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Aumentano le conoscenze sulla diffusione delle specie aliene invasive

La Fondazione Edmund Mach coordinerà un grande progetto di ricerca internazionale, denominato Lexem, che si propone di approfondire la conoscenza sulla biologia di alcuni insetti, in particolare zanzara tigre, zanzara coreana e Drosophila suzukii, e di individuare metodi appropriati per il controllarne la diffusione.
Partito ufficialmente a metà gennaio con un meeting a San Michele all’Adige, il progetto può contare su un finanziamento della Provincia autonoma di Trento, sulla collaborazione di diversi enti tra cui l’Organizzazione Mondiale della Sanità e il Centro europeo per il controllo delle malattie e di parecchi enti di ricerca sia in Italia sia all’estero.
La Lombardia è presente con l’Università Bocconi, il Politecnico di Milano e l’Istituto Zooprofilattico.

In Europa ci sono più di mille specie considerate invasive e tra queste specie ci sono numerosi insetti di interesse sia sanitario (ad esempio la zanzara tigre e la zanzara coreana) sia agricolo (ad esempio la Drosophila suzukii). Il nord Italia sta affrontando l’invasione di queste specie che, per definizione, sono quelle intenzionalmente o accidentalmente trasportate dall’uomo al di fuori del loro areale biogeografico e si sono dimostrate invasive.
Le specie si dicono invasive quando, superato il periodo di acclimatazione, mostrano capacità di espansione nel nuovo ambiente e provocano danni ecologici, economici e/o alla salute pubblica.

Per prevedere la diffusione di una specie in un nuovo habitat gli ecologisti fino ad oggi hanno impiegato un modello matematico sviluppato nel 1937. Tuttavia questo modello ha da sempre dimostrato i suoi limiti in quanto non essendo mai stato testato in condizioni controllate era incapace di riprodurre la variabilità della velocità di propagazione che era invece visibile in pratica. A mettere mano sul modello e ad apportare le necessarie modifiche ci hanno pensato dei ricercatori di Eawag (Swiss Federal Institute of Aquatic Science and Technology) e di EPFL (École Polytechnique Fédérale de Lausanne) che hanno da poco pubblicato i loro risultati sul PNAS (Proceedings of the National Academy of Sciences).
I ricercatori svizzeri sono riusciti a modificare il modello e a verificare le loro predizioni in laboratorio.
Innanzitutto hanno preso in considerazione il fatto che il processo demografico delle popolazioni è soggetto a delle variazioni che non dipendono direttamente dai fattori ecologici, infatti non tutti gli individui si riproducono allo stesso modo nonostante vivano nelle stesse condizioni. I ricercatori sono riusciti a descrivere tale fattore impiegando un calcolo delle probabilità applicato ad una funzione che permette di quantificare le differenze aleatorie e individuali a livello della riproduzione.
Ai calcoli del modello sono seguite le osservazioni sperimentali.
Per i loro esperimenti i ricercatori hanno utilizzato un tubo di plexiglas di due metri di lunghezza riempito di soluzioni nutritive in cui hanno introdotto degli organismi, ciliati unicellulari, ad una delle estremità.
La velocità di propagazione sperimentale calcolata in base ai dati è stata confrontata con quella predetta dal modello. I risultati sperimentali si allineano molto bene con il modello teorico proposto che quindi risulta essere valido.

Gli autori di questa ricerca auspicano l’impiego di questo modello anche per organizzare la ripopolazione di specie minacciate o in pericolo di estinzione; infatti la conoscenza della diffusione di una specie può aiutare sia a limitarne sia a incentivarne la propagazione.
Operazioni di questo tipo sono già state applicate negli Stati Uniti e hanno portato a un’ottimizzazione delle misure di protezione per le specie animali minacciate.

Per saperne di più:
Fondazione E. Mach
EAWAG (Swiss Federal Institute of Aquatic Science and Technology)

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Il progetto “multi attore” tra le novità importanti del Programma “Orizzonte 2020”

Il programma Orizzonte 2020 succede al Settimo Programma Quadro e riguarda il periodo 2014 – 2020. È il programma di innovazione e sviluppo più importante della Comunità Europea e presenta un budget superiore a quello precedente. Lo scorso 14 gennaio a Roma si è tenuto un convegno proprio per illustrare l’intero programma con attenzione alle novità, tra cui spicca la suddivisione dei progetti in “multi attore” e a “reti tematiche”.

I progetti “multi attore” consistono nella partecipazione, per l’intero periodo del progetto, di tutti gli utenti finali assieme ai soggetti coinvolti nella ricerca (agricoltori, divulgatori, ricercatori…). Infatti il coinvolgimento fin dalle prime fasi del progetto degli utenti finali, direttamente interessati a soluzioni innovative da applicare sul campo, dovrebbe portare a maggiore efficacia nella definizione degli ambiti di ricerca e sperimentazione, nella pianificazione e diffusione dei risultati.

