Vent’anni di Donne e scienza. Valorizzare la ricerca femminile tra presente e futuro

Un articolo di Federica D’Auria pubblicato il 18 novembre 2023 su “Il Bo Live” dell’Università di Padova

Sono venti le candeline che spegne quest’anno l’associazione Donne e scienza, che dal 2003 a questa parte è impegnata su diversi fronti per la promozione dei talenti femminili nel mondo della ricerca. Dai tentativi di dialogo con le istituzioni politiche, ai progetti nelle scuole, fino alle attività di comunicazione e sensibilizzazione, l’associazione cerca di contribuire alla diffusione di una cultura scientifica che riconosca il giusto valore ai meriti e alle esperienze femminili. Le disuguaglianze di genere ancora diffuse in questo settore non fanno altro che intralciare il progresso scientifico e tecnologico, creando alcuni fenomeni problematici come, ad esempio, la segregazione delle carriere (la distribuzione diseguale di uomini e donne tra i vari settori professionali e i diversi livelli di carriera non in base al merito e alle preferenze personali, ma a causa dei ruoli e delle aspettative che la società attribuisce loro a priori) e il mancato riconoscimento del merito e del lavoro delle scienziate.

Tali disparità sono dovute ad alcuni pregiudizi culturali radicati da secoli nel nostro immaginario collettivo. Combattere questi stereotipi è uno degli scopi principali di Donne e scienza, il cui ventesimo compleanno ha un significato importante per Sveva Avveduto, ricercatrice emerita del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) e presidente dell’associazione dal 2017. “Donne e Scienza è stata fondata il 21 Novembre 2003 da un piccolo gruppo di studiose e scienziate di varie discipline, impegnate dagli anni Ottanta in poi in attività concernenti la presenza femminile nel mondo della ricerca e l’analisi della scienza contemporanea”, racconta Avveduto. “Negli anni, l’associazione è cresciuta grazie all’aggiunta di nuove socie (e soci, abbiamo infatti aperto l’accesso anche agli uomini) provenienti non solo dagli enti di ricerca e dalle università, ma anche dalla scuola, e dal mondo del giornalismo e della comunicazione scientifica.

La finalità di Donne e scienza è quella di promuovere la partecipazione delle donne all’attività scientifica sia quantitativamente sia qualitativamente, attraverso la ricerca e la riflessione, la documentazione e le relative pubblicazioni, la trasmissione e la comunicazione. Ci proponiamo di costruire una rete italiana per lo scambio di informazioni, progetti e iniziative e di approfondire la condizione delle donne coinvolte nella ricerca scientifica sia pubblica che privata. Più in generale, cerchiamo di contribuire alla costruzione di un più ampio dibattito sui rapporti tra scienza e società tenendo conto della cultura di genere in un periodo in cui gli sviluppi scientifici pongono scelte politiche, economiche ed etiche fondamentali riguardanti il presente e il futuro della vita di cittadini e cittadine. Tra gli scopi e le attività vi è anche la promozione dell’integrazione della dimensione di genere nella ricerca e nell’innovazione”.

Sono diverse le iniziative e i progetti organizzati dall’associazione per promuovere i talenti femminili e incoraggiare la partecipazione delle ragazze all’educazione scientifica. “Ci siamo recate in molte scuole a parlare con gli studenti e le studentesse con presentazioni e dibattiti sul tema”, prosegue Avveduto, “abbiamo inoltre coordinato o partecipato a diversi progetti e laboratori dedicati alla cultura scientifica con lo scopo di promuovere le soggettività e le esperienze femminili nel mondo della ricerca.

L’associazione ha inoltre aderito a diversi progetti europei contribuendo a valorizzare, promuovere e organizzare la partecipazione delle ricercatrici italiane alle iniziative italiane e internazionali. Donne e Scienza è componente e membro fondatore dell’European Platform of Women Scientists, un’organizzazione nata sotto l’egida della Commissione Europea che unisce in rete tutte le varie associazioni di scienziate dei paesi europei. Donne e Scienza ne detiene attualmente la presidenza ed è sempre stata presente con sue rappresentanti nel Board. L’associazione fa inoltre parte del Gruppo Women 20, engagement group del G20, con la presenza della sua presidente quale delegata italiana; tramite questo canale è possibile veicolare rilevanti indicazioni per la parità di genere che vengono poi recepite dal G20 e diffuse nei Paesi membri”.

