nel secondo, sono i batteri metanogeni, che agiscono all’interfaccia acqua-sedimenti, ad operare una decomposizione anaerobica della massa biologica morta. Gli idrati di origine biogenica risultano contenere essenzialmente metano puro, mentre quelli di origine termogenica contengono anche elevati livelli di etano, propano e butano (Gargiulo- Cimenti A. – Cimenti E., 2006).

Altamente infiammabili (si definiscono talvolta “ghiaccio che brucia”), gli idrati di metano si formano, in presenza di quantità sufficienti di acqua e gas, lì dove sussistono condizioni di bassa temperatura ed alta pressione, nelle quali l’acqua solidifica e le molecole di metano vengono compresse al punto da essere costrette a penetrare nel cristallo di ghiaccio. Tali condizioni si rinvengono essenzialmente lungo i margini delle piattaforme continentali, dove maggiore è la concentrazione di sostanza organica, a profondità comprese fra i 300 e i 4.000 metri [2]: infatti, a profondità minori la pressione non è abbastanza elevata, mentre oltre i 4.000 metri l’aumento di temperatura dovuto al gradiente termico e la scarsità di materia organica non ne consentono la formazione [04]. Depositi significativi sono presenti, tuttavia, anche sulla terraferma, a profondità di alcune centinaia di metri, in quelle aree polari e sub-polari il cui suolo è perennemente ghiacciato (permafrost).

A livello globale, i principali giacimenti di idrati di metano sono stati individuati lungo i margini continentali dell’Oceano Pacifico e dell’Oceano Atlantico, al largo delle coste di USA, America Centrale, Australia settentrionale e dell’Antartide [3], nonché nelle aree di permafrost di Siberia, Alaska e Canada, tra i 200 e i 1.000 metri (Gargiulo- Cimenti A. – Cimenti E., 2006) (figura 2).

Per la rilevazione dei depositi la tecnica più idonea è la sismica a riflessione, una metodologia d’indagine geofisica attiva, che sfrutta le proprietà elastiche del terreno (Agate, 2010); largamente utilizzata nell’esplorazione del sottosuolo e dei fondali marini, consiste nel generare, mediante un’esplosione, delle onde sismiche che, propagandosi in profondità, subiscono una riflessione nel momento in cui incontrano un’interfaccia tra due formazioni dalle caratteristiche litologiche e/o fisiche diverse, quali sono appunto gli idrati di metano e i sedimenti che li contengono (negli idrati di metano la velocità di propagazione del suono è elevatissima, ben superiore a quella degli altri strati). Le registrazioni ed elaborazioni dei segnali riflessi consentono non solo di individuare la presenza degli idrati, ma, utilizzando dei modelli teorici di propagazione delle onde, anche di stimarne la concentrazione [06]. Si ritiene attualmente che i quantitativi di metano contenuti nei depositi di idrati del pianeta siano almeno mille volte superiori ai consumi annui mondiali [07].



[1] Più in generale, la scoperta dei clatrati idrati viene fatta risalire all’inizio dell’Ottocento, quando gli scienziati Humphrey Davy e Michael Faraday osservarono che miscele di cloro ed acqua congelavano a temperature superiori allo zero (Riso,2005).

[2] Un’eccezione è costituita dall’Artico, la cui acqua, più fredda rispetto alla media globale, rende possibile la formazione di idrati già a 200 metri circa [03].

[3] In questo continente sono stati i nostri ricercatori dell’Istituto Nazionale di Oceanografia e Geofisica (ogs) a scoprire il primo campo di gas idrati [05].