I progetti "reti tematiche" mirano a favorire lo scambio di conoscenze in tutta l'UE. Hanno lo scopo di raccogliere le attuali conoscenze scientifiche e le migliori pratiche sul tema prescelto e quindi di sviluppare materiali informativi sui risultati che siano facilmente accessibili e comprensibili agli utenti finali.

I primi bandi sono stati pubblicati l’11 dicembre 2013. Per il 2014, nel quadro della priorità per le “Sfide per la società”, Orizzonte 2020 si concentra sullo sviluppo di tecnologie in grado di aiutare la società a dissociare i suoi attuali livelli di benessere dal consumo non sostenibile delle risorse coi conseguenti danni collaterali per l’ambiente. I temi che interessano anche l’agricoltura e i relativi stanziamenti sono:

  •  i rifiuti: una risorsa da riciclare, riutilizzare e da cui recuperare materie prime (73 milioni di euro);
  •  l’innovazione per le risorse idriche: promuoverne il valore in Europa (67 milioni di euro);
  •  sicurezza alimentare sostenibile (risorse stanziate per il 2014: 138 milioni di euro);
  •  crescita blu: sviluppare appieno il potenziale dei mari e degli oceani (100 milioni di EUR).

I primi bandi aperti riguardano soprattutto l’innovazione per le risorse idriche. In particolare la call  WATER-4b-2015 è completamente dedicata a questo tema. Bisogna presentare un progetto in unica fase sul tema di nuove soluzioni per la gestione idrica in agricoltura.
Anche il progetto in due fasi  WATER-2b-2015  riguarda l’agricoltura e si concentra sulle problematiche inerenti alla pressione crescente sul suolo, risorse idriche ed ecosistemi dovuta alla maggior richiesta di cibo, acqua, materiali ed energia. I progetti da presentare dovrebbero sviluppare modelli multidisciplinari che coinvolgano l’adattamento al cambiamento climatico, un impiego più efficiente di energia, suolo e acqua e un miglioramento della produttività agricola.
Anche il progetto in due fasi WATER-5c-2015  si concentra sulle problematiche relative all’approvvigionamento idrico e all’impiego dell’acqua. Questa volta l’acqua è vista come un bene comune; pertanto vengono richieste cooperazioni con paesi terzi.
Tra gli argomenti da sviluppare troviamo lo sviluppo di tecnologie, sistemi, strumenti e/o metodologie per gestire in modo sostenibile l’impiego dell’acqua in agricoltura.

Altro settore interessante è la gestione dei rifiuti all’interno dell’azienda agricola.
Gli inviti relativi al tema 7 dedicato ai rifiuti saranno lanciati nel corso del 2014.

Per l’acquacoltura si rimanda ai capitoli “Crescita blu: sviluppare appieno il potenziale dei mari e degli oceani” (Blue Growth: Unlocking the potential of Seas and Oceans). Alcuni inviti su questo tema sono già attivi.

Gli inviti già aperti hanno scadenza il 12/3/14 per i progetti a multi attore e il 26/6/14 per quelli a reti tematiche.

Per facilitare l’incontro tra gli agricoltori e gli altri attori si stanno adoperando le organizzazioni di settore, a partire dal Copa-Cogeca (fronte unito degli agricoltori e delle loro cooperative nell’Unione Europea).

La copertura dei costi può arrivare al 100%, come per il progetto di Ricerca e Sviluppo, per gli enti senza scopo di lucro e i partenariati composti da almeno tre organizzazioni provenienti da tre paesi diversi. I progetti possono altresì essere cofinanziati dal PEI (Partenariati Europei per l'Innovazione). La presenza di soggetti divulgatori è necessaria.

Per saperne di più:
Horizon 2020
Portale Call della Comunità Europea
Copa-Cogeca
Rete Rurale

Recupero di metalli rari dai rifiuti elettronici

1. Premessa

La denominazione metalli rari, o terre rare (in inglese Ree, Rare Earth Elements) viene utilizzata per indicare una serie di materiali in realtà tutt’altro che rari, anzi largamente diffusi sulla crosta terrestre: si pensi che la loro quantità è paragonabile a quella di nichel, rame, zinco o piombo e che alcuni di essi sono più abbondanti dell’argento o dello stagno (Villavecchia Eigenman, 1982); persino i due elementi più rari (tulio e lutezio) sono all’incirca 200 volte più comuni dell’oro. Essa deriva piuttosto dal fatto che in passato erano ritenuti presenti solo in minerali rari e che le loro concentrazioni in peso sono piuttosto basse, variando da una decina a qualche centinaio di parti per milione,fattore questo che rende la loro estrazione e lavorazione complesse e costose [01]. Nondimeno, le loro peculiarità sono tali da renderle particolarmente apprezzate e idonee alla realizzazione di una vasta serie di beni a tecnologia avanzata, cui conferiscono proprietà difficilmente ottenibili con materiali alternativi. Per tale motivo i loro consumi nei Paesi occidentali sono andati crescendo sensibilmente nell’ultimo decennio, contribuendo a spingerne in alto la quotazione, che, complice, ad un certo punto, una forte riduzione dell’offerta sui mercati internazionali, ha toccato livelli estremamente elevati.

