09_03_compost

Compost urbano in agricoltura. Concreti risultati dopo lunga sperimentazione

Ricercatori dell’INRA a Versailles-Grignon (Istituto Nazionale per la Ricerca in Agricoltura Francese) e Veolia Recherche & Innovation, dal 1998 stanno collaborando sul campo di sperimentazione QualiAgro con lo scopo di valutare gli effetti degli apporti di prodotti residui organici (PRO) sul suolo impiegato per uso agricolo.

In questi 16 anni di sperimentazioni sul campo, i ricercatori hanno rilevato un interessante impatto agronomico in presenza di apporti regolari di PRO senza peraltro avere un impatto ambientale significativo. Il 3ottobre scorso, i ricercatori dell’INRA hanno presentato le loro conclusioni scientifiche e tecniche sui risultati ottenuti con la sperimentazione QualiAgro.
Questo sito sperimentale per 16 anni consecutivi è stato unicamente dedicato all’impiego dei PRO.
I PRO possono essere suddivisi in tre categorie di compost di origine urbana:

  • compost da verde
  • frazione umida dei rifiuti solidi urbani
  • fanghi di depurazione

I PRO sono quindi stati confrontati con fertilizzanti tradizionali quali:

  • fertilizzante minerale
  • letame bovino

Il contenuto in contaminanti nei PRO impiegati era entro i limiti di legge attualmente vigenti in Francia.
Una superficie di 6 ha è stata suddivisa in 40 parcelle sperimentali per la ripetizione dei vari trattamenti. Sul sito si coltiva dal 1998 rispettando una rotazione mais/grano. La sperimentazione è stata seguita da ricercatori dell’INRA e del Veolia Recherche & Innovation e dall’agricoltore proprietario dei terreni.
Sono stati monitorati e quantificati i vari effetti dei diversi fertilizzanti sulle colture nonché l’evoluzione della qualità del suolo, delle colture e delle acque circolanti nel suolo e sottosuolo. Alla fine è stato possibile valutare l’impatto dei prodotti organici residui anche in un ottica di agro-ecologia e agricoltura sostenibile.

Apporti successivi di compost e letame hanno dimostrato che il tenore in materia organica del suolo aumenta da 30 a 50% rispetto ad una fertilizzazione solo minerale, e sono i compost da verde e da fanghi di depurazione a rivelarsi più efficaci in quanto più stabili. Quest’aumento si traduce in un miglioramento delle proprietà fisiche del suolo (struttura, disponibilità di acqua) e biologiche (dimensioni delle popolazioni e attività). Inoltre la stessa la disponibilità di azoto nel suolo a disposizione delle colture aumenta significativamente. I rendimenti delle colture primaverili seminate subito dopo lo spargimento del compost sono simili a quelli ottenuti con la sola fertilizzazione minerale. Tuttavia durante il secondo anno di semina del grano, una minima fertilizzazione minerale complementare rimane necessaria.

Dal monitoraggio delle popolazioni batteriche (Listeria monocytogenes, Salmonella, Pseudomonas aeruginosa…) e dall’analisi dei contaminanti organici (HAP, PCB, ftalati, nonilfenoli) si è visto che gli apporti ripetuti di PRO e letame non hanno alcun impatto sanitario sul suolo e sulle colture. Si nota, invece, un aumento della concentrazione di rame (da +23 a +46%) e di zinco (da +18 a +28%) sulla superfice del suolo interessata al trattamento. Tuttavia, si nota che queste concentrazioni rimangono all’interno dell’intervallo di valori tipici per i suoli della regione. Gli elementi metallici restano maggioritari nello strato di suolo dove vengono sparsi i PRO e la loro percolazione verso le acque sotterranee sono minime e dipendono dalle proprietà chimico-fisiche del suolo. Indipendentemente dalla natura degli apporti, la qualità dei raccolti in termini di presenza di metalli o contaminanti organici all’interno delle colture rimane invariata.

I dati raccolti hanno permesso di creare un modello per simulare gli effetti degli apporti di PRO sull’agricoltura e l’ambiente. Il modello fornisce informazioni su quali PRO impiegare e la miglior rotazione colturale attuabile in base alla tipologia di suolo e al contesto pedoclimatico.

