3. Solarizzazione e biofumigazione

Uno dei fattori di maggiore impatto ambientale nel comparto florovivaistico è sicuramente l’impiego di fitofarmaci per la difesa fitosanitaria delle colture, soprattutto in un sistema chiuso quali sono le serre, dove si calcola si effettuino trattamenti che, per alcune specie floricole, possono superare i 20 interventi per coltura [06].

Dopo la messa al bando del bromuro di metile, largamente utilizzato in passato per la sua indubbia efficacia, l’ampio spettro di azione e i brevi tempi di applicazione, ma fortemente lesivo dello strato di ozono stratosferico, si fa ricorso oggi a prodotti chimici contenenti un centinaio di principi attivi che, seppure autorizzati, possono creare comunque problemi ambientali e tossicologici sia per gli operatori che ne devono fare uso che per le popolazioni potenzialmente esposte. Secondo l’OMS, ogni anno nel mondo vi sarebbero tre milioni di persone intossicate da pesticidi e 220.000 decessi riconducibili ad un loro uso indiscriminato (Battistel, 2012). Si stanno considerando, pertanto, con sempre maggiore interesse alcuni metodi che, senza voler essere alternativi, possono contribuire sensibilmente alla riduzione del consumo di fitofarmaci. Tra questi, oltre alla lotta integrata, all’impiego di tecniche agronomiche tradizionali, quali ad es. la rotazione, si segnala la crescente applicazione della solarizzazione e della biofumigazione.

La solarizzazione è una pratica di tipo fisico, che può essere effettuata sia in pieno campo sia nelle colture protette e che determina la morte o, quantomeno, l’inattivazione di una vasta gamma di agenti biologici, grazie alle elevate temperature che consente di realizzare nel suolo. Detta anche “pacciamatura riscaldante” o “pastorizzazione solare del terreno”, sfrutta l’effetto serra e il conseguente aumento di temperatura che si raggiunge negli strati superficiali del terreno stesso quando, dopo averlo opportunamente lavorato e inumidito, lo si ricopre con film plastici trasparenti [1] dello spessore di 0,03-0,05 mm (ne esistono sul mercato anche di biodegradabili), lasciandolo esposto all’irraggiamento solare per un periodo di almeno quattro settimane nei mesi più caldi e soleggiati (in Italia, tra luglio e agosto). In tali condizioni si possono raggiungere, fino a 30-40 cm di profondità, temperature di 45-50°C, tali da risultare letali per gran parte della microflora e microfauna e dei semi di infestanti presenti nel suolo [07].  

La solarizzazione assume un particolare interesse nel florovivaismo italiano per una serie di aspetti che caratterizza questa attività nel nostro Paese, tra i quali la localizzazione delle produzioni in zone calde e soleggiate, ideali per l’attuazione di tale pratica, e la brevissima distanza che, nelle zone floricole tradizionali, separa le aziende produttive dagli insediamenti abitativi (vedi, ad esempio, Pescia, Sanremo, Torre del Greco), rendendo pericoloso per questi ultimi un impiego massiccio di pesticidi.

Un metodo fisico capace di combattere efficacemente una vasta gamma di agenti patogeni presenti nel terreno è anche la vaporizzazione che, attraverso l’iniezione di vapore nel suolo, consente di raggiungere temperature tali da sterilizzarlo.

Un’alternativa ai fumiganti tradizionali che può essere utilizzata in sinergia con la solarizzazione, è la biofumigazione. Si tratta di una tecnica che sfrutta un sistema naturale di difesa di cui sono dotate le piante appartenenti alla famiglia delle Brassicaceae, delle Capparidaceae e di altre Dicotiledoni: queste contengono nei loro tessuti dei glucosinolati, i quali, nel momento in cui le cellule subiscono delle lesioni ad opera di fattori abiotici o biotici, vengono a contatto con un enzima (normalmente localizzato in altro comparto cellulare), che li idrolizza liberando isotiocianati, nitrili ed altri composti tossici per batteri, funghi, nematodi, insetti ecc. Tale attività biocida è stata, pertanto, sfruttata introducendo nel terreno alcune specie di Brassicaceae, da utilizzare come colture da sovescio; più recentemente, però, per l’applicazione della biofumigazione al comparto del florovivaismo si è ritenuto più conveniente utilizzare degli estratti secchi, disponibili in commercio sotto forma di pellet o farine di semi disoleati, da spargere direttamente sul suolo: in questo modo, oltre ad una maggiore praticità e velocità, si ottengono risultati più efficaci [07], [08].

 


[1] I materiali generalmente preferiti sono PVC, EVA e LDPE.