Drigo - gli uccelli non muoiono mai

Gli uccelli non muoiono mai

Il cammino della vita non è certo una linea retta ma un insieme di linee curve con cambi di direzione, tornanti, sentieri erbosi e rocciosi, faticose salite e discese insidiose. L’autore è un medico che ha perso da poco suo padre lungo un sentiero di montagna. Questo suo primo libro si potrebbe considerare un modo per ricordarlo e onoralo camminando lungo i suoi sentieri accompagnato dal figlio quasi adolescente. Quattro giorni di cammino lento e attento su sentieri ben conosciuti da quanti frequentano le Dolomiti Feltrine, considerate un po’ secondarie rispetto a quelle più note del Cortinese.

Sembra un canovaccio quasi scontato, un escursionista si aspetta di ritrovarsi sul quel sentiero già percorso e presso quel rifugio ben conosciuto. Ma è sufficiente aprire il libro con l’ouverture del violoncellista Mario Brunello per scoprire, proprio scoprire che, camminando, non si raggiungono solo delle mete più o meno note ma si disvelano gioielli, pietre preziose, colori, storie, emozioni, visioni.

A leggere il prologo dell’autore viene in mente il Montale di Ossi di seppia, "Non chiederci la parola", perché Drigo elenca una lunga serie di NON, ovvero cosa non è questo libro. Andiamo oltre come in montagna, perché questo testo è principalmente amore verso: la natura, il tempo di un passo lento, i fiori, le rocce, le favole dei monti pallidi, i ricordi che si sovrappongono alla mappa scala 1:25.000. E la storia umana che lega i miti greci ai fiori più belli. Quanta strada si può fare fermandoci ad annusare la nigritella, orchidea che profuma di …..merendina! Sì proprio così può rispondere un ragazzo che della vaniglia conosce il sentore nelle merendine cellofanate. Da padre l’autore accoglie la risposta perché comunque suo figlio si è inchinato per annusare. Amore per la musica che accompagna le pagine tra la realtà del Rifugio Dal Piaz e la fantasia. Intreccio tra le vite di pazienti con le loro malattie, psicosomatiche o psicoaffettive come Pierìn innamorato dell’acqua, o meglio delle mitica anguana che nelle pozze cristalline abita. O Chino che disprezza senza mezzi termini gli escursionisti sempre di corsa che sembrano avere un unico scopo raggiungere cime e scendere nel minor tempo possibile per poi raccontarlo. Ma di quelle cime non conoscono nemmeno il nome. Lui, Chino le ha battezzate tutte perché tutto deve avere un nome per essere riconosciuto.
E il dolore? Dove troviamo il dolore della perdita? Il bambino è turbato dalla pianta carnivora che avvolge la formica e se la mangia. Ma di uccelli morti non ne vede! Già sono pasto di qualche predatore, magari umano. E pone la domanda: ma dove sono gli uccelli morti? Gli uccelli non muoiono mai vanno a volare da un’altra parte è la risposta del padre. Già chi muore vola in un altro cielo! E senza citarlo pensa a suo padre e a se stesso quando se ne andrà.

Lasciamo al lettore curioso scoprire le tante storie, di miti, leggende e di umani legati a questa terra. Citando la zia Dirce l’autore ricorda sempre che “la vita non è un’autostrada”. Sperimentando una lenta camminata lungo un sinuoso sentiero di montagna, senza la bramosia di raggiungere una cima, ciascuno può verificare che, solo passo dopo passo, possiamo cogliere quanto correndo non vediamo.

Qualche escursionista del sabato con ciaspole, ramponi e cronometro al polso può non apprezzare questo scorrere delle parole dell’autore, le sue divagazioni mitologiche, botaniche o musicali. Ma a pensarci bene il divagare è un mestiere antico dei Sapiens, perché se non avessimo cambiato direzione avremmo perso occasioni uniche di conoscenza e sapienza.

Il cammino della vita non è certo una linea retta ma un insieme di linee curve con cambi di direzione, tornanti, sentieri erbosi e rocciosi, faticose salite e discese insidiose. L’autore è un medico che ha perso da poco suo padre lungo un sentiero di montagna. Questo suo primo libro si potrebbe considerare un modo per ricordarlo e onoralo camminando lungo i suoi sentieri accompagnato dal figlio quasi adolescente. Quattro giorni di cammino lento e attento su sentieri ben conosciuti da quanti frequentano le Dolomiti Feltrine, considerate un po’ secondarie rispetto a quelle più note del Cortinese.

