6.1. Biofertilizzanti con batteri autoctoni

L’Istituto Basco per la Ricerca e lo Sviluppo in Agricoltura (Neiker-Tecnalia) ha dedicato una linea di ricerca ai biofertilizzanti con lo scopo di individuare e selezionare dei batteri autoctoni idonei ad essere impiegati nelle formulazione dei biofertilizzanti. La creazione di biofertilizzanti validi ad un prezzo accessibile potrebbe risultare estremamente vantaggioso sia per l’ambiente sia per gli agricoltori.

L’agricoltura sostenibile prevede un minor impiego di additivi chimici, siano fertilizzanti o fitofarmaci. I biofertilizzanti si stanno ponendo come delle possibili alternative e, tra questi, risultano particolarmente interessanti i formulati che contengono batteri autoctoni.
I batteri svolgono un ruolo importante in quanto, in un certo senso, aiutano le piante ad assorbire quei nutrienti già presenti nel suolo ma non normalmente fruibili in quanto insolubili. Inoltre, i batteri competono con gli altri microrganismi presenti nel suolo e possono, quindi, anche ostacolare la crescita e lo sviluppo di organismi nocivi per le colture.
Questa tipologia di biofertilizzante, pertanto, potrebbe portare non solo ad una diminuzione dell’uso di fertilizzanti di sintesi, ma pure di fitofarmaci.

I ricercatori dell’Istituto Neiker-Tecnalia hanno selezionato di recente un gruppo di batteri autoctono che ha dimostrato di possedere tutte le caratteristiche fondamentali per poter essere impiegato nella formulazione di biofertilizzanti.
Questi batteri si sono, infatti, dimostrati capaci di:

  • aumentare la disponibilità dei nutrienti presenti nel suolo (rendendoli così assimilabili da parte delle piante);
  • produrre ormoni che stimolano la crescita della piante;
  • stimolare lo sviluppo dell’apparato radicale;
  • impedire lo sviluppo di altri micro-organismi dannosi per la pianta.

Questa specie di batteri è normalmente presente sia nel terreno sia nel tessuto delle piante. Nei vari test effettuati in vitro, questi batteri hanno fornito degli ottimi risultati. Attualmente vengono testati su delle piante di lattuga coltivate in condizioni controllate. La scelta della lattuga come coltura per il test è dovuta ad una semplice convenienza temporale data la sua rapidità di crescita.
Il test comprende l’analisi di diversi tipi di fertilizzati per ottenere il maggior numero di informazioni sulla reale efficacia dei biofertilizzanti in generale.

Laboratorio Neiker Tecnalia per la sperimentazione di biofertilizzanti con batteri autoctoni
Crediti immagine: Neiker Tecnalia

 

Vengono quindi effettuate prove impiegando:

  • biofertilizzanti formulati con l’aggiunta di batteri;
  • biofertilizzanti prodotti in modo artigianale da agricoltori nella zona;
  • biofertilizzanti commerciali (come il bokashi);
  • fertilizzanti di sintesi.

Oltre al potere fertilizzante e alla capacità di aumentare la produttività in suoli poveri, i ricercatori misurano l’impatto del patogeno della Sclerotinia sclerotiorum sulle varie parcelle.
La Sclerotinia sclerotiorum è un fungo che attacca le radice e può causare la sclerotinosi, malattia che porta alla necrosi delle piante. Questo patogeno crea la formazione di strutture nere e rigide (chiamate scleroti) e di una polverina bianca di micelio che si forma sulle piante che ne sono affette.

Sclerotinia sclerotiorum su Phaseolus vulgaris
Crediti immagine:
Rasbak @ Wikimedia Commons

Ad essere maggiormente colpite sono le colture di patate, colza, girasole, fagioli, carote.
Se le prove in vitro verranno confermate, il biofertilizzante formulato con batteri dovrebbe aiutare la pianta a difendersi da sola da questo parassita.
Al termine delle prove in ambiente protetto si procederà con quelle in campo aperto.