Quanto al problema degli stereotipi culturali che esacerbano le disuguaglianze di genere, “una domanda che purtroppo non è ancora raro sentire è: Le donne hanno talento per la scienza?”, constata Avveduto. “Non solo il cosiddetto “uomo della strada” ma anche fior di scienziati e politici ancora rispondono negativamente  o almeno selettivamente – a questo interrogativo affermando, ad esempio, che le donne siano più portate per le professioni scientifiche di cura (preferibilmente nel ruolo di infermiere), e così via.

I fattori che scoraggiano la partecipazione femminile alla scienza scaturiscono da una combinazione di stereotipi culturali e sociali riguardo alle capacità di donne e ragazze. Queste ultime ricevono diversi messaggi più o meno espliciti rispetto alla loro presunta difficoltà ad affrontare gli studi e, successivamente, a una minore propensione per le carriere scientifiche. Talvolta sono gli stessi insegnanti delle scuole superiori o i genitori che ostacolano l’iscrizione delle ragazze alle facoltà STEM spesso inducendole a dubitare delle loro stesse capacità e, di conseguenza, a rinunciare. Tali stereotipi sono anche il motivo per cui il talento e il lavoro delle scienziate è spesso stato sottovalutato nel corso della storia, come dimostrano, ad esempio, il mancato riconoscimento del premo Nobel ad alcune grandi studiose che hanno contribuito all’avanzamento della scienza e alle scoperte tanto quanto i loro colleghi uomini”.

Per contrastare questi pregiudizi, come sostiene Avveduto, è necessaria la diffusione di alcune buone pratiche orientate alla costruzione di una cultura collettiva meno sessista sin dai primi livelli di istruzione. “Bisogna distribuire compiti e opportunità paritetiche fin dalla scuola dell’infanzia”, afferma la presidente di Donne e scienza. “Nei successivi cicli scolastici è molto importante che i docenti siano consapevoli dei messaggi anche impliciti che trasmettono agli allievi e alle allieve”. Per quanto riguarda invece la definizione di politiche finalizzate al raggiungimento della parità di genere e alla limitazione del numero di donne che abbandonano la carriera scientifica, Avveduto sottolinea quanto sia importante l’attuazione di misure di sostegno all’equilibrio vita/lavoro anche da parte dei singoli enti di ricerca e università. “Alcuni strumenti efficaci che si stanno pian piano diffondendo in questi contesti sono i piani di parità di genere (GEP) 

La promozione di una cultura scientifica inclusiva e la lotta alle discriminazioni di genere nel mondo della ricerca saranno tra gli argomenti approfonditi nella tavola rotonda su donne e scienza che Avveduto modererà durante il Convegno nazionale di comunicazione della scienza organizzato dalla Sissa di Trieste. “Parleremo delle tematiche in questione con uno sguardo al futuro”, spiega la presidente. È importante infatti monitorare la presenza delle donne negli ambiti di ricerca più innovativi della nostra epoca, che promettono di giocare un ruolo chiave nel progresso scientifico e tecnologico del futuro, come ad esempio l’intelligenza artificiale, le biotecnologie o la corsa al computer quantistico. “In questi settori – continua Avveduto – la partecipazione delle donne non è molto diffusa né tanto meno paritetica rispetto a quella degli uomini.

Per anni si è parlato e scritto di inclusione. . Nulla di male, anzi, qualcosa di necessario: più donne nella forza lavoro, meno divario salariale di genere, più azioni contro il gender digital divide (le disuguaglianze di genere nell’accesso alle tecnologie digitali, ndr), più ragazze iscritte nelle facoltà STEM, maggior numero di ricercatrici nelle accademie e nella ricerca pubblica e privata, e così via. È adesso però molto importante passare dall’inclusione all’empowerment: non basta avere un congruo numero di donne tout courma è necessaria una presenza femminile consistente nelle stanze che contano, ai tavoli che definiscono la politica della scienza e della ricerca e in tutte le posizioni di vertice che possono concretamente orientare il futuro dell’innovazione.

Per ottenere l’uguaglianza è importante, perciò, creare un quadro europeo per la diversità, l’inclusione e l’empowerment, colmando i divari di genere e tenendo in considerazione l’intersezionalità tra genere e altre categorie sociali spesso motivo di discriminazione, quali etnia, presenza di disabilità e orientamento sessuale. Solo così si potrà raggiungere la cosiddetta gendered innovation, ovvero l’integrazione della dimensione di genere nella ricerca”.  