In questa nota discuteremo sull’opportunità di ridurre il ricorso all’estrazione mineraria, ponendo l’accento sulle interessanti prospettive che si delineano in merito all’implementazione di tecnologie di recupero delle terre rare da rifiuti che li contengono, ed in particolare dalle apparecchiature elettriche ed elettroniche (Raee).

2. Caratteristiche e impieghi

Chimicamente le terre rare sono un gruppo di diciassette elementi, costituito da scandio, ittrio e dalla serie dei lantanidi [1], quindici metalli appartenenti al terzo gruppo e al sesto periodo della tavola periodica, con numero atomico compreso tra 57 e 71, vale a dire: lantanio (La), cerio (Ce), praseodimio (Pr), neodimio (Nd), promethio (Pm), samario (Sm), europio (Eu), gadolinio (Gd), terbio (Tb), disprosio (Dy), olmio (Ho), erbio (Er), tulio (Tm), itterbio (Yb) e lutezio (Lu). Questi presentano tutti lo stesso numero di elettroni di valenza, in quanto, al crescere del numero atomico, gli elettroni vanno a riempire progressivamente non il livello più esterno, bensì il sottolivello 4 f; di conseguenza, sono caratterizzati da proprietà chimiche pressoché identiche, il che rende molto complesso separare gli uni dagli altri. Allo stato elementare sono metalli teneri di colore grigio lucente, che conducono molto bene la corrente elettrica e reagiscono energicamente con l’acqua e l’ossigeno atmosferico; hanno, nei principali composti, numero di ossidazione +3 e presentano in molti casi paramagnetismo (Sienko – Plane, 1968), perl’elevata probabilità che i 7 orbitali del livello 4f contengano elettroni spaiati. Hanno, inoltre, notevoli proprietà di fotoluminescenza. Le terre rare non hanno minerali propri che le contengano in concentrazione più o meno significativa, ma sono diffuse in natura in un centinaio di minerali, sotto forma di ossidi, carbonati, silicati, fosfati, associate ad altri elementi. quali calcio, berillio, ferro, alluminio ecc. La loro fonte più ricca è la monazite (un fosfato complesso), tuttavia sono presenti in quantità sufficiente per l’estrazione anche in altri minerali, quali la bastnaesite (un fluorocarbonato), la xenotina e, seppure in misura minore, nell’apatite e nell’uraninite. L’estrazione avviene con procedimenti diversi a seconda del tipo di minerale: ad esempio, se si parte dalla monazite, si può ricorrere alla flottazione, mentre nel caso della bastnaesite, ricca di carbonati, si fa ricorso generalmente al trattamento con acido cloridrico a caldo, che trasforma i carbonati in cloruri solubili, separando poi le terre rare dagli altri componenti solubilizzati mediante precipitazione sotto forma di idrati; questi vengono successivamente calcinati, dando luogo così ai relativi ossidi (più precisamente, si ottengono miscele dei diversi ossidi, che possono essere frazionate con vari sistemi, per isolare i singoli componenti [02]).

Le terre rare sono fondamentali nella realizzazione di innumerevoli prodotti ad alta tecnologia, in cui sono presenti quasi sempre sotto forma di ossidi o di leghe con altri metalli: computer, iPhone, iPad, laser, sensori, sistemi di navigazione, superconduttori, marmitte catalitiche, batterie per auto elettriche, motori per veicoli ibridi, magneti permanenti, generatori per turbine eoliche, impianti fotovoltaici, lampade fluorescenti costituiscono solo alcuni dei settori di impiego, per non parlare di applicazioni strategiche in campo militare, quali motori aerei avanzati, missili intelligenti eradar sofisticati (al punto che, si sostiene, una loro penuria metterebbe in crisi le stesse Forze Armate). In particolare, negli hard disk, negli impianti eolici e nei motori ibridi sono ampiamente utilizzate leghe neodimio – ferro – boro e samario- cobalto; nei fosfori degli schermi a cristalli liquidi si ritrovano europio, lutezio e ittrio;nelle lampade fluorescenti, ittrio, lantanio, cerio, europio, gadolinio e terbio. Un discorso a parte può farsi per l’erbio: questo elemento, infatti, emette radiazioni alla lunghezza d’onda di 1530 nm, corrispondente al minimo assorbimento delle fibre ottiche in silice, per cui appare particolarmente adatto ad amplificare mediante laser i segnali luminosi delle reti in fibra ottica.

