kulesko ecopessimismo

Ecopessimismo

Sentieri nell’Antropocene futuro


Ecopessimismo come ancora di salvezza per il mondo. Questa la tesi di Claudio Kulesko nel saggio appena pubblicato.
Viviamo nell’epoca della scomparsa della Natura perché le teorie filosofiche e culturali “hanno sancito il predominio della prassi sulle rigide strutture imposte dalla leggi naturali”. “Basta entrare in una qualsiasi facoltà di filosofia, studi culturali o letteratura contemporanea per rendersi conto di come la distinzione tra natura e cultura appartenga ormai al passato…. Le teorie filosofiche e culturali hanno sancito il predominio della prassi – o, meglio, – della performatività sulle rigide strutture imposte dalla leggi naturali.”
Nel collasso climatico e ambientale contemporaneo, l'ecopessimismo si rivela allora la forma più produttiva del pensiero speculativo, un modo per anticipare e metabolizzare i pericoli futuri, per prepararsi al peggio e smettere di sperare nell’intervento di un qualche deus ex machina.
La cultura incarnata nel termine Antropocene, e intesa soprattutto come tecnica, determina le principali catastrofi per gli esseri umani e non umani. L’Antropocene cova in sé un enigma e una profezia. Cosa succederebbe se l’era dell’essere umano coincidesse con l’era nella quale l’era dell’essere umano scomparisse per sempre? Per Kulesko sarebbe la sesta estinzione di massa in cui si potrebbero verificare esplosioni a catena che condurrebbero noi umani nel vortice della disperazione e morte cui abbiamo condannato le altre specie. Per questo paragona l’Antropocene a una nuova Sfinge, qualcosa di enigmatico e difficile da essere interpretato in campo scientifico, filosofico e immaginario, ma capace di rivelarci qualcosa di più su noi stessi e l’universo che abitiamo in costante precarietà di equilibrio. All’ombra di tale incertezza "abbandonare a se stesso metà del Pianeta significherebbe qualcosa di più che tutelare le specie in via di estinzione. Si tratterebbe di un atto di resa, di una dichiarazione di umiltà e impotenza dinanzi all’immensa forza distruttiva della natura". Su queste riflessioni si snoda tutto il viaggio di Kulesko, supportato da documenti bibliografici e testimonianze letterarie, scientifiche e filosofiche su sentieri che vanno dal passato, al presente e al futuro. A tal proposito significativi i capitoli: “2034 d. C. – Preparare se stessi” e “2023 d.C. – Di grotte e di lupi” nel quale più direttamente è presente l’Autore.
Alla fine del libro, l’augurio a lettrici e lettori di sopravvivere ai prossimi decenni, di essere capaci di costruire nuovi legami con gli esseri umani, l’augurio di continuare a perdersi e ritrovarsi attraversando ambienti sull’orlo del collasso, stando sulle proprie gambe "quando i lupi circonderanno le case nel cuore della notte mostrando i loro occhi scuri e intelligenti splendere nel buio".
“Buon Antropocene a tutte e tutti”, il suo congedo.

La Redazione

Suolo come paesaggio

Suolo come paesaggio. Nature, attraversamenti e immersioni, nuove topografie

Fondazione Benetton Studi Ricerche-Antiga, Treviso 2022
180 pagine, 88 illustrazioni


Di suolo non possiamo più parlare solo relativamente al suo sfruttamento sia agricolo che edificabile o come entità che compromette la stabilità delle strutture e infrastrutture antropiche. Gli autori contribuiscono a diffondere la consapevolezza che il suolo è una realtà viva che ci permette di vivere. Esso è tessuto connettivo, nutrimento e processo vitale che ci accompagna, è dimensione fisica, sociale, estetica nella quale risiede la sostanza dei luoghi abitati e il senso della nostra appartenenza al paesaggio e alla Terra. Il nostro pianeta manifesta resilienza e capacità di mutare e adattarsi alle nostre azioni spesso sconsiderate. Visitando una cava abbandonata sia essa di selce, di calcare o di trachite vediamo come, a partire dalle piante pioniere e ai successivi arbusti e alberi, ritroviamo un suolo. Ovvero i vegetali se lo ricostruiscono, così come accade nelle colate d’asfalto, che si fessurano lasciando spazio a semi e radici di riappropriarsi del suolo sepolto.
Spesso il concetto di suolo richiama quello di giardino a iniziare dal biblico Eden donato da Dio ad Adamo appena plasmato con l’argilla. Le stesse radici linguistiche, Adam che significa uomo e Adamah che significa suolo, stanno nella genesi. Diversi pittori realizzano opere che hanno come soggetto giardini, come Bruegel il vecchio con il suo Eden, immagini a colori che diventano un valore aggiunto per questo testo.
Le mani nella terra per servirla, proteggerla, custodirla lavorarla proprio come nel giardino biblico. Conoscerne la granulometria, la litologia, l’umidità e rispettarne gli organismi anche quelli microbici, questo fa un buon giardiniere ma anche un buon agricoltore che conosce da sempre l’importanza dei lombrichi e degli organismi bioriduttori. Lo stesso Darwin dedica il suo ultimo libro ai lombrichi e all’importante ruolo che hanno questi silenziosi anellidi nella formazione del suolo.
Che dire se il suolo diventa anche un’esperienza estetica? Superando gli stereotipi delle discipline è possibile ampliare l’orizzonte in modo in-disciplinato. Il suolo come forma artistica, la realtà ctonica, sconosciuta, sotterranea. Spietrare, scavare, osservare gli orizzonti litologici diversi, immergersi in un formicaio è come disvelare l’intimo del suolo terra. Questo testo non si occupa, infatti, solo di scienza. Gli autori al di fuori delle discipline preposte, colgono e fanno cogliere al lettore, gli aspetti artistici e la bellezza intrinseca negli strati del terreno. Ecco perché il suolo diviene paesaggio nel quale immergersi e immedesimarsi.