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Il 21 novembre è la Giornata Nazionale degli Alberi

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In occasione della Giornata Nazionale degli Alberi, PEFC Italia, Ente promotore della corretta e sostenibile gestione del patrimonio forestale, presenta le nuove linee guida per trasformare i centri abitati in alleati ideali nella lotta al climate change

Più della metà della popolazione mondiale (e in Italia il 72% della popolazione nazionale) vive in una grande città e si stima che, entro il 2050, il 70% degli abitanti della Terra sarà concentrato nelle aree urbane1. Di conseguenza, le città consumano il 78% dell’energia mondiale e producono oltre il 60% delle emissioni di gas serra, contribuendo in maniera determinante al cambiamento climatico2. Questi dati indicano in maniera evidente come gli alberi in città e le foreste urbane siano al giorno d’oggi i più preziosi alleati nella lotta all’emergenza climatica: basti pensare che un ettaro di foresta assorbe fino a 30 kg di PM10, che una singola pianta situata in città assorbe tra i 10 e i 20 kg di CO2 l’anno e che la presenza degli alberi può ridurre la temperatura ambientale di una media di 3,5°. Mantenere in salute e incrementare il verde urbano e le cosiddette “green infrastructure” è dunque sempre più urgente e necessario.

La certificazione del PEFC ha come obiettivo principale assicurare la regolare fornitura da parte del Verde Urbano dei Servizi Ecosistemici, ovvero benefici multipli forniti dagli ecosistemi al genere umano, a partire dalla capacità di assorbire CO2. L’aumento del verde cittadino può, tra le altre cose, avere un impatto anche sul mercato immobiliare, maggiorando il prezzo delle proprietà fino al 20% del loro valore, nonché svolgere un importante ruolo di regolazione del rischio idraulico: maggiore è la densità di piante e minore è il rischio di erosione del suolo e di conseguenti esondazioni. Infine, ci sono i vantaggi sociali e aggregativi: il numero degli spazi verdi e all’aria aperta a disposizione dei cittadini è direttamente proporzionale alla possibilità di creare interazione, condivisione e occasione per dedicarsi alle attività sportive, migliorando il benessere sia fisico che mentale della comunità.

Il nuovo standard, è uno strumento in grado di dare garanzia sulla gestione sostenibile del Verde Urbano, e si applica alle alberature lineari o diffuse lungo strade di quartiere e di transito, ai parchi e giardini pubblici e privati, alle foreste urbane3, che diventano hub di servizi “green” a favore della cittadinanza. Lo standard, in attesa della sua approvazione a livello internazionale, è stato già applicato in Italia a due realtà di grande rilievo: il Parco Nord di Milano e il Comune di Torino.

Una recente proiezione delle Nazioni Unite suggerisce che, nel 2050, la popolazione mondiale sarà cresciuta fino a 9,7 miliardi di persone. Sensibilizzare i cittadini verso le tematiche ambientali è di vitale importanza ed è proprio da questo che nasce l’impegno di PEFC per generare awareness nella valorizzazione del legno urbano, delle conseguenti microeconomie e della futura applicazione di questo nuovo protocollo per la fornitura di servizi ecosistemici derivati”, spiega Marco Bussone, Presidente PEFC Italia.

Alla base della certificazione, lo standard individua in particolare 6 criteri-chiave.

1) Il mantenimento e il miglioramento del verde urbano mediante variazioni di superficie e censimento del verde e del bilancio arboreo, implementando buone pratiche per contribuire positivamente al ciclo globale del carbonio.

2) Il mantenimento della salute e della vitalità degli ecosistemi attraverso il monitoraggio, gli interventi di potatura, la difesa fitosanitaria, la fertilizzazione, l’impianto e la messa a dimora.

3) Il mantenimento e lo sviluppo delle funzioni produttive nella gestione delle aree verdi attraverso un piano di cura, di gestione e di regolamentazione del verde.

4) Il mantenimento, la conservazione e un appropriato miglioramento della diversità biologica, attraverso la preservazione di aree e specie animali o vegetali a rischio, di aree destinate alla biodiversità e di alberi monumentali e appartenenti a specie rare, mediante l’implementazione di pratiche di prevenzione, mitigazione e compensazione nella costruzione e gestione di infrastrutture in ecosistemi rari, sensibili o rappresentativi.

5) Il mantenimento e il miglioramento delle funzioni protettive della gestione attraverso la copertura arborea, l’inventario, la mappatura, la pianificazione di suoli sensibili e di aree con funzioni protettive specifiche dirette nonché l’impermeabilizzazione e regimazione delle acque meteoriche e la stima del fabbisogno irriguo.