3. Il monopolio della produzione mineraria cinese e i motivi di una scelta alternativa

La produzione mondiale di terre rare nel 2012 è stata stimata in circa 110.000 tonnellate, lievemente inferiore a quella dell’anno precedente. La Cina, con il 97% del totale, ne detiene praticamente il monopolio, pur possedendo solo il 40% circa delle riserve accertate. Questo perché i bassi prezzi di mercato degli anni passati ed il notevole impatto ambientale generato dai processi estrattivi hanno indotto gli altri Paesi ad abbandonare la produzione e a ricorrere, per la copertura del proprio fabbisogno, alle più convenienti importazioni. Recentemente, però, lo straordinario incremento dei consumi interni cinesi, dovuto al poderoso sviluppo industriale del Paese, ha portato ad una drastica riduzione delle esportazioni, che dal 2005 al 2010, con l’imposizione di quote e dazi, si sono più che dimezzate, passando da 65.609 a 30.256 tonnellate (tabella 1). Secondo alcuni, tale riduzione, più che dalla necessità di assicurare risorse sufficienti al mercato nazionale, deriverebbe da una precisa scelta strategica della Cina, volta a costringere le multinazionali straniere utilizzatrici di terre rare a trasferire le loro produzioni nel Paese, come, del resto, hanno già fatto alcune industrie occidentali, tra cui la Apple [03].

In verità, al di là di questi sospetti più o meno fondati, va detto che la minore offerta ai Paesi occidentali è stata determinata anche dalla recente chiusura, da parte dello Stato, di numerose piccole miniere abusive, che alimentavano un traffico illegale calcolato nel 30% delle esportazioni totali, nonché da un programma di estrazione più razionale che la Cina sembra voler intraprendere, avendo preso finalmente coscienza del devastante impatto ambientale connesso ad uno sfruttamento insano delle miniere come è stato quello finora attuato.

In ogni caso, la diminuzione delle forniture, unita ad una domanda sempre più consistente da parte del mondo occidentale, ha portato nella prima decade degli anni Duemila ad una sensibile lievitazione dei prezzi, che sono aumentati in qualche caso anche di trenta volte [2]: è il caso del disprosio, che nell’arco di otto anni è passato da 15 a 467 dollari al kg (Orati,2011[05]).

In questa situazione, che rischia di diventare drammatica per l’occidente, ormai largamente dipendente dalla Cina per tutte le produzionihigh tech, le iniziative possibili sono la riattivazione di miniere abbandonate, come è già accaduto per quella di Mountain Pass, in California, che richiederà comunque tempi non brevi per giungere ad una produzione adeguata alla domanda, e la ricerca di altri giacimenti. In effetti, sono state individuate nuove riserve, anche ingenti, in diverse parti del mondo, come Canada, Sudafrica, Groenlandia e persino nei fondali dell’Oceano Pacifico: di recente è stato scoperto, in prossimità del piccolo atollo giapponese di Minami Torishima, a circa 5,8 km di profondità, un giacimento di grande importanza che potrebbe da solo soddisfare gran parte del fabbisogno nazionale.Tali riserve vanno a sommarsi a quelle già note di Usa, Russia, Australia ecc., tuttavia l’ipotesi di un loro sfruttamento appare più che problematica per i costi elevati che questo comporta; tanto più che, dopo il picco raggiunto nell’estate 2011, a partire dal 2012 i prezzi delle terre rare sui mercati internazionali sono crollati, in conseguenza, probabilmente, sia delle difficili condizioni economiche generali, che hanno determinato una diminuzione della domanda, sia di una migliore efficienza dei materiali: si pensi che concentrati di terre rare sono passati da un prezzo medio di 82 $/kg nel 2011 a 36$/kg nel 2012 (Bellomo, 2013[06]). A ciò si aggiunge il problema del grave ed esteso impatto ambientale legato ai processi di estrazione e raffinazione delle terre rare. Questi, infatti, implicano l’uso di grandi quantitativi di acidi forti, che possono determinare vaste contaminazioni del territorio e la produzione di ingenti volumi di materiale di risulta, senza considerare gli elevati livelli di radioattività ai quali sono esposti i lavoratori e che persistono a lungo nell’ambiente, dovuti alla frequente presenza di torio ed uranio nelle miniere di terre rare. Basti ricordare il disastro ambientale di Baiyunebo, nella Mongolia Cinese, che oggi è un lago radioattivo di 11 chilometri quadrati (figura 1), o quello causato in Malaysia dalla giapponese Mitsubishi Chemicals, che, dopo essere stata costretta a chiudere, nel 1992, un impianto di raffinazione di terre rare, è ora impegnata in un’operazione di decontaminazione da materiali radioattivi per una spesa totale di 100 milioni di dollari. La popolazione malese, ancora fortemente toccata da quell’esperienza, si sta opponendo con veemenza all’attività, peraltro già avviata, di un impianto di raffinazioneda 2,5 miliardi di dollaridella società australiana Lynas, malgrado questa abbia assicurato che adotterà tutte le necessarie misure per evitare qualsiasi minaccia per l’ambiente, quale, ad esempio, la diluizione e miscelazione con calce del torio radioattivo (Sher, 2013, [07]).