Sembra un canovaccio quasi scontato, un escursionista si aspetta di ritrovarsi sul quel sentiero già percorso e presso quel rifugio ben conosciuto. Ma è sufficiente aprire il libro con l’ouverture del violoncellista Mario Brunello per scoprire, proprio scoprire che, camminando, non si raggiungono solo delle mete più o meno note ma si disvelano gioielli, pietre preziose, colori, storie, emozioni, visioni.

A leggere il prologo dell’autore viene in mente il Montale di Ossi di seppia, non chiederci la parola, perché Drigo elenca una lunga serie di NON, ovvero cosa non è questo libro. Andiamo oltre come in montagna, perché questo testo è principalmente amore verso: la natura, il tempo di un passo lento, i fiori, le rocce, le favole dei monti pallidi, i ricordi che si sovrappongono alla mappa scala 1:25.000. E la storia umana che lega i miti greci ai fiori più belli. Quanta strada si può fare fermandoci ad annusare la nigritella, orchidea che profuma di …..merendina! Sì proprio così può rispondere un ragazzo che della vaniglia conosce il sentore nelle merendine cellofanate. Da padre l’autore accoglie la risposta perché comunque suo figlio si è inchinato per annusare. Amore per la musica che accompagna le pagine tra la realtà del Rifugio Dal Piaz e la fantasia. Intreccio tra le vite di pazienti con le loro malattie, psicosomatiche o psicoaffettive come Pierìn innamorato dell’acqua, o meglio delle mitica anguana che nelle pozze cristalline abita. O Chino che disprezza senza mezzi termini gli escursionisti sempre di corsa che sembrano avere un unico scopo raggiungere cime e scendere nel minor tempo possibile per poi raccontarlo. Ma di quelle cime non conoscono nemmeno il nome. Lui, Chino le ha battezzate tutte perché tutto deve avere un nome per essere riconosciuto.

E il dolore? Dove troviamo il dolore della perdita? Il bambino è turbato dalla pianta carnivora che avvolge la formica e se la mangia. Ma di uccelli morti non ne vede! Già sono pasto di qualche predatore, magari umano. E pone la domanda: ma dove sono gli uccelli morti? Gli uccelli non muoiono mai vanno a volare da un’altra parte è la risposta del padre. Già chi muore vola in un altro cielo! E senza citarlo pensa a suo padre e a se stesso quando se ne andrà. Lasciamo al lettore curioso scoprire le tante storie, di miti, leggende e di umani legati a questa terra. Citando la zia Dirce l’autore ricorda sempre che “la vita non è un’autostrada”. Sperimentando una lenta camminata lungo un sinuoso sentiero di montagna, senza la bramosia di raggiungere una cima, ciascuno può verificare che, solo passo dopo passo, possiamo cogliere quanto correndo non vediamo.
Qualche escursionista del sabato con ciaspole, ramponi e cronometro al polso può non apprezzare questo scorrere delle parole dell’autore, le sue divagazioni mitologiche, botaniche o musicali. Ma a pensarci bene il divagare è un mestiere antico dei Sapiens, perché se non avessimo cambiato direzione avremmo perso occasioni uniche di conoscenza e sapienza.

Alberta Vittadello

fiori selvatici

Fiori selvatici

Traduzione di Luca Castelletti
Illustrazioni di Barry Moser


Henry David Thoreau, filosofo, scrittore e poeta statunitense, nasce a Concord, nel Massachusetts, il 12 luglio 1817, muore nel 1862.
Si laurea in filosofia ad Harvard nel 1837.  È animato da un forte interesse estetico, filosofico e spirituale per le filosofie orientali, per la lingua greca e latina e per la natura. Propugna uno stile di vita a stretto contatto con questa e, gradualmente, studiando dal punto di vista scientifico piante, alberi e fiori, ne diventa profondo conoscitore. Fu uno degli scrittori e filosofi più amati negli Stati Uniti nella sua epoca.
In ogni stagione dell'anno Thoreau si metteva in cammino tra campi, boschi e paludi, esplorando e registrando tutto sui celebri Journal, i suoi diari.
A partire dal 1850, quando compie trentatré anni, dà sistemazione alle sue conoscenze botaniche che ha approfondito soprattutto nei due anni di soggiorno in isolamento in mezzo alla Natura nei pressi de lago Walden (nel 1854 pubblica il libro “Walden, ovvero vita nei boschi”, testo ecologista diffuso e  amato).

