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Bamboo e irrigazione, un’accoppiata vincente per catturare i nitrati

Il fondo statunitense per la difesa ambientale e l’impresa (Edf+Business) si occupa da anni di trovare soluzioni economicamente vantaggiose che rispettino l’ambiente. L’anno scorso ha lanciato una sfida ecologica sui sistemi di cattura dell’azoto in agricoltura. La sfida era aperta a ricercatori e esperti in tutto il mondo e in particolare le proposte dovevano presentare sistemi per catturare, concentrare o trattare i nitrati provenienti dalle acque di drenaggio in agricoltura.
Il sistema del drenaggio controllato delle acque piovane con irrigazione sub-superficiale consiste nell’interrare dei tubi traforati che convergono in uno o più collettori, i cui scarichi sono regolabili in funzione dell’altezza desiderata della falda. Questo consente di trattenere l’acqua nei pori del suolo durante i mesi di pioggia, senza però soffocare le radici, e di risparmiare energia e risorse idriche nei periodi di secca in quanto l’acqua viene pompata attraverso i tubi interrati e arriva alle radici per la capillarità del suolo.
I sistemi con drenaggio e irrigazione sub-superficiale, presentano un’alta efficienza idrica e di resa colturale, in media la resa aumenta del 10%.
Il punto debole della tecnica descritta è dato dalle piogge eccessive, poiché assieme all’acqua tracimano i nutrienti (nitrati e fosfati), che vanno a finire nei canali di scolo e, quindi, nei fiumi, laghi e mari, dove possono provocare fenomeni di eutrofizzazione.
Risulta quindi basilare il trovare soluzioni accettabili affinché si possano catturare i nitrati, e quindi concentrarli, trattarli e rilasciarli nell’atmosfera come azoto gassoso (N2).

Alla data di scadenza del bando, luglio 2013, in 42 avevano risposto e sottoposto al vaglio della commissione di Edf+Business la propria soluzione.
La prima soluzione premiata è stata presentata da uno studente della Northwestern University di Chicago (USA). Questa soluzione vede il posizionamento di alghe lungo il drenaggio. Queste alghe soddisfano pienamente la condizione di assorbire e consumare l’eccesso di fertilizzanti, e possono essere riconvertite in biomasse ricche di nitrati da reimpiegare in agricoltura.
La seconda soluzione premiata viene dalla Spagna e propone di accoppiare il sistema di sub-irrigazione con lo sviluppo di una seconda coltivazione (ad esempio il bambù) per assorbire l’acqua e l’azoto in eccesso.
La terza soluzione viene da Vancouver (USA) e suggerisce di piazzare delle dighe metalliche verticali alla fine di ogni tubo di drenaggio per creare così degli stagni di ritenzione. L’acqua e i nitrati residui catturati nello stagno potrebbero quindi essere nuovamente distribuiti sul campo.

Le soluzioni selezionate hanno tutte un’efficienza di oltre il 40% nella cattura dei nitrati, costi contenuti e una bassa manutenzione, e inoltre sono applicabili ai sistemi già esistenti e sono sostenibili su lungo periodo anche in condizioni di assenza di precipitazioni.

La soluzione presentata dallo spagnolo Mario Rosato risulta particolarmente interessante perché la sua proposta concilia una lunga diatriba sulla produzione agricola destinata al consumo alimentare o alla produzione di biomasse.
Si parte dal presupposto che con questo tipo di irrigazione la produzione aumenti del 10%, pertanto è pensabile di destinare il 10% dello stesso terreno alla coltivazione di qualche specie con elevata capacità di assorbimento di acqua e nutrienti, senza diminuire la resa.
La specie suggerita è bambù gigante (Phillostachys pubescens), in quanto è capace di assorbire oltre 1000 kg di N/ha e oltre 1500 mm di precipitazioni, in un anno. Inoltre, il bambù gigante produce fino a 100 t di biomassa per ha/anno, utilizzabile per diversi scopi industriali, mentre gli scarti derivati possono essere impiegati per scopi energetici.
La produzione di biomassa di P.pubescens richiede un investimento iniziale, ma già a partire dal 4º anno diventa un reddito addizionale per il coltivatore.