Un altro caso emblematico è quello dei villaggi vicini a Baotou, nella Mongolia interna, dove si trova la più grande miniera cinese di terre rare, i cui abitanti sarebbero stati trasferiti altrove per la pesante contaminazione di acqua e raccolti: si valuta che i reflui della lavorazione, acidi e radioattivi, ammonterebbero annualmente a circa dieci milioni di tonnellatee rischierebbero di inquinare il Fiume Giallo, fonte idrica per centocinquanta milioni di persone (Orati,2011[05]). Per il futuro la situazione dovrebbe migliorare, se è vero che, come sostiene Chen Zhanheng, direttore del Dipartimento accademico della Società cinese delle terre rare di Pechino, “Il governo ha già varato leggi severe per tutelare l’ambiente ed eliminare tecnologie, attrezzature e prodotti arretrati. Le fabbriche che non riusciranno ad adeguarsi andranno incontro alla chiusura o alla fusione con aziende più grandi” (Folger, [08]). Tuttavia,  la decontaminazione, come si è visto, richiede tempi lunghi e costi elevati.

Una soluzione a questi problemi potrebbe essere rappresentata dal ricorso a materiali diversi dalle terre rare, ma vi sono impieghi per i quali non si conoscono prodotti sostitutivi, come nel caso, ad esempio, dei display a cristalli liquidi utilizzati per i monitor di computer e televisori, in cui si fa uso di europio e fosforo rosso (Enea, [09]). Alcune industrie automobilistiche, dal canto loro, stanno riducendo le quantità di terre rare utilizzate nelle auto elettriche e ibride ricorrendo a tecnologie differenti, come ha fatto la Toyota; che nella Prius impiegava addirittura 25 kg di metalli rari; lo stesso orientamento è seguito da alcune imprese costruttrici di impianti eolici. La prospettiva più interessante, cui si sta guardando oggi con sempre maggiore attenzione, sembra essere, tuttavia, il recupero di tali metalli dai rifiuti di apparecchiature che li contengono e, in particolare, da quelle elettriche ed elettroniche.

4. Il recupero delle terre rare dai Raee

L’ampia diffusione dei consumi nel settore delle apparecchiature elettriche ed elettroniche, caratterizzato, peraltro, da cicli di vita dei prodotti sempre più brevi, fa sì che i rifiuti da esse derivati rappresentino una risorsa importante per il recupero di terre rare, che potrebbe esserenotevolmente incrementato, considerando che in ambito Ue, dei 17 kg pro capite prodotti ogni anno, ne vengono raccolti separatamente circa 7: si tratta evidentemente di una media, in quanto si va dai 22 kg della Scandinavia ai 2 della Grecia e ai 4,3 dell’Italia, quantitativo quest’ultimo di poco superiore all’obiettivo minimo di 4 kg prescrittodalla Direttiva 2002/96/CE [3] per i Raee provenienti dai nuclei domestici [4]. Questo valore, tuttavia, sarà applicato fino al 31 dicembre 2015, in quanto, a partire dal 2016, inbase a quanto stabilito dalla Direttiva 2012/19/UE del 4 luglio 2012, il tasso minimo di raccolta in ciascuno Stato membro dovrà essere pari al 45% del peso medio delle apparecchiature immesse sul mercato nei tre anni precedenti, per aumentare gradualmente negli anni successivi fino a raggiungere, nel 2019, il 65% o, in alternativa, l’85% del peso dei Raee prodotti. Tale Direttiva, che deve essere recepita dagli Stati membri entro il 14 febbraio 2014, prescrive, tra l’altro, che Raee raccolti separatamente non possano essere smaltiti se non siano stati preventivamente sottoposti a trattamento adeguato (ai sensi dell’art. 8) e che la raccolta e il trasporto siano eseguiti in maniera da consentire condizioni ottimali per il riutilizzo, il riciclaggio o il confinamento delle sostanze pericolose. Facendo riferimento, in particolare, alle cinque grandi categorie di Raee previste dalDm n. 185 del 25 settembre 2007, i quantitativi raccolti in Italia nel 2012 sono stati stimati in poco meno di 240.000 tonnellate (tabella 2).