Per saperne di più:

INRA

09_02misura

Misurare la sostenibilità in agricoltura con un modello

Una ricerca presentata a Helsinki il 24 ottobre scorso da parte di ricercatori finlandesi dell’Istituto di Ricerca Agroalimentare Finlandese (MTT) afferma di aver creato un nuovo modello che consente la misurazione della sostenibilità nel settore agricolo. Il concetto di sostenibilità in generale, e in agricoltura in particolare, è spesso oggetto di controversie in quanto si basa più su dei concetti che su qualcosa veramente misurabile. Infatti, nonostante ci siano dei modelli atti a “misurare” la sostenibilità in agricoltura, questi presentano diversi limiti e spesso i risultati ottenuti sottostimano o sovrastimano l’impatto dell’agricoltura sull’ambiente in maniera da rendere il risultato fuorviante.

La ricerca mette in evidenza i limiti dell’attuale modello in uso, ovvero quello sostenuto dall’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) che si basa principalmente sul calcolo dei nutrienti in entrata nel sistema.
I parametri presi in esame, però, possono venire pesantemente influenzati dalle condizioni metereologiche, nonché dall’operatore e dai rumori di fondo. Infatti, l’Istituto finlandese lamenta che tali misurazioni si prestano ad errori e a difficoltà interpretative in quanto sono presenti numerosi fattori di disturbo (rumori di fondo nelle misurazioni) a volte difficili da separare. Questi inesattezze in fase di misurazione possono portare ad un errore non trascurabile nella valutazione del parametro finale. Inoltre, il modello in uso è di tipo “statico”, pertanto male si adatta a una situazione dinamica come quella ambientale.

Il modello suggerito dall’OCSE, attualmente in uso, è abitualmente impiegato a livello politico-istituzionale per l’applicazione in norme e politiche europee e viene usato per il calcolo e la determinazione di aree potenzialmente inquinate da eccesso di nutrienti.
L’Istituto finlandese MTT, che mette in evidenza i limiti di tale modello e ne propone uno che considera migliore, si sta muovendo per ottenere l’impiego di questo suo modello a livello politico-legislativo, in quanto più affidabile e riproducibile del precedente, e in grado di fornire dati e indicatori più idonei a livello decisionale.

La proposta finlandese nasce al termine di uno studio, durato 48 anni, che ha coperto moltissimi aspetti dell’agricoltura. Tuttavia, la soluzione per la corretta definizione del modello, è venuta da una ricerca più recente che analizzava in dettaglio l’impatto ambientale degli allevamenti di vacche da latte. Il modello messo a punto si adatta non solo alla realtà finlandese ma può essere tranquillamente esportato in altri paesi. Infatti, al momento tale modello è stato sperimentato con successo già in 14 diversi stati europei.

Il modello parte dall’idea di calcolare un flusso dinamico di dati e sfrutta concetti e modelli sviluppati per industrie e banche per il calcolo di produttività ed efficienza. I parametri che vengono presi in considerazione sono ancora i nutrienti, ma invece di individuare i nutrienti immessi nel sistema si analizza il flusso di nutrienti in uscita dal sistema. Gli anni di ricerca hanno infatti rivelato una correlazione diretta tra il flusso di nutrienti in entrata con il flusso dei nutrienti in uscita, la differenza è che questi ultimi sono più facilmente monitorabili. I nutrienti possono defluire dal sistema attraverso diversi ambienti, quindi le analisi si svolgono su acqua, suolo e aria.
Questo modello ha inoltre il vantaggio di prendere in considerazione anche l’accumulo dei nutrienti nei vari ambienti come pure la natura dinamica dello stesso ciclo dei nutrienti.

 

Per saperne di più:
MTT

09_01nocciolino

Gli scarti dell’olivicoltura fonte di biomassa per energia

In Italia le biomasse maggiormente impiegate negli impianti aziendali sono legna e pellet, ma si sta facendo strada la necessità e l’utilità di impiegare anche altri scarti agricoli. Gli scarti impiegabili negli impianti di biomassa possono essere i più svariati anche perché le innovazioni tecnologiche rendono questo passaggio possibile. Ci possono essere impianti dedicati, e quindi alimentabili da un solo tipo di biocarburante, e polifunzionali, ovvero capaci di funzionare con diversi tipi di alimentazione. In genere l’impianto dedicato presenta un’efficienza maggiore.