Il sistema è ora oggetto di un progetto pilota da parte del Edf+Business anche per valutare bene vantaggi e svantaggi. Sulla carta il recupero dell’azoto è pari al 100%, ma questa percentuale è da verificare e, al tempo stesso, presenta il limite che l’azoto non è reimpiegabile per altre colture. Inoltre, propone soluzioni non usuali per gli agricoltori, che quindi potrebbero essere restii ad impiegare colture così diverse dall’usuale e non è da sottovalutare gli eventuali effetti biologici negativi che possono insorgere con l’introduzione di nuove coltivazioni, come nuove infestanti.

Per saperne di più:
Edf + Business
Environmental defence fund – Soluzione 2

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Neonicotinoidi e api: binomio imperfetto

Secondo uno studio di pubblicato su PlosOne lo scorso gennaio, in oltre metà delle nazioni europee non sono presenti api da miele sufficienti a impollinare le colture e bisogna fare sempre più affidamento sugli impollinatori selvatici. Anche se dopo un forte declino le colonie di api negli ultimi cinque anni sono aumentate, le colture legate ai biocarburanti che hanno bisogno di impollinatori sono cresciute molto più velocemente. Facendo un bilancio, mancano in Europa all’incirca 7 miliardi di api. La situazione può essere meno tragica del previsto se si considera la presenza di impollinatori selvatici, quali bombi, api solitarie e sirfidi. Tuttavia poco si sa sul numero di impollinatori selvatici effettivamente disponibili, i quali dimostrano una resilienza molto minore di quella delle api nei confronti dei cambiamenti dell’habitat.
La situazione più grave è quella della Gran Bretagna, ma anche in Italia la situazione è delicata; a darne l’allarme è l’Università di Trento.
A complicare la situazione c’è anche l’aumento, a seguito dei sussidi erogati, della coltivazione di piante oleaginose che necessitano di impollinatori.

Ci sono molte ricerche in corso sui neonicotinoidi e sulla loro reale o presunta relazione con la moria di api. Molte sono effettuate in laboratorio e altre sul campo. I risultati ottenuti dagli esperimenti di laboratorio però spesso differiscono diametralmente da quelli ottenuti sul campo.

Gli studi in laboratorio danno sicuramente risultati riproducibili in condizioni controllate che però non sempre rispecchiano in modo efficace le realtà sul campo. Tutti gli studi in laboratorio hanno provato una relazione tra il malessere delle api e la presenza di neonicotinoidi. In generale cambiano la comunicazione sociale tra le api, le modalità di ricerca di cibo, la capacità di rientrare nell’alveare e si abbassano le loro difese immunitarie, per cui le api sono più vulnerabili a virus e altre malattie.

Le prove su campo, invece, non sempre dimostrano una tale correlazione diretta. Infatti spesso le api sembrano non essere alterate in maniera determinante dai neonicotinoidi.

Per fare il punto sulla situazione si è tenuto a Londra, dal 22 al 24 gennaio 2014, un Joint Meeting dal titolo “The Impact of Pesticides on Bee Health”. In tali giornate si sono incontrati esperti provenienti da tutto il mondo. L’Italia ha partecipato attivamente.
Tutti gli studi presentati su ricerche in laboratorio confermano, come già detto prima, la correlazione tra il malessere delle api e l’impiego di neonicotinoidi, con l’aggiunta che il malessere si estende anche agli impollinatori selvatici. Uno studio statunitense aggiunge i fungicidi tra le concause, infatti è stato trovato che le api si ammalano più facilmente di nosemiasi se consumano polline con alte concentrazioni di fungicida.
Altri studi ancora hanno dimostrato come le api siano sensibili all’odore del imidachloprid; non è però ancora chiaro come venga recepito e come alteri la percezione di altri odori.
In ogni caso, gli studi sottolineano come gli effetti si notino più chiaramente a distanza di tempo, ovvero quando l’esposizione ai neonicotinoidi perdura negli anni.

Alcuni degli studi effettuati sul campo e presentati al convegno, nonché uno studio sempre su campo portato avanti dagli istituti finlandesi per la ricerca in agricoltura MTT e l’autorità per la sicurezza alimentare EVIRA, suggeriscono invece che gli insetticidi non provochino un danno rilevante e diretto sulle api. Il progetto finlandese non ha registrato correlazioni tra i trattamenti chimici e la sofferenza delle colonie durante il primo anno di osservazione.