"Fiori selvatici", il libro appena pubblicato da Piano B, offre un'ampia selezione degli scritti più belli di Henry David Thoreau ispirati agli alberi, alle piante e ai fiori incontrati durante le lunghe escursioni botaniche che impegnarono gli ultimi dieci anni della sua vita. Le descrizioni sono sotto forma di diario, Thoreau segue l'evolversi di piante e fiori nelle stagioni e nei giorni, con la passione, la delicatezza e l’emozione di chi della Natura ha fatto la propria madre.
Più di duecento sono le illustrazioni in bianco e nero dell’artista e illustratore Barry Moser. Illuminante, nella prima parte del libro, il saggio “Thoreau e la botanica” di Ray Angel che, grande esperto della flora nordamericana, delinea la figura di Thoreau e il suo passaggio dalla passione spirituale e filosofica per gli elementi naturali, alla conoscenza accuratamente scientifica di piante, alberi e fiori.

La Redazione

L

Il Testamento di Heiligenstadt e Quaderni di conversazione, di Ludwig Van Beethoven

Traduzione di Sandro Cappelletto 


Ascoltando le composizioni di L.V. Beethoven credo sia impossibile non pensare alla sua vita. La musica lo ha consolato, gli ha permesso di aggrapparsi alla vita, è una sua affermazione “la mia arte solo quella mi ha trattenuto”. Trattenuto dal chiudere il suo capitolo terreno fatto di sofferenza fisica, di mancanza di affetti stabili e di una propria famiglia. Quanto avrebbe perso l’umanità senza le note della sonata Appassionata o della Nona sinfonia non è dato sapere. Perché quelle note le abbiamo, ci entrano, ci appassionano, entusiasmano, addolorano. Troviamo questo complesso mondo emotivo nel cosiddetto testamento indirizzato ai fratelli, uno citato, Kaspar Karl e uno sottinteso con i puntini di sospensione dove avrebbe dovuto comparire Nicolaus Johann. Già, Johann un nome che il Ludwig vuole dimenticare: quel padre alcolizzato e autoritario non in grado di sostenere i figli nella loro crescita. In tutti gli scritti del musicista sia nel testamento di Heiligenstadt che nei quaderni di conversazione il nome del padre e del fratello omonimo non viene mai citato.

Ai Quaderni di conversazione scritti tra il 1818 e il 1827, anni in cui il problema all’udito si acuisce e la sordità diviene completa, Beethoven affida la sua quotidianità. Dal disagio fisico, alle beghe giudiziarie per l’affido del nipote Karl, figlio della cognata Johanna. Un Ludwig che si occupa di interessi bancari, di conti da far quadrare giorno dopo giorno. Troviamo quindi la retta per il tutore del nipote, oltre che la scelta delle figure cui affidarlo per toglierlo dall’influenza materna, la stufa da scegliere per rendere vivibile l’ambiente, sarà di ceramica più efficiente di quella metallica. E ancora il suo ritratto più famoso opera di Joseph Karl Stieler, mentre compone la Missa Solemnis in D. Quante volte ci si sofferma su quello sguardo, severo? Ispirato, Deciso? Irato? Tutti questi aggettivi insieme. Gli occhi rivolti verso l’alto come spesso fanno le persone che non sentono perché i suoni a loro vengono da dentro, dal cervello che sta sopra. L. V. Beethoven si mette in posa, una due tre volte per ore senza protestare, lui che è sempre pieno di impegni sta in posa paziente come chiede il pittore. Quante note percorrono la sua mente possiamo solo intuirlo. E troviamo anche un Beethoven a cena con gli amici, sempre con il suo quaderno in mano, unico strumento per comunicare, per continuare il dialogo con gli altri e per condividere un bicchiere di fresco vino Tokaji.
Sandro Cappelletto traduce e commenta i quaderni permettendo al lettore di scoprire un Beethoven appassionato di lettura, altro elemento che lo conforta, filosofia e arte. Interessato nel contempo agli avvenimenti sociali e politici delle prime decadi del 1800. E sono sempre presenti emozioni forti: passione, sofferenza, eccitazione, dolore, trionfo, dolcezza. Emozioni che ci vengono trasmesse dalla sua musica come quando si ascolta a occhi chiusi l’Eroica dedicata Napoleone che “tradisce” il pensiero di Ludwig, oppure il dolcissimo incedere della sonata per Elisa.

Alberta Vittadello