6) Il mantenimento delle altre funzioni e delle condizioni socio-economiche tramite la comunicazione e l’invito alla partecipazione pubblica, il monitoraggio del rischio connesso alla presenza di alberi, la gestione assicurativa di eventuali danni o controversie e l’analisi di problematiche relative a pollini e allergeni, oltre alla valutazione dell’inquinamento acustico e alla supervisione dell’indice di specializzazione del personale impiegato nel settore verde.

Per approfondire:  https://pefc.it/cosa-facciamo/il-verde-urbano/verde-urbano

Chi è PEFC Italia

PEFC Italia è un’associazione senza fini di lucro che costituisce l’organo di governo nazionale del sistema di certificazione PEFC (Programme for Endorsement of Forest Certification schemes), cioè il Programma di Valutazione degli schemi di certificazione forestale. Il PEFC è un’iniziativa internazionale basata su una larga intesa delle parti interessate all’implementazione della gestione forestale sostenibile a livello nazionale e regionale. Partecipano allo sviluppo del PEFC i rappresentanti dei proprietari forestali e dei pioppeti, dei consumatori finali, degli utilizzatori, dei liberi professionisti, del mondo dell’industria del legno e dell’artigianato. Tra i suoi obiettivi si segnala quello di migliorare l’immagine della selvicoltura e della filiera foresta–legno, fornendo di fatto uno strumento di mercato che consenta di commercializzare legno e prodotti della foresta derivanti da boschi e impianti gestiti in modo sostenibile

Il riscaldamento globale, le emissioni di gas serra da parte dei bovini e la sostenibilità della produzione di latte

di Mauro Antongiovanni

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Un articolo comparso l’8 novembre 2023 su “Georgofili Info”, Notiziario di informazione
a cura dell’Accademia dei Georgofili

Le attività umane legate all’agricoltura, ovvero alla produzione degli alimenti senza i quali non saremmo vivi, sono spesso considerate come le principali responsabili del pericoloso aumento della concentrazione dei gas serra in atmosfera. I tanti “esperti”, sempre presenti in televisione, sui giornali e sui “social”, non si fanno scrupolo di propinare dati spesso falsi, senza vergogna.
Per chiarirci le idee su come stanno verosimilmente le cose, diamo un’occhiata alla recente pubblicazione della FAO dal titolo “Methane emissions in livestock and rice systems. Sources, quantification, mitigation and metrics” del 25 settembre 2023.
Per prima cosa si identifica nel metano il più pericoloso gas serra carbonico in termini di influenza nei riguardi del riscaldamento globale. Per seconda cosa si indicano nella zootecnia e nella risicoltura le due attività agricole maggiormente responsabili della produzione di metano. Ovviamente non si può fare a meno né dell’una, come vorrebbero i vegani, né dell’altra, senza la quale gran parte gli abitanti dell’Asia e dell’Africa non avrebbero di che sostentarsi.
La pubblicazione, frutto del lavoro di ricerca di ben 54 esperti internazionali facenti capo alla LEAP (Livestock Environmental Assessment and Performance Partnership), indica quali potrebbero essere le strategie per limitare le emissioni prodotte dai due settori produttivi citati. Il metano, secondo questo rapporto, pesa per circa il 20% del totale di gas serra emessi in atmosfera, ma vale circa 25 volte più dell’anidride carbonica in termini di contributo al riscaldamento globale. Si stima che le emissioni di metano, da sole, contribuiscano ad aumentare di 0.5° Celsius la temperatura globale. Pertanto, il loro controllo è importante ai fini di raggiungere i parametri dell’accordo di Parigi del 2015.
Più di 150 Paesi si stanno impegnando per ridurre del 30% le emissioni di metano entro il 2030 per arrivare a non superare un incremento di temperatura di più di 0.2° Celsius entro il 2050. Tutto ciò rientra nei programmi “FAO Strategy on Climate Change” e “Strategic Framework 2022-2031”. Gli obbiettivi dichiarati, raggiungibili attraverso uno sforzo olistico, sono una miscela di “migliori produzioni, migliore nutrizione, migliore ambiente e migliore vita”, il tutto identificato come “the Four Betters”.
Il rapporto attribuisce le altre fonti di metano alla gestione delle discariche, ai sistemi di estrazione del petrolio e dei gas naturali, alle miniere di carbone. Circa il 32% delle emissioni totali di metano deriva, invece, dai processi fermentativi enterici dei ruminanti e dalla gestione dei loro letame e liquami. Mentre un altro 8% proviene dalla risicoltura.

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