Le differenze e le controversie negli studi sono principalmente dovute alla difficoltà di riprodurre in laboratorio tutte le condizioni ambientali; comunque gli esperimenti svolti sul campo hanno una maggior difficoltà a essere riprodotti anche perché alcuni insetticidi sono impiegati fino alla fioritura e irrorati con nebulizzazione. Questo comporta alte variabilità nella valutazione dell’esposizione delle api a tali pesticidi.

Per saperne di più:
PlosOne  (EN)
MTT  (EN)

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Progetto REFERTIL: pronta la bozza sulla standardizzazione del biochar

Biochar e compost sono fertilizzanti e ammendanti naturali che derivano dalla degradazione di materiale organico. Entrambi i processi infatti, portano alla possibile riutilizzazione di azoto, potassio e fosforo da parte delle piante e, avendo un alto contenuto di materia organica, risultano essere dei buoni ammendanti per il suolo. La differenza sostanziale tra i due prodotti sta nella tipologia di processo di degradazione a cui viene sottoposto il materiale organico.
Il biochar si ottiene sottoponendo la materia organica a un trattamento di pirolisi, ovvero a una combustione ad alta temperatura (450-600°C) e in assenza d’aria, mentre nel compost la materia organica viene degradata a temperature di 45-70°C.
L’Unione Europea ha finanziato un progetto all’interno del settimo programma quadro che vuole sviluppare un sistema avanzato e completo per il trattamento dei rifiuti organici e il recupero dei nutrienti con impatto zero sul livello delle emissioni, dando vita a un ciclo virtuoso di elementi nutritivi sicuri, economici, ecologici, forniti al terreno con fertilizzanti e ammendanti, standardizzati, a base di compost combinato a biochar.
Il progetto, denominato REFERTIL, a cui partecipa anche l’Italia con Agroinnova (Università di Torino) e il Comune di Grugliasco, ha avuto inizio il primo di ottobre 2011, ha durata quadriennale e un budget totale di tre milioni di Euro.

I partner del progetto hanno lavorato per riuscire ad ottenere un prodotto standardizzabile e omogeneo, condizione necessaria per poter essere impiegato in maniera produttiva in campo agricolo. Infatti, soltanto attraverso una standardizzazione e omogeneizzazione del prodotto si può conoscere esattamente il suo valore di fertilizzazione e quindi fornire indicazioni precise sul suo utilizzo. Al tempo stesso si rende possibile la formulazione di leggi e norme adeguate all’impiego del biochar stesso.
I progressi effettuati finora hanno portato alla formulazione di una bozza sulla standardizzazione del biochar da sottoporre agli Stati membri.

La produzione di biochar prevede l’impiego di materiale organico, come rifiuti organici urbani, residui agricoli e agroindustriali, successivamente sottoposto a un processo avanzato di carbonizzazione, utile ad aumentarne il valore aggiunto, quindi ad una trasformazione energeticamente efficiente, e infine ad un processo integrato di compostaggio per recuperare gli elementi nutritivi. Anche le ossa di animali da macello possono essere impiegate, e in questo caso si parla di biochar ABC (Animal Bone bioChar). Quest’ultimo tipo di biochar risulta essere particolarmente ricco di fosforo.
I prodotti che si ottengono sono di alta qualità e potranno essere utilizzati per ridurre l’impiego di fertilizzanti di sintesi in agricoltura. In questo modo si promuove la sostenibilità ambientale, ecologica ed economica delle filiere produttive, si riduce l’impronta ambientale negativa delle città e si contribuisce alla mitigazione dei cambiamenti climatici.

A beneficiare dei risultati del progetto saranno soprattutto gli agricoltori titolari di piccole e medie aziende agricole, anche di tipo biologico, che potranno accedere a prodotti sicuri, a basso impatto ambientale e biologici.
Il progetto può determinare anche un indotto positivo sull’occupazione in quanto, per ottimizzare costi e impatto ambientale, si prevede una produzione a livello regionale dove produttori di materia organica e fruitori del prodotto finale si alleano in associazioni e/o cooperative. Si dovrebbero creare così dei nuovi posti di lavoro “verde” a supporto di un’economia a basse emissioni di carbonio.

Per saperne di più:
Progetto REFERTIL  (EN)
CommNet (EN)
Agrinnova
Progetto REFERTIL Comune di Grugliasco