l'arte di vedere le cose

L’ arte di vedere le cose. Leggere il libro della natura


John Burroughs, (1837-1921) nato a Roxbury nello Stato di New York, fu uno dei principali esponenti del nature writing americano. Fu tra gli autori naturalistici più amati ai suoi tempi, tanto che i suoi libri furono adottati dal sistema scolastico americano. Figlio di un fattore, discendente a sua volta da famiglie di fattori, trascorse quasi tutta la vita a contatto con la natura, alternando la vita di contadino con quella di camminatore e di scrittore. La natura intorno a noi è come un libro, diceva e “nella vita della natura le cose che ci circondano sono come parole scritte che l’osservatore deve abbinare per comporre delle frasi, o come parole in codice di cui egli deve trovare la chiave di lettura”.
In questo libro sono raccolti alcuni saggi finora inediti, in cui si intrecciano la visione dello scienziato e quella del poeta. “Per lo scienziato la natura è una riserva di dati, leggi e processi; per l’artista lo è di immagini, creatività e ispirazione…”, dice ne “L’arte di vedere le cose”, il saggio che dà il titolo al libro. Percepire le cose è un’arte che richiede esercizio e allenamento, richiede attenzione e mente sensibile verso gli elementi esteriori. Le abilità di osservazione possono essere educate. A differenza degli oggetti artificiali che sappiamo identificare subito, per la natura “è necessaria un’iniziazione, poiché la natura è come una congregazione i cui segreti sono gelosamente custoditi".  Ricchi, incisivi e appassionati i suggerimenti di Burroughs, vere lezioni per educarci a percepire i particolari e scoprire gli aspetti che della natura ci sfuggono e di cui possiamo cogliere le sfumature nel camminare lento a contatto diretto e in dialogo con la terra e i suoi elementi, con entusiasmo e anelito d’infinito. “Ebbrezza del camminare” è il titolo del saggio.
Nel 1895 Burroughs lascia Riverby, in cui era vissuto per tanti anni, una tenuta agricola sulla riva occidentale del fiume Hudson, e si trasferisce a circa un miglio di distanza in un terreno boscoso e montagnoso dove con l’aiuto del figlio Julian costruisce una capanna in legno, a due piani, con porticato esterno. I paesaggi fluviali di Riverby gli erano venuti a noia e in questo luogo appartato e selvaggio, ritrova tutto se stesso e la comunione con quello che lo circonda. La descrizione di questa sua vita rinnovata è incantevole nell’ultimo saggio del libro: “Una capanna nella natura selvaggia”, la cui lettura ci immerge nell’atmosfera sognante di suoni e rumori sconosciuti prima, di boschi e fiumi isolati, di uccelli rari e animali selvatici, quali la lontra di cui ogni inverno, sulle rive del Black Creek, Burroughs vede le impronte sulla neve, oppure l’aquila di mare dalla testa bianca, dal 1782 simbolo degli Stati Uniti d’America, che può volteggiare maestosa e sicura tra la “selvatichezza, il fascino e la maestosità della natura” senza che debba temere un fucile, inseguita nel suo volo solo da un timido binocolo.

Etta Artale