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Predatori naturali per il controllo biologico dei parassiti nelle serre

Il controllo biologico dei parassiti nelle serre, generalmente, si basa sul rilascio periodico di nemici naturali di produzione commerciale; tale metodo si è dimostrato efficace per decenni. Tuttavia, in alcuni casi si incontrano difficoltà nell’efficacia del controllo dei parassiti, che possono essere attribuite alla scarsità numerica di nemici naturali. Questi problemi derivano dalla diminuzione della colonia di nemici naturali con il diminuire del parassita combattuto, in particolare quando il nemico naturale è molto selettivo. È necessario, di conseguenza, ricorrere a rilasci successivi con associato aumento dei costi.

Ricercatori di diversi Istituti europei, tra i quali, per l’Italia, l’Università di Torino, hanno pubblicato in modo congiunto su Biocontrol di maggio 2014 i risultati delle loro ricerche sui metodi esistenti per il controllo biologico nelle serre, individuandone i punti deboli, i miglioramenti applicabili fin da subito e delineando le linee di ricerca per i progetti futuri.

Il maggior problema del controllo biologico nelle coltivazioni in serra è stata individuato nella necessità di rilasci successivi di predatori naturali. Questa esigenza è dovuta a due fattori principali:

  • l’impiego di predatori efficaci ma troppo selettivi;
  • la percezione e l’uso dei predatori, nemici naturali, alla stregua di bio-pesticidi, senza tenere conto che sono organismi viventi e quindi reagiscono alle condizioni ambientali e di alimentazione, modificando il proprio comportamento.

Per ovviare al primo problema, i ricercatori propongono di ricorrere all’impiego di predatori generici. I predatori generici sono sicuramente meno efficaci e veloci di quelli selettivi, ma offrono il vantaggio di sopravvivere ai parassiti, avendo un’alimentazione più varia, e ne prevengono la ricrescita, stabilendo quindi un regime di controllo biologico conservativo.
L’impiego dei predatori generici è già diffuso in pieno campo, dove è possibile dedicare le cosiddette fasce di rispetto, aree al bordo delle coltivazioni, ad esempio filari di specie da fiore alla creazione di habitat idonei alla loro proliferazione. In serra tale soluzione risulta più difficile soprattutto per l’alto valore del terreno coperto e per il costo di mantenimento. Tuttavia, l’impiego di parassiti generici è una strada consigliabile soprattutto in alcuni casi specifici.
Affinché i predatori generici possano sopravvivere bisogna fornir loro condizioni ambientali favorevoli. Queste condizioni comprendono la disponibilità di risorse alimentari alternative sfruttabili in assenza del parassita da aggredire, oltre a posti per la deposizione delle uova, rifugi per gli adulti, clima idoneo alla proliferazione in serra e limitazione degli effetti collaterali di fitofarmaci.
In alcuni casi la coltura in atto in serra stessa è in grado di fornire tali risorse, ma sono più numerose le colture che non sono in grado di fornire autonomamente risorse addizionali.
La soluzione adottata per il controllo biologico conservativo in pieno campo non è economicamente vantaggiosa all’interno delle serre, pertanto proprio questo è uno dei punti chiave su cui i ricercatori intendono focalizzare le proprie ricerche future.

Il secondo problema invece, necessita di un approccio differente. Infatti, la ricerca ha evidenziato come troppo spesso i coltivatori considerino e impieghino i predatori naturali come impiegherebbero bio-pesticidi, quindi non tenendo in dovuta considerazione che sono degli organismi viventi e che, come tali, necessitano di risorse e condizioni specifiche per sopravvivere e riprodursi.