Tra le iniziative di recupero intraprese, di particolare interesse é il progetto messo a punto dal Laboratorio E – Waste Lab, i cui primi risultati sono contenuti nel Report 2012. [10]. Il laboratorio, che nasce da un partenariato multidisciplinare cui partecipano il Politecnico di Milano, la Regione Lombardia, Amsa, Stena S.p.A, ed Assolombarda, ha l’obiettivo dimassimizzare il valore del riciclo dei rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche, fornendo agli investitori interessati elementi di valutazione utili ai fini dell’efficacia del recupero di terre rare e di metalli preziosi. I ricercatori hanno esaminato criticamente una vasta mole di studi riportati in letteratura, effettuando un’analisi comparativa delle tecnologie utilizzabili nelle tre fasi principali del processo, ossia:

  • lo smontaggio selettivo
  • il pretrattamento
  • la raffinazione

Lo smontaggio selettivo, finalizzato alla separazione delle componenti pregiate da quelle nocive, che andranno allontanate dopo adeguato trattamento, può comportare rischi per la salute degli operatori, che possono venire a contatto con sostanze pericolose quali piombo, mercurio, cadmio, cromo esavalente, arsenico etc. Lì dove possibile, bisognerebbe, pertanto, evitare di effettuare questa operazione manualmente e ricorrere piuttosto a metodi automatici, anche se il sistema ne perderebbe in flessibilità.

Il pretrattamento è una macinazione meccanica, che ha lo scopo di staccare le parti polimeriche da quelle da recuperare, aumentando nel contempo la superficie esposta agli attacchi chimici successivi. In questo ambito, particolarmente appropriata per i materiali contenenti resine termoplastiche è la macinazione criogenica (molto diffusa, ad es., per le schede di rete): in questo caso, prima della frantumazione, si opera un raffreddamento (con azoto liquido o ghiaccio secco), per evitare che le resine, rammollendo, aderiscano alle componenti da recuperare rendendone complicata la separazione.

La raffinazione è la fase che consente di recuperare e purificare i materiali che interessano; in particolare, per ciò che attiene alle terre rare, può realizzarsi mediante diversetecniche, tra le quali quelle biometallurgiche e idrometallurgiche: le prime, economiche ed ecocompatibili, utilizzano, per recuperare i metalli, materiali di svariata natura, quali foglie, microrganismi, corteccia, gusci di granchi ecc.; i processi idrometallurgici consistono, invece, in una lisciviazione con acidi inorganici, prevalentemente nitrico, cloridrico e solforico, idonei per il cerio, presente negli schermi dei Pc, e per l’ittrio, contenuto anche negli schermi delle Tv e nelle lampade fluorescenti, mentre il gadolinio e il praseodimio vengono attaccati soprattutto con acido cloridrico.

La separazione dei diversi metalli è l’operazione più delicata, perché, come si è detto, le terre rare hanno proprietà molto simili tra loro. In generale, possono essere utilizzati processi di estrazione solido- liquido (cristallizzazioni o precipitazioni frazionate) o liquido-liquido mediante solventi. Quest’ultima è la più utilizzata e viene effettuata in continuo e in controcorrente con recupero dei solventi. A tal proposito, l’Enea (Morgana, 2011), nel Centro Ricerche della Trisaia, ha messo a punto, sia su scala banco che di impianto pilota, un processo di estrazione con solvente e successiva cromatografia, allo scopo di sperimentare su matrici di natura diversa il recupero di terre rare ed altri metalli di valore strategico, ottimizzando le rese e minimizzando gli impatti ambientali. Peraltro, tale centro sta sperimentando in questo ambito l’impiego di fluidi supercritici, di liquidi ionici e della biometallurgia.

Tornando al Rapporto E-Waste Lab,il laboratorio, basandosi sui risultati dell’analisi comparativa effettuata, ha implementato un interessante progetto pilota .finalizzato ad un aumento del recupero di terre rare dai Raee, tenendo conto dei costi socio-economici e della redditività delle operazioni, nonché della sostenibilità ambientale. I punti chiave del progetto sono: 

  • il potenziamento della raccolta, da attuare con un nuovo sistema che si concentri su computer e cellulari;
  • l’adozione della macinazione criogenica;
  • l’utilizzo di impianti industriali già esistenti sul territorio, rinnovandoli e prolungandone la vita utile.

Partendo da queste premesse, i ricercatori hanno effettuato uno studio di fattibilità economica, arrivando ad una stima del valore del recupero sia per ciò che attiene al contenuto di oro nelle schede di rete dei Pc, sia per quanto riguarda il neodimio presente negli hard disk. In base ai risultati ottenuti, sembrerebbe possibile recuperare, da una tonnellata di schede, circa 450 grammi di oro con costi pari al 30% del valore del recupero, da una tonnellata di hard disk circa 260 kg di neodimio, con costi all’incirca del 40% del valore del recupero. Si tratta evidentemente di risultati più che interessanti, seppure riferiti a prezzi di mercato comunque variabili, anche perché sono previsti ulteriori margini di miglioramento delle tecnologie.

