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Azienda familiare italiana da imitare, secondo la FAO

Il 2014 è l’anno internazionale dell’agricoltura familiare, settore di fondamentale importanza socio-economica, ambientale e culturale. Con il termine Agricoltura Familiare si intendono tutte quelle attività collegabili con l’agricoltura, acquacoltura, zootecnia e silvicoltura esercitate principalmente da membri della stessa famiglia.

Sia nei paesi industrializzati come nei paesi in via di sviluppo, la struttura agricola predominante è quella di tipo familiare. Basti pensare che dei 570 milioni di aziende agricole nel mondo, oltre 500 milioni sono gestite proprio a livello familiare e sono responsabili di almeno il 56% della produzione agricola mondiale.
A livello di singola nazione, ci sono diversi fattori che contribuiscono al successo dell’agricoltura familiare, quali: condizioni agro-ecologiche, caratteristiche del territorio, politiche ambientali, accessibilità ai mercati, accesso alla terra e alle risorse naturali, accesso alla tecnologia e ai finanziamenti, condizioni demografiche, economiche  e socio-culturali e, infine, disponibilità di un’educazione specializzata.
A capo di molte delle iniziative intraprese si trova la FAO, che si è mossa soprattutto per:

  • aiutare lo sviluppo di politiche favorevoli a un’agricoltura familiare sostenibile;
  • sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza dell’agricoltura familiare;
  • individuare i bisogni, i potenziali e le difficoltà dell’agricoltura familiare e fornire il supporto adeguato;
  • creare sinergie per sviluppare una sostenibilità futura.

In questo periodo sono state studiate diverse realtà agricole e più volte la FAO ha citato esempi positivi riguardanti realtà italiane.
Una pubblicazione intera è stata dedicato ad una realtà alto atesina, oggetto di un caso studio. La pubblicazione dal titolo "Apple-producing family farms in South Tyrol: an agriculture innovation case study", analizza come in Alto Adige si sia sviluppato un sistema innovativo di agricoltura familiare particolarmente efficace.
La superficie coinvolta è di circa 19.000 ettari, coltivata da oltre 8.000 piccoli produttori, con una proprietà terriera media di 2,5 ettari. I terreni sono principalmente dedicati alla produzione di mele. Le mele prodotte in questa zona riforniscono il 50% del mercato italiano, il 15% di quello europeo e il 2% di quello mondiale. La produzione si adatta e riesce con profitto a rispondere alle esigenze di mercato e rimanere competitiva sia nel mercato europeo sia in quello mondiale.
Lo studio ha analizzato questa realtà per capirne i punti di forza e quindi riportarli come esempi positivi da seguire al fine di ottenere uno sviluppo sostenibile sia dal punto di vista economico che ambientale.
La particolarità individuate sono diverse e coinvolgono il singolo agricoltore, l’amministrazione locale e le associazioni di categoria.
Il 95% dei piccoli produttori sono associati in cooperative. Queste ultime poi si riuniscono tra loro per formare due sole organizzazioni di produttori.
Il meccanismo di cooperazione è iniziato subito dopo la seconda guerra mondiale con la creazione in una efficiente e concreta rete di apprendimento e innovazione per l’agricoltura sostenibile (LINSA – Learning and Innovation Network for Sustainable Agriculture). La LINSA coinvolge agricoltori, cooperative ed associazioni di categoria, enti di ricerca, servizi di consulenza nel settore, enti pubblici e privati collegabili con la produzione di mele, e li collega tra loro costruendo una rete efficiente ed efficace grazie soprattutto alla disponibilità a cooperare dei vari operatori.
La componenti più importante della LINSA sono le cooperative di melicoltori che rispondono rigorosamente ai principi base dell’auto-supporto, dell’auto-amministrazione, dell’auto-responsabilità e della promozione degli associati.