Gli autori raccomandano ulteriori ricerche per:

  • sviluppo di fonti alimentari alternative che sostengano specificamente i predatori naturali e non parassiti delle piante
  • identificazione di fonti alimentari per i nemici naturali in grado di integrare il valore nutrizionale di alcune specie di parassiti
  • uso di sostanze volatili che conservino i predatori naturali nelle serre
  • selezione di nemici naturali ben adattati alla coltura o al clima delle serre

 

Per saperne di più:
Rivista Biocontrol

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“Coolbox”, un sistema di raffreddamento delle serre con acque riciclate

Raffreddare le serre in prossimità dei picchi di calore durante la produzione può risultare abbastanza oneroso e richiedere l’impiego di risorse limitate come l’acqua. Nelle regioni meridionali della Francia, i ricercatori dell’Unità di Genetica e Perfezionamento di Frutta e Verdura (GAFL) dell’INRA (Istituto Nazionale Francese per la Ricerca in Agricoltura) con l’appoggio della Commissione per lo Sviluppo Sostenibile hanno messo a punto e lanciato un nuovo sistema che riesce a ottimizzare il raffreddamento delle serre impiegando acque riciclate.

Il sistema, chiamato “coolbox”, è stato impiegato per il raffreddamento di 320 m² di serre nella tenuta di Saint Maurice in Avignone (PACA – Francia) sui 4700 m2 totali di serre presenti nel parco.
Il sistema coolbox prevede l’impiego di pannelli di truciolato posizionati sulle condotte da cui viene aspirata l’aria. Questi stessi pannelli vengono spruzzati con acqua polverizzata. In questo modo si riesce a raffreddare l’ambiente interno alla serra.
La GALF ha quindi apportato ulteriori modifiche al sistema nell’ottica del nuovo progetto di ricerca che mira all’ottimizzazione delle risorse esistenti.
In condizioni normali la serra impiegava 14.000 m3 d’acqua per assicurare il raffreddamento durante i picchi di calore. La totalità delle acque impiegate proveniva dalle falde sotterranee. Dopo l’uso, tali acque venivano convogliate nel sistema fognario.
I limiti di questo sistema erano evidenti:

  • uso elevato della risorsa idrica;
  • difficoltà  a impiegare tale misura di raffreddamento in concomitanza con un abbassamento del livello di falda;
  • rapida usura e ostruzione degli ugelli, nonché dei pori presenti sui pannelli di truciolato, a causa  dell’elevata concentrazione di calcare e sali presente nelle acque sotterranee.

L’ultima innovazione apportata a coolbox riguarda le modifiche al sistema di approvvigionamento idrico e alla pulizia e manutenzione dei filtri.
Il sistema infatti è stato modificato in modo da recuperare le proprie acque di scarico e quindi di riutilizzarle. La capacità di raccolta e di riciclaggio dell’acqua permette di realizzare dei risparmi notevoli abbassando di molto l’impatto ambientale sulla risorsa idrica.
Inoltre, si sono modificati gli ugelli sia per quanto riguarda la  direzione che le dimensioni. Infatti adesso i getti d’acqua sono orientati verso il punto più alto del pannello di truciolato e la dimensione degli ugelli è stata dimezzata.
Con queste modifiche, dai 14.000 m3 d’acqua iniziali necessari per assicurare un sistema di raffreddamento efficace della serra, si è passati a soli 300 m3 d’acqua per ciclo.
L’acqua impiegata viene addolcita durante il ciclo di pulizia. A questo scopo è stato aggiunto un passaggio d’acqua controcorrente, così che il sistema riesce a garantire la diluizione dell’acqua e, al tempo stesso, provvede a una pulizia dei filtri.
Questo piccolo accorgimento permette di ridurre notevolmente il tempo per la pulizia e la manutenzione. I ricercatori affermano che tale diminuzione di tempo è dell’ordine delle centinaia di ore.

Per saperne di più:

INRA

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Dalla ricerca nuove soluzioni contro “Drosophila suzukii”

La Drosophila suzukii è un dittero che da alcuni anni infesta numerose colture in diverse regioni italiane. La peculiarità di questo dittero sta nella capacità delle femmine di deporre le uova anche in frutti sani in quanto riescono a perforarne la superficie. I frutti vanno di conseguenza incontro ad un rapido disfacimento.