Un’iniziativa interessante è anche quella intrapresa dalla Honda, in collaborazionecon la Societàgiapponese Metals & Chemicals, per il riciclaggio delleterrerarepresenti in batterie all’idruro di metallo-nichel raccolte, presso rivenditori giapponesi, nordamericani ed europei, dai vecchi veicoli ibridi Honda. Le due società hanno comunicato di aver messo a punto un processo, tenuto al momento segreto, in grado di recuperare pressappoco l’80% delle terre rare, con purezza superiore a quella del nuovo estratto e dei metalli raffinati [11].

Altrettanto interessanti sono alcuni progetti avviati da aziende italiane con il contributo di partner europei, accademici e non; tra essi, vale la pena di citare quelli della Dismeco e della Relight di Rho (comune alle porte di Milano). La Dismeco ha recuperato a Marzabotto, in provincia di Bologna, l’area di una vecchia cartiera per farne un centro di riciclaggio green, nel quale, in collaborazione con il Dipartimento di Tecnologia dell’Università svedese di Goteborg, cercherà di recuperare terre rare dalle lampadefluorescenti, e, in particolare, ittrio, metallo dal costo elevato e quasi del tutto assente nei paesi occidentali [12]. Quanto alla Relight, è un’azienda che nel 2010 ha trattato 17 milioni di tonnellate di Raee, per un fatturato di 8 milioni di euro. Fondatrice ed amministratore delegato è un’agronoma, Bibiana Ferrari, che è stata insignita dal Presidente Napolitano del grado di ufficiale dell’Ordine al merito della Repubblica italiana e che coordina il progetto europeo Hydro Weee (settimo Programma quadro Ue per la ricerca), nell’ambito del quale è stato realizzato, nel maggio del 2011, un impianto pilota in grado di estrarre, con processo idrometallurgico, ittrio ed indio dalle lampade fluorescenti esauste [5]. L’obiettivo è quello di migliorare la purezza dei minerali ottenuti, in modo da evitare ulteriori processi di raffinazione e avere così ampie possibilità di vendita all’intero settore della microelettronica. Al progetto hanno contribuito l’Università La Sapienza di Roma, l’Università dell’Aquila e la Politecnica delle Marche, nonché tre imprese straniere (l’austriaca Sat, la serba Se Trade e la rumena Greentronics), (Kratchmarova, 2011 [13]).

5. Conclusioni

Il recupero di terre rare dai rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche è un’opzione considerata con sempre maggiore interesse in una situazione di mercato che vede, ormai da alcuni anni, il monopolio della produzione saldamente detenuto dalla Cina, la quale, tuttavia, dalla metà degli anni Duemila ha messo in atto una politica di forte riduzione delle esportazioni. Ciò, ufficialmente per la necessità di soddisfare il crescente fabbisogno interno e salvaguardare l’ambiente, in realtà, secondo alcuni,per motivi strategici: si ricordano spesso, a tale riguardo, le parole pronunciate nel 1992 da Deng Xiaoping: “Se il Medio Oriente ha il petrolio, la Cina ha le terre rare…".

Al di là della difficoltà di approvvigionamento di risorse minerarie, alla base dell’opportunità del recupero dai Raee vi sono comunque anche i vantaggi ambientali connessi ad una maggiore eco sostenibilità delle tecniche proposte (sebbene ancora da affinare) rispetto ai processi estrattivi. A ciò va aggiunto che dagli scarti in questione è possibile recuperare non solo le terre rare, ma anche metalli preziosi, quali oro ed argento: si pensi che da una tonnellata di cellulari é possibile ottenere 150 grammi di oro, mentre da una stessa tonnellata di materiali estratti in miniera se ne ottengono solo 5 grammi [14].Se poi si considera che lanuova Direttiva europea impone, per i prossimi anni, un incremento notevole dei quantitativi di Raee raccolti, per cui si renderà disponibile una fonte potenzialmente significativa di metalli rari, appare quanto mai utile approfondire gli studi sulla fattibilità tecnica ed economica del recupero, considerando anche il numero di posti di lavoro che si potrebbero creare. Ovviamente, nella valutazione bisognerà tener conto di una serie di fattori fondamentali, quali la scelta delle tecnologie più appropriate e la dimensione ottimale degli impianti. Infine, andranno superate le difficoltà connesse alle pratiche burocratiche, che comportano spesso lunghi tempi di attesa per il rilascio dei necessari permessi da parte di Regioni o Province, problema quest’ultimo che nel nostro Paese non riguarda, tuttavia, soltanto il settore in esame.

Tab. 1 – Esportazioni di terre rare dalla Cina (in ton REO)

2005

65.609

2006

61.821

2007

59.643

2008

59.939

2009

60.145

2010

30.258

Fonte: Morgana, 2011

 

Tab. 2 – Raccolta di Raee nel2012 (intonnellateedistinti secondo i raggruppamenti definiti dal Dm 185/2007 e dal D.Lgs. 151/2005)

Raggruppamento 1 – Freddo e clima (frigoriferi, congelatori, condizionatori ecc.)