Altri fattori sono risultati determinanti nella creazione di questo sistema, tra cui la natura storica, sociale e culturale della zona, che ha favorito la collaborazione tra gli abitanti e le istituzioni per potersi sviluppare e evolversi. Inoltre, la politica locale, stabile, ha completato, nel settore ambientale e in particolare quello agricolo, le politiche nazionali ed europee fornendo occasioni di innovazione e sviluppo. Infine, la diversificazione delle entrate delle 8.000 famiglie di agricoltori ha fornito al sistema una notevole resilienza.
Lo sviluppo della rete LINSA è stato influenzato da meccanismi formali e informali con un grande contributo dato dall’apprendimento sociale.
Meccanismi formali coinvolgono politiche, istituzioni e singolo individui. L’apprendimento sociale permette di permeare il sistema. L’apprendimento sociale in Alto Adige è collegato a dinamiche interne ed esterne sia individuali sia collettive. Il capitale sociale creato fornisce i mezzi per assorbire le conoscenze esistenti, provenienti anche da terzi, e di crearne di nuove. La ricerca e il sistema educativo si è evoluto in modo da sostenere il processo di innovazione e incentiva la capacità di sviluppare iniziative nuove anche avvalendosi del supporto dei servizi di consulenza e delle tecnologie innovative presenti sul territorio.
La LINSA risulta essere una soluzione efficace ed efficiente, basata su relazioni umane, fiducia, visione e interesse comune, tutti fattori che aiutano il trasferimento della conoscenza e sono in grado di fornire una risposta rapida e collettiva all’innovazione.

Per saperne di più:

FAO – Family Farming

 

Come valorizzare i Servizi Ecologi Essenziali

La natura ci fornisce moltissimi servizi senza che ne siamo consapevoli; infatti procura predatori per i parassiti, provvede all’impollinazione delle colture, previene l’erosione del suolo, solo per citarne alcuni. Tutti questi servizi, vengono raggruppati sotto il nome di “Servizi Ecologici Essenziali” (ES – Essential Ecological Services) e se si potessero monetizzare varrebbero miliardi di euro soltanto in Italia.

Al fine di quantificare questi servizi ecologici essenziali, sottolinearne il valore e quindi impiegarli con maggior consapevolezza e beneficio, nel 2013 l’Unione Europea ha finanziato il progetto QuESSA (Quantification of Ecological Services for Sustainable Agriculture) all’interno del 7° Programma Quadro con 3 milioni di euro.
Il progetto che si concluderà nel 2017, ha specificatamente lo scopo di quantificare i servizi dell’ecosistema per promuovere un’agricoltura sostenibile.
In particolare per poter fornire indicazioni utili per lo sviluppo di un’agricoltura sostenibile bisogna tenere conto della presenza di:

  • un sistema di agricoltura principalmente basato sull’impiego di prodotti artificiali che contribuiscono all’inquinamento e alla perdita di biodiversità;
  • una popolazione mondiale in crescita con conseguente aumento della richiesta di cibo;
  • una necessità di produrre mantenendo un equilibrio con l’ambiente circostante in modo da non impoverire le risorse naturali.

Per poter valorizzare al meglio i servizi ecologici è essenziale:

  • individuare e definire gli ES più importanti in tutti gli ambienti, non solo in quello agricolo;
  • quantificare l’impatto e l’importanza di alcuni ES chiave per l’agricoltura, come: impollinazione, controllo dei parassiti delle piante e delle infestanti, mitigazione dell’erosione, accumulo della materia organica;
  • conoscere come migliorare e incentivare questi ES.

Il progetto si svolge in 8 paesi europei che coprono un totale di 16 diversi habitat semi naturali (SNH – Semi-Natural Habitats) con conseguenti differenti tipologie di ES.
Questi SNH sono analizzati nel dettaglio e viene valutata anche l’importanza economico-sociale dei vari Servizi ecologici Essenziali.
I dati raccolti verranno analizzati mediante modelli matematici sviluppati appositamente, in modo da collegare ogni habitat agricolo con i servizi ecologici ad esso necessari e che, al tempo stesso, l’ambiente stesso stimola a favorire. Quindi verranno esplorate le varie sinergie tra ES, SNH e paesaggio.
Saranno quindi valutati i benefici economici e non, sia pubblici sia privati.
I risultati saranno divulgati a tutti gli operatori del settore attraverso strumenti informatici basati sul web, guide pratiche e documenti di policy.

I risultati resi noti finora dimostrano la possibilità di migliorare rese e benefici anche con semplici accorgimenti.
Ad esempio, l’aggiunta di piccoli filari di fiori selvatici o bosco possono portare ad un aumento dei profitti per gli agricoltori. A questa conclusione erano già arrivati studi precedenti, senza però analizzare nel dettaglio la causa e quindi senza controllare quali servizi ecologici fossero generati e incentivati. Inoltre, queste zone “selvatiche” che aumentano la biodiversità, hanno maggiore efficacia se localizzate ai margini dei coltivi piuttosto che all’interno del campo.
La presenza di aree dedicate alla crescita di fiori sono risultate molto utili.
Infine, un’altra strategia promettente è quella dell’intercropping.