Biomasse interessanti perché facili da trattare e con un’alta efficienza (ovvero del tutto analoga a quella della legna e del pellet) sono gli scarti della filiera olivicola, quali nocciolino e sansa. Il passaggio da impianti a gasolio a quelli a nocciolino può portare ad un risparmio di 80-90 mila euro/annui per aziende con oltre 1000 m2 di serre da riscaldare.
Nella tabella sotto riportata, si confrontano i Poteri Calorifici Inferiori (PCI) e i costi di alcuni materiali comunemente impiegati con quelli di sansa e nocciolino.

Materiale

PCI MWh

Prezzo €

Prezzo energia €/MWh

Risparmio %
(rispetto al gasolio per serre)

1 t cippato (A1 – M25)

3,69

113

31

64%

1 t cippato (A2 – M35)

3,11

81

26

69%

1 t pellet di legno sfuso (A1-A2)

4,70

240

51

40%

1 t pellet da potature (ulivo, vite)

4,58

200

44

49%

1 t sansa esausta sfusa

4,86

140

29

66%

1 t nocciolino sfuso

4,60

150

33

62%

1 t gasolio per serre

11,5

975

85

100 m3 metano “servito”

1,00

80

80

6%

1000 l GPL (agevolato)

6,82

800

117

-38%

Tabella: fonte ENAMA

La sansa vergine disoleata non presenta solventi organici clorati, ha una percentuale di ceneri combuste sotto al 4%, un contenuto idrico inferiore al 15% e un rapporto mg/kg di n-esano inferiore al 30%. Il nocciolino prodotto dalla denocciolatura delle olive in pre-spremitura è un combustibile ancor meno problematico perché riduce di molto fumi e ceneri, costa però leggermente di più.

Tuttavia, nonostante le buone rese, questi materiali non sono ancora ben impiegati in quanto la catena di distribuzione è piuttosto carente. I problemi da affrontare sono principalmente due:

·         la distribuzione della materia prima che in Italia è un po’ a macchia di leopardo;

·         la disponibilità che dipende direttamente dalla produzione annuale di olive (in annate di scarsa produzione, scarsa sarà anche la quantità di nocciolino disponibile).

La vendita, non essendo organizzata, avviene principalmente direttamente presso frantoi. Le stesse aziende agricole produttrici cercano di trovare un impiego per tali scarti al loro interno.

Tuttavia non mancano esempi di buon funzionamento anche in Italia. A marzo 2014 all’interno della fiera di Cremona “Salone delle Tecnologie per le Biomasse e per le Rinnovabili in Agricoltura” è stata premiata una cooperativa di Reggiolo (RE) che impiega proprio il nocciolino come biomassa per il proprio impianto a biomassa. La cooperativa “Il Bettolino” ha vinto il primo premio BioEnergy Italy 2014 per la filiera delle biomasse, in quanto risulta essere un’azienda testimone di esperienze eccellenti nell’uso delle BioEnergie. La cooperativa è attiva nel settore della serricoltura.
Per il riscaldamento delle serre, la cooperativa usa solo biocarburanti. Infatti le serre situate in prossimità della discarica di Novellare, impiegano acqua calda ed energia elettrica prodotta dal biogas della discarica, mentre quelle situate più lontano dalla discarica, sono riscaldate con l’energia prodotta dalla combustione di nocciolino di sansa disoleata. Inizialmente la caldaia impiegava pellet, il passaggio al nocciolino ha permesso un notevole risparmio nei costi.

Un altro esempio interessante è quello dell’azienda Dester Giuseppe a Crociale di Manerba (BS). Quest’azienda inserita nel progetto della Coldiretti “Le Fattorie del Sole”, associazione i dimprese agricole che coltivano l’energia da fonti rinnovabili, ha realizzato un impianto a biomassa alimentato a sansa di olive. La materia prima viene acquistata dai frantoi vicini. La caldaia produce 4.500.000KWh sufficienti per riscaldare i 40.000mc di serre e rendere quindi competitiva l’azienda.

Per saperne di più:

GSE – Gestore Servizi Energetici
Enama (doc pdf)
Fattorie del sole
Azienda agricola Dester