La stagione 2014 ha visto un grave incremento delle infestazioni di Drosophila suzukii. I livelli di cattura nei momenti di picco del volo sono stati circa 7-8 volte superiori a quelli del 2013. Le ragioni vanno ricercate principalmente nell’andamento climatico favorevole con un inverno mite e un’estate mite e piovosa.
In una situazione di elevata pressione dell’insetto, il controllo è stato piuttosto difficile; tra le varie tecniche adottate alcune si sono dimostrate più efficaci.

La Fondazione E. Mach di San Michele all’Adige consiglia l’impiego di:

  • reti di contenimento;
  • cattura massale.

Le reti di contenimento riducono al minimo il danno da parte di questo insetto, poiché costituiscono una barriera attorno alla coltivazione. Le reti antinsetto però devono essere ben gestite e adattate alla coltivazione e alla morfologia del suolo. All’interno delle reti è di fondamentale importanza il monitoraggio per verificare l’eventuale presenza di D. suzukii e lo stato delle reti. L’impiego delle reti antinsetto consente inoltre una forte riduzione del numero di interventi insetticidi contro D. suzukii e limita l’insorgenza di resistenze dell’insetto ai prodotti fitosanitari.

La cattura massale è molto importante in autunno nelle colture e nei boschi limitrofi alle coltivazioni e in primavera ai margini dei boschi e intorno agli impianti anche in assenza di coltura in atto.
Le trappole messe a punto dalla Fondazione E. Mach si chiamano Biobest. Sono di colore rosso e sono caricate con una miscela di aceto di mela (150 ml), vino rosso (50 ml) e un cucchiaino di zucchero di canna grezzo (Droskidrink).

I limiti di queste tecniche però sono parecchi e la ricerca nel settore è molto attiva in Italia, ma anche negli Stati Uniti. Di recente sono stati divulgati i risultati di due ricerche che aprono a nuove soluzioni.
La prima è stata presentata nel corso del “VIII Workshop on Integrated Soft Fruit Production” (IOBC/WPRS) il 26-28 maggio 2014 e vede tra i protagonisti i ricercatori della Fondazione E. Mach in collaborazione con colleghi dell’Università dell’Oregon.
La seconda è stata pubblicata su Agricultural Research Magazine del 14 ottobre 2014 e riporta i risultati della ricerca condotta da ricercatori di United States Department of Agricolture (USDA).

Al convegno IOBC, ricercatori della Fondazione Edmund Mach in collaborazione con ricercatori dell’Università dell’Oregon, hanno presentato i risultati di due anni di ricerca sull’impiego di insetti antagonisti per il controllo della Drosophila suzukii. In particolare hanno individuato tre specie di imenotteri in grado di attaccare la Drosophila. Si tratta di:

  • un parassitoide larvale, Leptopilina heterotoma Thomson (Hymenoptera Figitidae);
  • due parassitoidi pupali: Pachycrepoideus vindemiae Rondani (Hymenoptera Pteromalidae) e Trichopria drosophilae Perkins (Hymenoptera Diapriidae).

I ricercatori dello USDA sono anche riusciti a individuare quali sono gli aromi che, usati nelle trappole, effettivamente attraggono la Drosophila suzukii. Difatti, tra i limiti delle trappole in commercio, c’è la scarsa selettività delle stesse, sicché tanti altri insetti sono attratti. L’aver individuato con maggior precisione gli aromi attrattivi per la D. suzukii consente la cattura di questo dittero in maniera più selettiva.

La miscela messa a punto da Peter Landolt dell’USDA contiene: acetilmetilcarbinolo (acetoino) e metanolo, combinati con acido acetico ed etanolo.

Per saperne di più:

Fondazione E. Mach
United States Department of Agricolture
Congresso IOBC