Alberta Vittadello

il giro del mondo nell'Antropocene

Il Giro del Mondo nell’Antropocene

Una mappa dell’umanità del futuro.
Carte di Francesco Ferrarese. 


Gli autori scelgono un contesto sostenuto da proiezioni e dati scientifici, nutrito da viaggi e sorvoli del pianeta tra geografia e fantasia come il famoso Giro del mondo in 80 giorni di Jules Verne pubblicato esattamente mille anni fa. Già questo elemento mette il lettore in condizione di riflettere sulla relatività del tempo e dello spazio geografico, quest’ultimo mutevole da sempre ma con ordine temporale decisamente accelerato negli ultimi decenni. La struttura del testo permette di orientarsi e comprendere i cambiamenti prevedibili in ciascuno degli otto continenti dall’Africa all’Antartide che cambierà completamente e viene ribattezzata “Iperaustralia”. Importanti sono le finestre sull’Antropocene attuale con capitoli dedicati agli sconvolgimenti geografici e climatici presenti già in alcune aree del nostro pianeta.
Il campo profughi di Bidi Bidi nel nord dell’Uganda costituisce una vera e propria metropoli di baracche che ospitano centinaia di migliaia di sfollati. In Kenya e Somalia il campo Dadaab è nella stessa situazione. Ma perché migrano queste persone? Nella maggior parte a causa della siccità che provoca carenza alimentare di base, ma anche a causa di guerre religiose e scontri tra diverse etnie. Migrare diventa l’unica soluzione possibile anche se spesso è senza futuro. Nelle prime migrazioni i Sapiens, da poco comparsi sul pianeta andavano davvero incontro a luoghi più ospitali e con maggiori risorse: ciascuna migrazione ha dato origine allo sviluppo di nuovi rami di Sapiens e condivisione di tecnologie. Cicerone affermava Patria est ubicumque est bene, la patria è dovunque si sta bene. Purtroppo le migrazioni attualiinnescano altri conflitti e opposizioni politiche e ideologiche.
Nel capitolo titolato “deserti umani” vengono descritte le condizioni attuali di alcune aree medio orientali a partire dal lago di Aral oggi ridotto al 25% dei suoi 68.000 kmq e che ha perso il 60% della sua risorsa idrica. Lo stravolgimento ambientale era legato alla necessità di utilizzare le terre per la produzione del cotone promossa dall’URSS dopo la metà del XX secolo. Lo snaturamento del suolo per farlo diventare una monocoltura ha compromesso l’esistenza stessa del lago che rappresentava un bacino idrico fondamentale per le popolazioni kazache e Uzbeke. Ma oltre alla perdita della risorsa acqua, ciò che rimane è un’area fortemente inquinata da diserbanti e pesticidi. La popolazione rimasta fa i conti con malattie polmonari e varie altre patologie legate all’ambiente. Ancora una volta i Sapiens odierni dimostrano di vivere nel presente “qui e ora” senza pensare al futuro. E così è ben difficile distinguere un deserto naturale da uno umano.
L’elemento temporale si incontra nel capitolo ambientato nel futuro dedicato al continente Iperaustralia. La calotta polare antartica, nella ricostruzione del viaggio, si era definitivamente fusa nel 2570. I trecento anni precedenti avevano assistito a scontri continui per accaparrarsi le risorse da parte di tutti i paesi confinanti e non, in primis Cina e Stati Uniti ma anche l’Europa allargata che aveva in Antartide le basi scientifiche di monitoraggio ambientale. Proprio lì 800 anni prima le carote di ghiaccio antico avevano palesemente evidenziato i danni che l’umanità stava provocando all’equilibrio climatico.
La dimensione narrativa del viaggio immaginario, la dimensione scientifica della geografia fisica, le diverse realtà sociopolitiche, il linguaggio cartografico con tutta la sua capacità di visualizzazione intuitiva accompagnano il lettore a scoprire gli elementi fondamentali che stanno caratterizzando la nuova epoca geologica dove i Sapiens la fanno da padroni. Per questo l’opera si può definire un testo di denuncia: miopia, scarsa fiducia nella scienza, interesse economico e inettitudine, contraddistinguono e causano verosimilmente cambiamenti irreversibili.
Al lettore curioso possono interessare gli strumenti e le tecnologie utilizzati per la realizzazione delle cartografie che, ribadiamo, sono il risultato di elaborazione di dati reali e non sono frutto di fantasia. Le tavole che illustrano questo libro sono state realizzate con un software di disegno utilizzando i dati del Geographic Information System GIS. I modelli ottenuti permettono di visualizzare gli effetti di “allagamento” di territori tra zero e sessantacinque metri s.l.m.m attuali. Attraverso i Modelli di Elevazione Digitale DEM e alla loro manipolazione è stato possibile ottenere cartografie molto precise. È stato utilizzato il modello elaborato dai dati radar interferometrici raccolti dallo shuttle nel febbraio 2000 che copre tutta la superficie terrestre tranne i poli per le cui superfici è stato utilizzato Arctic DEM. Particolare interesse suscita la toponomastica, scelta per evidenziare i luoghi che avranno una connotazione fisiografica diversa a causa dell’innalzamento del livello marino.

Alberta Vittadello