63.903

Raggruppamento 2 – Altri grandi bianchi (lavatrici, lavastoviglie, stufe elettriche, forni a microonde, ventilatori elettrici ecc.)

57.710

Raggruppamento 3 – Monitor e Tv

76.501

Raggruppamento 4 – Consumer electronics (cellulari, prodotti Ict, fax,calcolatriciecc.)

38.815

Raggruppamento 5 – Sorgenti luminose (tubi fluorescenti, sorgenti luminose a vapori di sodio ecc.)

1.037

Totale

237.966

(Elaborazione degli Aa di dati tratti dal Centro di Coordinamento Raee)
____________________________

]

Fig. 1 – La miniera di Baiyunebo, nella Mongolia Cinese, uno dei luoghi
più inquinati al mondo (da Sher) [07]



Bibliografia

Bellomo S., “Terre rare, adesso i produttori soffrono. I prezzi sono crollati”, Il Sole 24 Ore Finanza e Mercati, 16 Marzo 2013, [06]

Enea,Le terre rare. (Rare Earth Elements – Ree)” [09]

Folger T., “Terre rare, gli ingredienti segreti di smartphone, missili e tanto altro”, National Geographic Italia, 23Giugno 2011, [08]

Kratchmarova Z., “La lampadina è una miniera”, Ecolamp, 22 Giugno 2011, pp.36-37, [13]

Morgana M., “Terre rare: l’impianto pilota del Centro Ricerche della Trisaia”, Energia. Ambiente e Innovazione,1-2, 2011, pp. 37-41

Orati P., “Terre rare: un’arma sempre più strategica nelle mani della Cina”, 20 Ottobre 2011, [05]

Sclaunich, G., “Ricicliamo le terre rare di smartphone e pc”, Corriere della Sera Ambiente, 17 Aprile 2012, [04]

Sher D., “Sempre più rischi dalle terre rare”, 29 Gennaio 2013 [07]

Sienko M. J.– Plane R. A., Chimica.Principi e proprietà, Padova, Piccin Editore, 1968

Villavecchia G. V. – Eigenman G., Nuovo dizionario di Merceologia e Chimica Applicata, Milano, Hoepli, 1982

 

Sitografia

[01]http://media.pearsonitalia.it/0.602803_1355075425.pdf

[02]www.treccani.it/enciclopedia/terre-rare/

[03]www.metallirari.com/apple-un-gigante-high-tech-con-un-cuore-di-cerio/

[04]www.corriere.it/ambiente/12_aprile_27/ricicliamo-terre
-rare-greta-sclaunich_f983733e-889c-11e1-989c-fd70877d52ac.shtml

[05]www.lafinanzasulweb.it/2011/terre-rare-un-arma-sempre-piu-strategica-nelle-mani-della-Cina/

[06]www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2013-03-16
/terre-rare-adesso-produttori-081906.shtml?uuid=AbLtUeeH

[07]www.youtech.it/Eco-Tech/Habitat/Sempre-piu-rischi-dalle-terre-rare-10758

[08]www.nationalgeographic.it/scienza/2011/06/23/news/
terre_rare_gli_ingredienti_segreti_di_quasi_tutto-392653/

[09]http://unmig.sviluppoeconomico.gov.it/unmig/miniere/terrerare/
dossier_terrerare.pdf

[10]www.consorzioremedia.it/media/200880/
report_finale_e-waste_lab_-_gen_2013_def.pdf

[11]www.rinnovabili.it/ambiente/honda-ricicla
-17-metalli-estratti-dalle-terre-rare3780/

[12]www.virtuousitaly.it/?os_aziende=dismeco-recupero
-lavoro-e-sostenibilita-a-marzabotto-nasce-il-borgo-ecologico

[13]www.ecolamp.it/store_pub/document/421_file.pdf

[14]www.arpat.toscana.it/notizie/arpatnews/2012/137-12/137-12-urban
-mining-estrazione-mineraria-urbana-da-rifiuti-elettrici-ed-elettronici/?searchterm=raee

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Note

[1] Scandio e ittrio sono considerate "terre rare" poiché, generalmente, si trovano negli stessi depositi minerari dei lantanidi e possiedono proprietà chimiche similari 

[2] Si è calcolato che il mercato mondiale delle terre rare abbia toccato i quattro miliardi di dollari e abbia reso possibile la produzione di beni per quattromila miliardi di dollari (Sclaunich,2012 [04]).

[3] La Direttiva2002/95/CE sarà abrogata dal 15 febbraio 2014.

[4] In alternativa, l’obiettivo da raggiungere in ogni Stato membrocorrisponderà al volume di peso medio di Raee raccolto nei tre anni precedenti, considerando il valore più alto.

[5] Nel 2010, sono state recuperate in Italia poco meno di 1,3 milioni di tonnellate di lampade fluorescenti.

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