I ricercatori coinvolti nel progetto sperano di poter presto fornire agli agricoltori spiegazioni dettagliate su come sia possibile favorire la crescita e l’attività del nemico del loro “nemico” in modo da dover ricorrere all’impiego di pesticidi di origine sintetica solo in casi particolari.
L’ottimizzazione dei servizi ambientali per ottenere un miglioramento della resa è allo studio presso la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa.
Il progetto QuESSA è coordinato da Games & Wildlife Conservation Trust, un’organizzazione no-profit inglese con sede a Fordingbridge, Hampshire.

 

Per saperne di più:
European Research Media Center – Youris.com
QuESSA
Games & Wildlife Conservation Trust

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I risultati delle ricerche del C.R.A. sulla batteriosi del kiwi

L’Italia è il secondo produttore mondiale di kiwi (actinidia), tuttavia dal 2008 i coltivatori di kiwi devono confrontarsi con una nuova fitopatia provocata da un batterio (Pseudomonas syringaepv. Actinidiae – PSA), che sta provocando danni gravissimi in tutte le maggiori aree di produzione.

La massima virulenza appare sulle varietà di frutto a polpa gialla, appartenenti tutte alla specie Actinidia chinensis; a questa specie appartengono anche genotipi con frutto a polpa verde ma non sono attualmente commercializzati. Il frutto più noto, quello a polpa verde, appartiene alla varietà Hayward, che è la più estesamente coltivata al mondo e appartiene alla specie A. deliciosa. Anche Hayward e altre varietà della stessa specie appaiono suscettibili alla batteriosi ma in forma meno grave.
I ricercatori italiani, in questo periodo, hanno condotto numerose ricerche tra cui due grandi progetti finanziati dal MiPAAF:

•INTERACT: "Interventi di coordinamento ed implementazione delle azioni di ricerca, lotta e difesa al cancro batterico dell’Actinidia (Psa)".

•ARDICA:     "Azioni di ricerca e difesa al cancro batterico dell’Actinidia (Psa)".

I due progetti sono strettamente collegati tra loro e sono stati condotti dal C.R.A. – Consiglio per la Ricerca e la sperimentazione in Agricoltura.
I progetti si sono conclusi a fine giugno e a luglio a Caserta sono stati presentati i risultati ottenuti.

Le ricerche hanno portato a:

aumentare le conoscenze di base sul batterio e sull’interazione batterio –pianta;

• definire tecniche agronomiche utili per contrastare la diffusione e ridurre la pericolosità del patogeno;

migliorare le tecniche diagnostiche;

impostare uno specifico piano di miglioramento genetico per l’individuazione di germoplasma di actinidia tollerante o resistente alla malattia.

Durante il convegno sono stati illustrati i risultati ottenuti che riguardano:

• Il sequenziamento e l’annotazione del genoma e delle proteine dei ceppi del patogeno, la sua capacità di competizione ambientale e la sua resistenza nei confronti dei mezzi di contrasto comunemente impiegati. L’avvenuto sequenziamento dei ceppi batterici del PSA, apre ora nuove e favorevoli prospettive per il contrasto e la prevenzione della malattia.

• L’origine dell’attuale popolazione del patogeno. Questo patogeno, che risulta essere molto aggressivo e diffuso, non ha origine dalla precedente popolazione, risalente in Italia a circa 20 anni fa, ma è stato invece introdotto con buona probabilità nel nostro Paese mediante materiale infetto a lungo periodo di latenza.

• I fattori scatenanti. I notevoli danni prodotti, anche a livello economico, sulle coltivazioni sono stati favoriti dalla concomitanza di fattori scatenanti, quali forti gelate e notevole contiguità degli impianti di actinidia lungo ampie superfici. Dagli studi è emerso che i principali fattori predisponenti la malattia sono gelate e forte piovosità, e i periodi più a rischio sono autunno-inverno e inizio primavera. Queste conoscenze hanno portato all’individuazione del momento più opportuno per i trattamenti di difesa della piante riducono al massimo la possibilità di diffusione nei e tra i frutteti.

• Correlazione batteriosi e chimica del suolo. È stata accertata una chiara correlazione tra composizione chimica del suolo e la predisposizione alla batteriosi; tale relazione risulta differente per il kiwi giallo e il kiwi verde. Sono state quindi proposte forme di allevamento della pianta che, aumentando la circolazione dell’aria all’interno della chioma e riducendo il volume di legno colonizzabile dal batterio, riducono significativamente l’incidenza della malattia.

• Forme di lotta. Sono stati individuati alcuni nuovi composti chimici e di origine biologica in grado di ridurre efficacemente la severità e l’incidenza della malattia in pieno campo.

Per saperne di più:

Risultati della ricerca
ARDICA
Ente CRA